“Al cuore dell’Amministrazione condivisa”, il nuovo rapporto curato da Labsus, racconta di nuovi legami di fiducia che prendono forma nei territori. Pensare e progettare insieme e utilizzare in tanti modi diversi strumenti come i patti di collaborazione significa contribuire a costruire una nuova cultura politica, nella quale i cittadini non sono più considerati utenti passivi. Una strada sulla quale hanno cominciato a camminare diverse esperienze di scuole aperte partecipate
L’Amministrazione condivisa si fonda sull’idea che la collaborazione tra istituzioni e cittadini sia non solo possibile ma necessaria per la tutela di interessi generali, meglio di come possa avvenire nello schema amministrativo tradizionale, basato sulla netta distinzione tra amministratori e amministrati.
Gli elementi essenziali
Il Regolamento, promosso da Labsus dieci anni fa, contiene le regole per gestire il rapporto di collaborazione tra amministrazione pubblica e cittadini attivi. In questi anni il testo del Regolamento è stato più volte modificato grazie all’esperienza quotidiana in centinaia di comuni italiani che ha permesso di definirne alcuni elementi essenziali quali: l’Ufficio per i beni comuni che deve diventare sempre più elemento strutturale delle amministrazioni locali e rappresentare l’interfaccia amichevole per i cittadini di fronte alla complessità della burocrazia; l’informazione con la creazione di un’apposita area sul sito istituzionale del Comune per consentire la più ampia possibilità di partecipazione ma anche la garanzia di trasparenza in ogni fase di elaborazione di un patto di collaborazione; la formazione sui principi e i metodi dell’amministrazione condivisa per superare il paradigma bipolare che vede il rapporto con il cittadino quasi esclusivamente in termini di interessi contrapposti.
Accanto a questi elementi strutturali il Regolamento definisce le fasi di costruzione di un Patto di collaborazione: la proposta di collaborazione, che può essere formulata in risposta a una sollecitazione avanzata dall’amministrazione comunale, ma anche presentata autonomamente dai cittadini; la coprogettazione, attraverso cui cittadini e amministratori provvederanno a dettagliare il contenuto dell’azione di cura e tutto ciò che è necessario ai fini della sua realizzazione; il Patto di collaborazione, che conterrà gli elementi essenziali del progetto di collaborazione.
La co-progettazione nei patti
La coprogettazione è sicuramente il passaggio più importante e delicato nella relazione tra cittadini e pubblica amministrazione. È sempre più evidente nella pratica quotidiana quanto un’efficace co-progettazione determini il successo o meno di un Patto di collaborazione. Dare forma in questo modo alle relazioni si traduce in un reciproco riconoscimento e in una legittimazione a condividere soluzioni che promuovano nei territori un miglioramento della qualità della vita.
La coprogettazione è lo strumento attraverso cui le regole e la creatività si incontrano, il momento in cui istituzioni e cittadini si confrontano. È attraverso la coprogettazione che la rivendicazione sociale può diventare motore di un cambiamento reale che investe tanto le istituzioni quanto la comunità. Solo così i Patti di collaborazione si rivelano come spazio di elaborazione per un nuovo modo di amministrare, ma anche come espressione di una nuova soggettività politica.
È l’Ufficio per i beni comuni a garantire l’efficacia della co-progettazione. Nel modello di Amministrazione Condivisa, infatti, l’Ufficio per i Beni Comuni coordina tutte le attività che l’ente svolge intorno ai Patti di Collaborazione e rappresenta l’anello di congiunzione tra istituzione e cittadini. Non solo un semplice sportello dove presentare le proposte di collaborazione che verranno poi valutate e prese in carico dai settori di competenza, ma il primo momento di quella “condivisione di responsabilità” di cui il Patto di Collaborazione è l’espressione formale. È qui che si costruisce quella fiducia che dovrebbe costituire lo stile del rapporto sussidiario e assume rilevanza l’informalità, richiamata nei principi del regolamento per assicurare flessibilità e semplicità nella relazione con i cittadini attivi.
Cosa ha a che fare il Patto di collaborazione, un atto pur sempre di natura amministrativa, con la creatività? Un Patto è il tentativo riuscito capace di liberare le energie presenti nelle nostre comunità senza derogare ai principi generali di trasparenza, imparzialità, efficienza, efficacia che governano l’azione della pubblica amministrazione.
Il Patto di collaborazione, come esito di un processo di co-progettazione, può essere letto come uno strumento di garanzia dove i vincoli e le regole poste a tutela della rigenerazione dei beni comuni servono a garantire la
massima effettività del diritto di godimento di quel bene specifico da parte dell’intera comunità.
La co-progettazione nel Codice del Terzo settore
Il cambiamento provocato dalle esperienze di cura di beni comuni materiali e immateriali attraverso i Patti di collaborazione ha innescato nel nostro Paese un irreversibile processo di cambiamento che ha visto prima ambiti territoriali più ampi dei singoli comuni adottare il Regolamento, dalle unioni di comuni alle province alle città metropolitane, poi le Regioni adottare leggi sull’Amministrazione condivisa, sino alla adozione del nuovo Codice del Terzo settore che ha il suo principale riferimento normativo nel principio costituzionale di sussidiarietà orizzontale e prevede una molteplicità di strumenti collaborativi.
Tra questi la novità più rilevante è certamente costituita dalle norme del Titolo VII del codice, sul coinvolgimento degli enti di Terzo settore attraverso attività di co-programmazione e co-progettazione che non rappresentano un diverso equilibrio tra intervento statale e intervento privato ma un cambiamento dello status degli attori e delle loro relazioni.
Quello che qui rileva sottolineare è che la co-progettazione prevista dall’articolo 55 del decreto legislativo 117 del 2017 istituisce un nuovo procedimento amministrativo che regola i rapporti tra pubblica amministrazione e terzo settore, mentre la co-progettazione nei Patti di collaborazione rappresenta la fase di definizione condivisa dell’interesse generale e delle azioni di cura previste nel Patto. La prima è ad accesso privilegiato per i soli ETS, la seconda è ad accesso universale per tutti i cittadini singoli e associati come previsto dall’articolo 118, IV comma della Costituzione.
La visione sistemica
I diversi strumenti collaborativi che oggi le amministrazioni pubbliche possono utilizzare non si elidono a vicenda ma possono essere utilizzati insieme in un modello sistemico che ne moltiplica l’efficacia. Si pensi a un servizio definito attraverso una co-progettazione con gli enti di terzo settore in un determinato ambito territoriale i cui effetti possono essere moltiplicati attraverso l’allargamento delle alleanze ad associazioni, gruppi informali, singoli cittadini, con un Patto di collaborazione. In questa cornice anche il ruolo dell’Ufficio per i beni comuni si allarga, non più deputato solo alla semplificazione dei rapporti con i cittadini ma chiamato ad esercitare una funzione collaborativa applicabile in ogni ambito delle politiche pubbliche.
Quella che viene proposta è una modalità di governo policentrica in cui, più che una contrapposizione tra pubblico e privato, prevale la collaborazione in nome dell’interesse generale. L’applicazione del
principio di sussidiarietà orizzontale attraverso il modello dell’Amministrazione condivisa innesca quasi naturalmente innovative relazioni, di natura anche politica, tra tutti quei soggetti considerati non più utenti passivi ma portatori di risorse e competenze, secondo le loro possibilità.
Articolo tratto dal nuovo rapporto sull’amministrazione condivisa dei beni comuni, curato da Labsus, scaricabile gratuitamente qui: Al cuore dell’amministrazione condivisa.
Giovedì 4 aprile alle ore 17,30 il rapporto sarà presentato in un incontro online: Facebook e Youtube.
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