La potenza dei cittadini determina la vita di un luogo, le sue relazioni sociali. Quando gli abitanti di un quartiere cominciano a prendersi cura del plesso scolastico locale e, insieme alla scuola, delle attività che può accogliere si scopre la forza dell’autorganizzazione. “Abbiamo firmato un Patto che, oltre alle associazioni che animano il progetto “Scuole Aperte e Partecipate”, coinvolge collettivi artistici, di sport popolare, scout, radio comunitarie, associazioni di solidarietà… – scrive Massimo Ciglio, preside dell’IC Santo Spirito a Cosenza – È stato togliere terreno alla mentalità criminale e mafiosa perché abbiamo discusso, litigato e deciso insieme su come vivere meglio tutti nel quartiere…”. Si tratta, per dirla con Alberto Magnaghi, di fare società locale
Questo articolo da parte dell’inchiesta Il rammendo dei quartieri
Alle nostre latitudini, dopo quasi tre intensi e avventurosi anni di sperimentazione del progetto “Scuole Aperte e Partecipate”, quali strade si sono aperte per vivere senza delegare, per imparare la cura dei beni comuni, per sperimentare l’impegno è stato togliere terreno alla mentalità criminale e mafiosa perché abbiamo discusso, litigato e deciso insieme su come vivere meglio tutti nel quartiereper la democrazia, la scelta di nuovi stili di vita sostenibili, il sostegno alle forme di economia solidale e di comunità? Certamente abbiamo imparato che si possono fare delle belle e significative esperienze di cooperazione e di produzione sociale anche nella nostra città che, come tutte le città meridionali, è più tentata dal “lamento” che dall’azione diretta e partecipativa. Abbiamo sperimentato che si può fare: le scuole intese come beni comuni, luoghi di discussione e deliberazione, architetture sociali, risorse preziose per soddisfare i bisogni di tutti e costruire comunità solidali. Cosenza ha stessa intelligenza collettiva e ricchezza sociale di una città di pari dimensioni europea o del nord Italia.
Fondamentale in primo luogo è stata, dunque, la condivisione della necessità di uno “scarto” culturale: dall’attesa messianica e in fondo confortevole all’azione comune, dal cappello in mano all’esigenza di alzarsi le maniche, togliersi la polvere di dosso e agire. In una parola: la potenza dei cittadini determina la vita di un luogo, le sue relazioni sociali.
In secondo luogo si è rivelato vincente “prendersi cura” del plesso scolastico dello Spirito Santo. L’edificio è diventato “comune” perché tutti, genitori e cittadini, ne hanno disposto e ne hanno avuto riguardo cercando la collaborazione dell’istituzione scolastica, delle maestre, dei collaboratori scolastici e del legale rappresentante che, come devono fare le istituzioni, ha fatto da sponda politica ed organizzativa, tentando di dare forma, continuità e stabilità a quanto associazioni e cittadini – disinteressatamente – già facevano a scuola e nel quartiere.
Ora abbiamo firmato un Patto che, oltre alle associazioni che animano il progetto “Scuole Aperte e Partecipate”, coinvolge collettivi artistici, di sport popolare, scout, radio comunitarie, associazioni di solidarietà. In mancanza di politiche attive cittadine (ricordo che a Cosenza non abbiamo un assessorato alla scuola, né uno al welfare né uno alla cultura), l’istituzione scolastica ha però cercato di creare le condizioni necessarie per permettere ai singoli soggetti e alle aggregazioni sociali di agire liberamente nell’interesse generale, cioè di produrre ricchezza sociale per tutti e pure gratis. C’è di più: dalle nostre parti, come è noto, il potere ‘ndranghetista si fonda sulla delega da parte della comunità, sull’eterodirezione. Quanto abbiamo fatto in questi anni (dagli incontri al Bar Azzurro, alle attività autogestite delle mamme, alla partecipazione alle Marce della Pace, all’organizzazione dei corsi di autodifesa, alle iniziative di solidarietà con i migranti, alle feste di quartiere, e l’elenco potrebbe continuare) è stato togliere terreno alla mentalità criminale e mafiosa perché abbiamo discusso, litigato e deciso insieme su come vivere meglio tutti nel quartiere e nella scuola, senza delegare ad altri la risoluzione di problemi, nel solo interesse generale.
La nostra è ormai un’esperienza consolidata e riconosciuta dal quartiere e dalla città: il nostro plesso è diventato un “luogo comune”, spazio di animazione e aggregazione culturale e sociale, di educazione non formale, di convivenza interculturale e di molto altro. Per molte mamme e genitori, per molti cittadini, partecipare alla vita della comunità scolastica, impegnarsi per la tutela del diritto costituzionale all’istruzione pubblica e di qualità, è diventata una sorta di terapia, una strada per contrastare una visione individualistica e competitiva della vita.
Sorvoliamo sulla crisi e i problemi della scuola – segnalo solo di sfuggita il fallimento sia del modello statalista che di quello aziendalista – per sottolineare quanto sia importante, mediante la capacità di autorganizzazione del territorio, dare forza ai soggetti che vivono e producono nel nostro quartiere e nella nostra città e fare società locale, come diceva Alberto Magnaghi[1].
Seppur in piccolo, estremamente in piccolo, abbiamo cercato di avere come riferimenti gli abitanti, della scuola e del quartiere, e di immaginarci una nuova concezione della ricchezza.
Ora ci aspetta un intenso e bel programma. Senza ideologie ma partendo da quel che siamo, si tratterà di rafforzare e immaginarci con quali forme di autogoverno continuare, quali processi partecipativi, di co-progettazione, quali strumenti di condivisione doverci inventare. Sarà importante immaginare il prosieguo dell’esperienza basandoci sulla volontà di interpretare e costruire il progetto partecipativo – di cui “Scuole Aperte e Partecipate” rappresenta il cuore pulsante – attraverso la consapevolezza che si tratta di aprire spazi di trasformazione sociale e dare vita a nuove istituzioni. Oltre il pubblico e il privato. Buon lavoro a tutti.
Note
[1] Alberto Magnaghi, scomparso nel 2023, è stato fondatore negli anni Settanta del dipartimento di Scienze del territorio presso il Politecnico di Milano e della rivista «Quaderni del territorio». Nel 2001 è stato anche tra i promotori della Rete del Nuovo Municipio e nel 2011 della Società dei territorialisti. Autore di numerosi articoli e libri, tradotti in diverse lingue, ha legato la critica dell’urbanizzazione infinita con la prospettiva del “progetto locale”. Tra i suoi libri, Il principio territoriale (Bollati Boringhieri) e Il territorio bene comune (Firenze University Press)