La ricomposizione delle relazioni sociali può avvenire in modo intenso a livello di quartiere, di rione, di piccole comunità. Che hanno però bisogno di luoghi e momenti nei quali imparare e pensare insieme per tenere aperto il concetto di prossimità. La città-condivisa cerca ovunque, tra difficoltà e contraddizioni, di tessere ragnatele di fiducia e mutuo sostegno oltre la città-azienda. La creazione di reti di quartiere – il tema di questa inchiesta di Territori Educativi, un “viaggio” di 14 articoli che fa tappa in tante città, tra cui Cosenza, Brindisi, Roma, Bergamo e perfino Madrid – offre un orizzonte di senso anche alle esperienze delle scuole aperte partecipate
“Cerca ciò che è buono, forte, bello nella tua società e lavora da lì. Spingi verso l’esterno. Crea sempre da ciò che già hai. Allora saprai cosa fare…”
(Michel Foucault)
Leonia, una delle città invisibili di Calvino, produce un’infinità di scarti e vive con l’angoscia che le montagne di rifiuti provochino enormi frane. Oggi la nuova città appare sempre più ricca di oggetti, soprattutto ad alta tecnologia, e di scarti, inclusi quelli umani, il suo tessuto sociale è lacerato, vuoto di relazioni, schiacciato da montagne di angoscia, violenza e solitudine. Tuttavia, se il mercato è ancora la forza più rilevante nella costruzione della città senza società, ad esso si cercano di contrapporsi gruppi di cittadini che a livello di quartiere, coinvolgono persone e realtà sociali diverse e tentano di stabilire legami orizzontali di prossimità e mutuo soccorso. Quei gruppi sono i primi a chiedersi cosa fare e a mettersi in gioco per ricucire lentamente quello che è possibile partendo da ciò che si trova già nel territorio.
La creazione di reti di quartiere – il tema di questa inchiesta di Territori Educativi – è un passaggio imprescindibile per vivere appieno anche la dimensione della scuola aperta partecipata. Il resoconto di uno scambio di punti di vista, domande ed esperienze su ciò che si muove dentro e intorno ad alcuni istituti comprensivi di diverse città che hanno aperto le scuole alla partecipazione e i cancelli oltre l’orario scolastico, è leggibile qui: Reti di quartiere. Il tema, in realtà, resta assai importante anche per le esperienze che coinvolgono i ragazzi e le ragazze delle superiori, dove le relazioni con il territorio si rivelano spesso un aiuto decisivo per gestire situazioni problematiche, come raccontiamo nell’articolo Abitare il territorio.
Forse invece di ragionare di quartieri come unità territoriali bisognerebbe parlare di “rionalità”, cioè dell’insieme di quegli elementi relazionali da proteggere e promuovere – relazioni di vicinato, presenza nello spazio pubblico, associazionismo formale e informale, relazioni economiche locali – che mostrano la qualità e l’intensità della vita sociale di un luogo. In ogni caso, un’ottima ragione per creare reti, secondo molti, è la lotta alla dispersione scolastica. In questo senso occorre proteggere i tentativi di costruzione di comunità educanti locali che stanno dando risultati interessanti, dice Franco Lorenzoni in Le tre solitudini di ragazze e ragazzi, insegnanti e famiglie: c’è bisogno ovunque di ristrutturare piazze, aprire spazi per attività sportive o espressive, fare delle biblioteche dei punti di ritrovo – come suggerisce anche Antonella Agnoli in Città e biblioteche – e di tenere aperte le scuole il pomeriggio con la partecipazione del territorio per promuovere attività, laboratori, incontri.
Autorganizzazione
Quando gli abitanti di un quartiere cominciano a prendersi cura del plesso scolastico locale e, insieme alla scuola, delle attività che può accogliere anche negli orari e nei giorni extrascolastici si scopre la forza dell’autorganizzazione, dice Massimo Ciglio, preside dell’IC Santo Spirito di Cosenza (partner del progetto nazionale Scuole Aperte Partecipate in Rete). In Fare società locale spiega in che modo la sua scuola, collettivi artistici, associazioni di sport popolare, scout, radio comunitarie, singoli cittadini hanno cominciato a ragionare insieme su come vivere meglio tutti nel quartiere. Torna in mente una straordinaria lectio magistralis – Bioregione versus megacity – tenuta da Alberto Magnaghi (urbanista, tra i promotori della Società dei territorialisti/e) all’Università degli studi di Firenze alcuni anni fa:
«Il controesodo è un «ritorno al territorio» come bene comune per disseppellire luoghi, ritrovare la misura umana delle città e degli insediamenti. Il che significa ricostruire relazioni sinergiche fra insediamento umano e ambiente; aiutare la crescita di «coscienza di luogo», ovvero la capacità della cittadinanza attiva di sviluppare, a partire da vertenze specifiche, saperi e forme di autogoverno per la cura dei luoghi, in primis dei fattori riproduttivi della vita; promuovere nuovi stili conviviali e sobri dell’abitare e del produrre; valorizzare le forme in atto di mobilitazione sociale, le reti civiche e le forme di autogestione dei beni comuni territoriali…».
Per indagare il concetto di territorio non bastano insomma la chiave urbanistica e l’approccio ecologista. Nel libro Il principio territoriale Alberto Magnaghi suggerisce di mettere al centro il fare territorio degli abitanti: come le società umane con le loro relazioni e le loro scelte politiche ed economiche trasformano un luogo (qui una recensione del libro: Riscoprire il territorio).
Scuole e territorio
Una strada interessante ma ancora poco battuta, quella della cooperativa di comunità, è stata invece scelta nel quartiere popolare Sant’Elia di Brindisi. La cooperativa Legami di comunità – alla quale aderiscono decine di cittadini, associazioni, ma anche scuole e parrocchie -, porta già nel nome il suo volto di rete territoriale. Nell’intervista Tessere legami, Daniele Guadalupi racconta cosa significa per Legami di comunità – che fa parte del progetto nazionale Scuole Aperte Partecipate – operare in rete, spiega perché è fondamentale imparare a organizzare prima di tutto delle buone feste e delle assemblee in piazza, suggerisce di raccogliere e mettere sempre al centro i desideri di tutti gli abitanti. Infine, non nasconde gli inevitabili nodi critici di un percorso che punta alla costruzione di una rete locale: le difficoltà ci sono sempre, dice, bisogna imparare a gestirle insieme, ma non esistono ricette valide per tutti.
Se a Brindisi si sono rivelati fondamentali il parco Buscicchio e la casa di quartiere situati nel quartiere Sant’Elia, in due comuni non lontani da Agrigento – Sciacca e Santo Stefano Quisquina – sono stati il recupero di due beni immobili (diventati rispettivamente “La Casa del volontariato” e “La Cittadella delle associazioni”) a favorire un confronto continuo e l’avvio di iniziative condivise dal forte impatto territoriale, come racconta l’articolo di Labsus dal titolo Due luoghi per costruire relazioni.
Poli civici, Case di quartiere e Case di comunità
L’inchiesta Il rammendo dei quartieri propone anche un approfondimento su Roma e lo fa a cominciare da una ricerca che ha indagato la capacità di promuovere e accompagnare dal basso processi di trasformazione urbana promossi da tante e differenti realtà sociali: La Roma dei poli civici è un articolo di Carlo Cellamare che presenta la ricerca curata da LabSU/Laboratorio di Studi Urbani “Territori dell’abitare” (DICEA – Sapienza Università di Roma) e associazione Fairwatch (qui di seguito è possibile leggere e scaricare gratuitamente la versione completa della ricerca); in Creare comunità, invece, Riccardo Troisi spiega cosa sono i poli civici e dove stanno nascendo a Roma; con Il Polo è una rotazione, infine, Barbara Bonomi racconta il percorso del polo civico dell’Esquilino (a cui aderiscono oltre trenta realtà sociali tra cui l’Associazione genitori Di Donato con la sua ventennale esperienza di scuola aperta partecipata alla Di Donato/Manin) ha rimesso in movimento sotto tanti punti di vista l’intero complesso rione romano.
In una città come Bergamo invece esistono già 24 reti di quartiere che raccolgono circa trecento tra associazioni, gruppi di cittadini, comitati, istituti comprensivi, cooperative, polisportive, parrocchie e istituzioni, pronte a sedersi con continuità intorno a un tavolo, insieme anche all’amministrazione comunale (se ne parla in Stare insieme e decidere insieme). Le esperienze delle scuole aperte, anche grazie al CSV, hanno trovato naturale legarsi a questo arcipelago.
Anche altre amministrazioni cercano di proporsi con un ruolo importante nella promozione della partecipazione a livello di quartiere: a Bologna sono in rete 33 Case di Quartiere, luoghi pubblici gestiti da soggetti civici (associazioni e cooperative sociali) in coerenza con i principi del “Regolamento sull’amministrazione condivisa” (approvato nel 2014, dopo una sperimentazione – accompagnata da Labsus – di due anni in tre quartieri della città, e modificato nel 2023). Ogni casa cerca di sperimentare nuovi servizi di prossimità, pronta ad accogliere le proposte dei cittadini e delle cittadine. In linea di massima oggi tutte svolgono ruoli importanti sul territorio, ci sono quelle molto istituzionali e quelle meno, Case in cui si propone qualche iniziativa discutibile o poco partecipata, ma ci sono anche Case nelle quali si fanno corsi di italiano per migranti, corsi di cucina, attività ricreative oppure utili per le persone più anziane.
A proposito di promozione di partecipazione a livello territoriale e ruolo istituzionale, sarà importante nei prossimi mesi osservare ciò che nascerà intorno alle Case di comunità (previste dal PNRR): per evitare che fioriscano mille Case sparse in tutto il territorio nazionale e aperte sette giorni su sette soltanto come luoghi fisici, alcune reti nazionali (tra cui MoVI, Cittadinanza attiva, Prima la comunità, Cnca) hanno sottoscritto il Manifesto “Terzo Settore, salute di comunità: la Casa della comunità” e avviato un confronto e una collaborazione per immaginare di far crescere una partecipazione locale dei cittadini e delle realtà sociali, a partire dai bisogni di assistenza socio-sanitaria. A due anni dalla scadenza fissata dall’Europa per aprirne 1.420 al momento ne sono attive solo un terzo concentrate in 11 regioni.
Aprire il concetto di prossimità
Le differenti esperienze con cui si tenta di creare reti civiche, dice Gianluca Cantisani (MoVI e progetto nazionale Scuole Aperte Partecipate in Rete), dimostrano che il pensiero della prossimità ha bisogno di essere aperto, ripensato in profondità, articolato magari partendo dalle relazioni, dagli spazi, dagli eventi collettivi che già esistono. “Crea sempre da ciò che già hai…”, per dirla con Foucault. Non si tratta certo di immaginare nuovi servizi e avviarli dall’alto, anche se il coinvolgimento delle amministrazioni comunali secondo alcuni è importante per non caricare troppo le molte e diverse realtà di volontariato. Si tratta soprattutto di imparare a gestire eventuali relazioni conflittuali interne ed esterne, di mettere in discussione le modalità cui cui la gerarchia delle istituzioni rischia di limitare libertà e diritti, di pensare le reti di quartiere anche come luoghi di apprendimento comunitario permanente e perfino di racconto (sul bisogno di un’informazione locale, lenta e a filiera corta, ragiona Monica Di Sisto in Raccontare il territorio).
Una cosa è certa: le contraddizioni delle città postmoderne, è evidente ovunque, necessitano di impegni e legami nuovi nei territori. Marina Garcés, filosofa e docente universitaria a Barcellona, lo dice così:
«Non possiamo prenderci cura del pianeta e dei suoi abitanti, umani e non umani, se non abbiamo una percezione diretta del nostro vivere insieme, che è sempre parziale e concreto. Fosse anche solo per questo è necessario avere cura dell’impegno di prossimità, dell’azione diretta e dei legami vivi. Siano essi nel quartiere, all’angolo della strada, dentro casa o nelle triangolazioni impossibili che le diverse città possono arrivare a tracciare…». (Occupare la speranza, Castelvecchi)
La città-condivisa cerca dunque di tessere mondi di mutuo sostegno oltre la città-azienda e spesso lo fa intorno a una scuola. In questo modo, come dimostra anche la vicenda di un quartiere popolare e multiculturale di Madrid, per salvare una scuola si finisce inevitabilmente per cambiare il territorio: La scuola è vita e la vita è quartiere.
Ma una rete di quartiere non è mai una mera somma di sigle, non è neanche un elenco di servizi, è qualcosa che mette insieme persone e realtà collettive di un territorio che vogliono capirsi a partire dai contesti, dai problemi e dai desideri. È una risposta alla domanda imprescindibile: come possiamo imparare a pensare insieme?
[Gianluca Carmosino]
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