Una società ferita ha bisogno di intelligenze e saperi che non possono che arrivare da un fare scuola ripensato e riprogettato a fondo, dentro e fuori dall’aula. Occorre creare spazi e tempi nuovi, rintracciabili in ogni realtà territoriale, a partire dai segmenti più fragili nei quali è più forte la povertà educativa. Appunti su una ricerca troppo presto messa da parte
Un gruppo di esperti scelti dalla ministra Lucia Azzolina conduce per mesi una inchiesta accurata ascoltando e coinvolgendo numerose realtà educative. Sono in diciotto e si impegnano in decine di audizioni, organizzano dati, studiano, riordinano materiali, ragionano, avanzano proposte più o meno condivisibili ma argomentate con serietà. Infine consegnano gli esiti della ricerca effettuata in tre mesi di lavoro alla ministra dell’istruzione il 13 luglio, nei tempi previsti, condensandoli in un documento intitolato “Idee e proposte per una scuola che guarda al futuro”. Cosa succede? Nulla. Invece di proporre alla discussione quegli esiti e promuovere un ampio dibattito pubblico, assolutamente necessario per affrontare i difficili compiti di riforma della scuola che abbiamo di fronte, quel documento viene messo in un cassetto, impedendone la diffusione.
Patrizio Bianchi, che ha coordinato quel lavoro di ricerca, reagisce a tanto spreco di intelligenze ed energie scrivendo e pubblicando un suo libro, in cui ringrazia in premessa il gruppo di lavoro e le tante e tanti che ha avuto l’occasione di ascoltare in quei tre mesi dl fruttuoso scambio di idee.
In quel documento vengono formulate alcune raccomandazioni:
«In conclusione il Comitato formula le seguenti raccomandazioni: promuovere relazioni adulte autorevoli nella comunità educante: segnalare al mondo adulto (genitori, docenti, personale educativo, operatori sanitari, terzo settore, …) la necessità in primo luogo di attivare al suo stesso interno modelli relazionali autorevoli, autentici, di mutuo aiuto e collaborazione, prendendo coscienza della necessità di curare e prendersi cura di sé stessi per poter avere cura degli studenti. Ciò vale per la comunità educante di ciascun territorio perché, secondo il vecchio detto africano, “per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio”; supportare la presa in carico educativa da parte degli insegnanti, fornendo loro gli strumenti pedagogici, didattici e psicologici di cui possano necessitare per rispondere ai bisogni degli studenti attraverso una formazione mirata. Aiutare gli insegnanti a ripensare la struttura e l’organizzazione della scuola, l’attività didattica e le metodologie messe in atto, così da creare un contesto di esperienze di apprendimento, crescita e intelligenza emotiva nel nuovo sistema di spazi ‘connessi’: dentro-fuori l’aula e anche virtuale. Fare appello al patrimonio artistico, monumentale, ambientale ora è più che mai prezioso e conveniente per rendere significative proposte curricolari che hanno bisogno di spazi e tempi “nuovi”, rintracciabili in ogni realtà territoriale italiana piccola o grande; ricorrere ad accordi territoriali per la presa in carico del disagio, con l’attivazione di supporti personali per insegnanti e famiglie e gruppi di ascolto e di aiuto. Utile a questi fini la valorizzazione del contributo competente delle professionalità che si prendono cura dei bambini e dei ragazzi: insegnanti, dirigenti, famiglie, educatori, animatori, pedagogisti, psicologi dell’età evolutiva, pediatri, neuropsichiatri infantili, medici competenti. La più grande forma di alleanza in questa fase di emergenza è il raccordo tra la scuola che rileva il disagio e le possibili reti professionali per la presa in carico personalizzata…».
Nel reagire al terremoto che nel maggio 2012 colpì decine di paesi intorno a Mirandola, si decise di ripartire dalle scuole e inaugurare il nuovo anno permettendo a tutte le classi di riunirsi, sin dal primo giorno, in ogni luogo possibile a partire dalle piazze in cui erano state da poco rimosse le macerie. Patrizio Bianchi, che all’epoca era assessore alla regione Emilia Romagna, ricorda quella scelta condivisa dalla popolazione e sostenuta da tutte le amministrazioni locali, scrivendo che in quelle settimane comprese quanto “nella scuola stia il battito della società”.
L’affermazione potrebbe suonare retorica, se non punteggiasse un libro attraversato da una forte tensione etica e politica, volta a dimostrare quanto le sorti dell’economia e del benessere sociale dipendano strettamente dalla qualità dell’istruzione. L’assunto è facilmente verificabile in negativo e in Nello specchio della scuola, edito dal Mulino, Bianchi documenta la perversa complementarietà tra disinvestimento in istruzione e stagnazione economica, tra sfiducia nella ricerca e abbandono del sud e di vaste aree del paese. Di fronte all’ultima crisi finanziaria, tra il 2009 e il 2016, la spesa in educazione calò drasticamente da 72 miliardi a poco più di 65, assottigliando la percentuale di spesa pubblica dedicata all’istruzione dal 9,2 al 7,8% ponendoci in coda nel nostro continente, mentre in Germania passava dal 10,19 al 10,9% e la media europea si assestava sopra il 10%”. Sono scelte che si pagano perché la dispersione scolastica riprese ad aumentare superando il 14% a livello nazionale, il che vuol dire che ci sono regioni e territori in cui si raggiunge la cifra spaventosa del 30-35%: un terzo delle intelligenze di ragazze e ragazzi a cui si toglie respiro sul nascere.
Il libro delinea una mappa documentata dei principali problemi aperti e le pagine più interessanti sono quelle in cui l’autore parla della sua esperienza di amministratore. Non so se sia giusto accorpare in un unico assessorato scuola, sviluppo, ricerca, università, formazione professionale e lavoro, insieme al coordinamento delle politiche europee, ma è certo che quella postazione ha permesso una visione della scuola e una capacità di intervento che si è rivelata efficace, perché la diffusione capillare della formazione professionale ha ridotto i tassi di dispersione in Emilia Romagna da 16,5 a 9,9%.
Affidare le sorti della scuola agli economisti sarebbe certo azzardato, perché ci sono aspetti dell’educare che debbono prescindere da ogni utilitarismo immediato, ma confrontarsi con le durezze del mercato, le sfide della globalizzazione e delle incalzanti trasformazioni tecnologiche, permette uno sguardo imprescindibile sulla scuola e la sua funzione sociale. Si può finalmente parlarne a partire dalla formazione professionale e degli Istituti tecnici, che raccolgono quasi la metà degli studenti, e affrontare lì dove nasce la piaga dell’abbandono e delle crescenti povertà educative. La pandemia e la chiusura prolungata oltre misura delle scuole hanno fatto emergere problemi antichi, che chiedono di essere affrontati con radicalità e lungimiranza.
Patrizio Bianchi è stato incaricato dalla ministra Lucia Azzolina di coordinare da aprile un Comitato di diciotto esperti per elaborare proposte per la riapertura delle scuole. In tre mesi di lavoro il Comitato ha ascoltato diverse decine di realtà vive e attive nella galassia dell’istruzione, ma questo prezioso lavoro di inchiesta e le proposte che ne sono scaturite sono finite nel cassetto della ministra, che le ha relegate a un pigro ed inerte uso interno. Con questo libro Bianchi reagisce a questa improvvida dissipazione proponendo una discussione fattiva, con la consapevolezza che, per imboccare la strada stretta di una conversione economica capace di sostenibilità sociale e ambientale, abbiamo bisogno di alimentare intelligenze, energie e competenze che non possono che venire da una scuola ripensata e riprogettata a fondo, a partire dai suoi segmenti più fragili e dai luoghi in cui c’è maggiore bisogno di istruzione. Perché i fondi del Next generation EU arrivino davvero alle future generazioni c’è infatti bisogno di una consapevolezza pubblica e di una determinazione politica che sembrano mancare.