Un percorso di apprendimento diventa fertile quando non mancano gli inciampi e la ricerca è collettiva. Ma come creare una cooperazione tra chi apprende? Attraverso il fare che rende sempre attiva la partecipazione di tutti, il riflettere che dà fondamento alle scelte abbracciate, il documentare, che consente di analizzare il percorso passo dopo passo. In questa intervista realizzata dai ragazzi e le ragazze di tre prime medie dell’I.C. Fratelli Bandiera di Roma (per il progetto Scappare, che lega tre scuole aperte e partecipate), Luciana Bertinato, insegnante e collaboratrice di Mario Lodi, racconta com’è nato il libro Una scuola felice (Franco Angeli) e ragiona su concetti di straordinaria attualità: cooperazione, gestione del confitto ed educazione alla pace
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Il corso di giornalismo promosso nella scuola Fratelli Bandiera di Roma (progetto Scappare) ha offerto ai ragazzi e alle ragazze delle prime media l’occasione di sperimentare uno dei generi giornalistici per eccellenza: l’intervista. Dopo un’adeguata discussione sui temi della scuola (33 idee per una scuola felice) è stata preparata e realizzata questa intervista a Luciana Bertinato, autrice del libro Una scuola felice (in questo link ampi stralci di un paragrafo del libro, qui invece un’ottima recensione scritta da Franco Lorenzoni, Tutto ciò di cui ha bisogno la scuola). Buona lettura.
Cosa ti ha ispirato e perché hai scritto il libro Una scuola felice?

Il libro è nato pensando ai bambini e alle bambine che ho incontrato nei miei anni di scuola, e al maestro Mario Lodi con il quale ho collaborato a lungo nella Casa delle Arti e del Gioco di Drizzona (Cremona). “Una scuola felice” è un dono di restituzione ai miei alunni dei loro pensieri, delle emozioni e delle esperienze vissute. Ho documentato il lavoro svolto per offrire a insegnanti, studenti e genitori una riflessione sulla mia esperienza, sollevare domande e cercare insieme ciò che è possibile fare oggi, affinché tutti i bambini siano accolti in una scuola che pratica la democrazia e vive percorsi di cittadinanza attiva.
Perché e quando hai iniziato a scrivere questo libro?
Il maestro Mario mi chiedeva spesso di scrivere un libro per raccontare ciò che facevo a scuola. Insieme abbiamo pubblicato moltissimi testi, disegni e ricerche dei bambini sulla rivista “La Vita Scolastica” (Giunti), su “A&B” e “Il giornale dei bambini”. Abbiamo dato voce a tanti alunni, come afferma l’articolo 21 della Costituzione italiana, perché anche le bambine e i bambini sono cittadini liberi di esprimere il proprio pensiero con ogni mezzo. Ma la scelta di scrivere il diario della mia esperienza è scaturita da un fatto straordinario. Era il 2016, avevo appena terminato il mio percorso di maestra con la classe Coccinelle nella scuola Primaria di Soave (Verona). Rovistando tra le lettere e i testi di Lodi, che ci aveva lasciato due anni prima, trovai un foglio, dove Mario aveva scritto a matita con la sua bella grafia: “Idee per il libro di Luciana”, appuntando una serie di argomenti da trattare e il nome dei pedagogisti che avevano ispirato il suo impegno educativo. Senza dirmi nulla aveva pensato all’indice del mio libro! Ogni maestro e maestra, sosteneva, dovrebbe “lasciare una traccia” del proprio lavoro a scuola. Perciò, leggendo quegli appunti, non potei più esitare e mi misi subito al lavoro. Ho cercato di raccontare la scuola felice che ogni bambino e ragazzo dovrebbe avere. Felice perché include tutti e fa stare bene, rispetta il pensiero di ciascuno, promuove la responsabilità negli incarichi, fa vivere tempi lenti necessari a sviluppare i linguaggi della conoscenza, favorisce il contatto diretto con la natura e coltiva la bellezza. Felice è sinonimo di fertile, fecondo, un cammino spesso faticoso e pieno d’inciampi, ma sempre appassionato e in ricerca. Fare in modo attivo con gli alunni, riflettere per dare fondamento alle scelte, alle attività didattiche, agli obiettivi, documentare il lavoro: sono queste le tappe del cammino di tanti insegnanti che lavorano in modo cooperativo.
Vi dono il testo di una lettera inviata da Lodi ai miei alunni, il 17 febbraio 1997, nella quale li invitava a scrivere insieme alcune storie da pubblicare nel giornalino.

Quali consigli potresti darci per migliorare la collaborazione tra alunni e insegnanti e migliorare il nostro rapporto quando è conflittuale?
La condizione per una buona collaborazione, tra di voi e con gli insegnanti, è mantenere aperto un dialogo costante, anche acceso, ma sincero e costruttivo, fatto di ascolto e di confronto tra le diverse opinioni. Oggi non è facile: la realtà in cui viviamo è molto complessa, i conflitti personali e collettivi si sono accentuati, l’isolamento al quale ci ha costretto la pandemia ha accresciuto l’aggressività nei comportamenti e nel linguaggio caratterizzato da parole ostili. Praticare la gentilezza è diventato un atto controcorrente e rivoluzionario! Penso che il conflitto faccia parte della vita, e che per questo motivo debba essere affrontato e risolto in maniera non violenta. Ma per fare questo occorre lavorare sui litigi e le incomprensioni: ragionare insieme sulle cause che li provocano e sulle loro conseguenze, comprendere le emozioni che si vivono e cercare insieme le strategia positive per risolverli. Quando a scuola tra i bambini sorgeva qualche litigata scrivevo alla lavagna i loro pensieri (tecnica di gruppo del brainstorming) e insieme si discuteva per trovare le possibili soluzioni (negative: il dominio e la fuga difensiva – positive: l’accomodamento, il compromesso, l’integrazione). All’inizio era difficile dare un nome alle emozioni (rabbia, solitudine, invidia, gelosia, paura…) ma, piano piano, l’educazione a riconoscere i sentimenti ci è stata di grande aiuto. È una pratica faticosa, tuttavia soltanto in questo modo abbiamo capito che il conflitto può essere un’occasione di crescita personale, una “palestra” per conoscere se stessi e misurarsi con gli altri con empatia e in forma collaborativa. Questo modo di fare lo abbiamo adottato anche per scegliere e votare, per alzata di mano, le regole della classe (la nostra Costituzione) che ci hanno insegnato a praticare la democrazia e a stare bene insieme.
Riesci a far conoscere la tua esperienza ad altre scuole?
Sì, spesso insegnanti e genitori mi scrivono, dopo aver letto il libro o qualche mio articolo, per chiedermi alcuni consigli e mi invitano nelle scuole a raccontare ai ragazzi la mia esperienza. Nei giorni scorsi, per esempio, sono andata nella scuola di Negrar (Verona) a presentare e sperimentare con una classe quinta il progetto “Tutta mia è la città”, una ricerca d’ambiente per conoscere il territorio realizzata attraverso un album di figurine speciali disegnate dai bambini.
Una nostra compagna ha detto: “I voti a volte sono come i soldi: servono a mostrare una superiorità verso gli altri”. Cosa ne pensi?
Sono d’accordo con lei e con Alberto Manzi che era contrario ai voti. Sapete ciò che ha fatto per ribellarsi a questa pratica? Sulle pagelle di tutti i suoi alunni un giorno scrisse: “Fa quel che può, quel che non può non fa”. Per questo fu sanzionato più volte dal Consiglio di disciplina. Eppure era un bravissimo maestro: pensate che negli anni Sessanta, con la trasmissione televisiva “Non è mai troppo tardi”, avvicinò milioni di italiani alla lettura e alla scrittura lottando contro l’analfabetismo ancora diffuso. Anche Mario Lodi pensava a una “scuola senza pagelle e con tante chiacchierate con i genitori, perché, alla fine, invece di una bella pagella, si abbia un bel ragazzo, cioè un ragazzo libero, sincero, migliore comunque”. I voti sono l’espressione di una scuola che fa della competizione una gara per premiare chi arriva primo. Dividono gli alunni e non descrivono in modo formativo i cambiamenti e i progressi di ciascuno. Io penso che non si possa valutare il cammino dell’apprendimento di un ragazzo o di una ragazza con un numero, così “come si fa a misurare il perimetro delle nuvole?” (Alberto Manzi).
Come è nata invece l’idea della Carovana dei pacifici? Il progetto è adatto per tutte le scuole di ogni ordine e grado? Fino a dove è arrivato il progetto, anche oltre l’Italia? C’è stato qualche ritorno speciale da parte di persone che sono rimaste particolarmente colpite dall’iniziativa?
I Pacifici sono nati da un’idea geniale del mio amico Roberto Papetti, un giocattolaio bravissimo. Nel suo laboratorio di Ravenna costruisce giocattoli con tanti materiali di recupero, li porta nelle scuole e nelle biblioteche e insegna a grandi e bambini a pensare con le mani. Roberto, nel periodo della guerra del Golfo in Iraq (agosto 1990 – febbraio 1991), fu colpito dal modo in cui i bambini percepivano le immagini dei bombardamenti sulle città e da altri atti di guerra, e per questo pensò di allestire una mostra sui giocattoli di pace. Voleva che fosse possibile riflettere sulla terribile tragicità dei conflitti armati, sulla necessità di pensare e costruire la pace. Realizzò giocattoli fantastici: la “spada volpale” che gratta e fa il solletico, “l’archibugio cerbottana spaziale” che spara nuvole di polvere del “deserto che avanza”, “il fucile spara maccheroni” che tira pasta asciutta nella bocca dei bambini, il “fuciletto” che ha per canna un pastello o matita colorata per disegnare, una lunga corda, dentro una guaina lenzuolo dipinta con i colori dell’arcobaleno, per saltare. Un giorno, era il marzo del 2015, ci trovammo con lui nella casa del maestro Mario per ricordarlo a un anno dalla sua morte. Roberto ci propose la lettura della poesie di Jorge Luis Borges I giusti:
Due impiegati che in un caffè del Sud giocano in silenzio agli scacchi.
Il ceramista che intuisce un colore e una forma.
Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace.
Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto.
Chi accarezza un animale addormentato.
Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto.
Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson.
Chi preferisce che abbiano ragione gli altri.
Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo.
Dodici versi che raccontano come ogni persona qualunque, ogni giorno, fa qualcosa per diffondere la pace, senza mettersi in mostra. Abbiamo poi scritto un nostro pensiero e disegnato la nostra sagoma pacifica posizionandola sull’aia, davanti alla cascina del maestro Mario, come segno di gratitudine. Tornata nella mia scuola primaria di Soave (Verona), proposi alla classe terza “Coccinelle” di fare un’esperienza pilota: capire le cause dei nostri conflitti e cercare insieme soluzioni positive. I bambini realizzarono le loro sagome e, a sorpresa, le collocarono sulla mia bici parcheggiata nel cortile della scuola.

Mi chiesero di portare i loro Pacifici in vari luoghi della nostra città, e da quella richiesta scaturì l’idea di farli viaggiare. Con Roberto ed Emanuela Bussolati, scrittrice e illustratrice di libri per l’infanzia, lanciammo la proposta della carovana come iniziativa potente su tutto il territorio nazionale: l’idea era che la carovana potesse viaggiare in Italia e nel mondo con il suo messaggio di pace. È così accadde: tra le sue numerose tappe, ha raggiunto la Spagna, la Palestina, la Germania, il Nepal, il Giappone, il Perù, il Rwanda, la Somalia, il Brasile… ha sostato nelle chiese e nelle biblioteche, è entrata nelle scuole e nei musei, ha occupato piazze e cortili di piccoli paesi e grandi città. Tra le soste più significative del cammino c’è stata l’esperienza vissuta dai carcerati delle due case circondariali di Brescia. I detenuti e le detenute hanno scritto i loro pensieri su alcune toppe di stoffa cucite insieme, così da formare un grande telo colorato!

Il progetto ha tratto ispirazione dal modello pedagogico di Mario Lodi e dal suo libro sulla Costituzione, in particolare dall’articolo 11 che dichiara il rifiuto della guerra da parte dell’Italia. Nel 2020 è uscito il kit, a cura di Carthusia editore, composto di una guida per gli insegnanti e da un pieghevole con i pensieri dei bambini che hanno risposto a una serie di domande. Perché non provate a rispondere anche voi?
«Per essere pacifici bisogna essere molto sapienti?».
«Ci sono dei trucchi?».
«Bisogna fare grandi azioni?».
«È sempre facile essere pacifici?».
«Tutti possono essere pacifici?».
Sino a oggi questo progetto di educazione alla pace ha coinvolto oltre 20.000 ragazzini ed è stato diffuso, prima dalla Rete di Cooperazione Educativa, poi dall’Associazione Montessori Brescia. È una proposta semplice, adatta a ogni tipo di scuola: dall’Infanzia all’Università. Dal 2015 le sagome pacifiche camminano ancora in questi giorni, abitati dai venti di guerra nel cuore della nostra Europa, gridando a tutti l’urgenza della pace.
Diceva la grande pedagogista Maria Montessori:
“Tutti parlano di pace ma nessuno educa alla pace. A questo mondo, si educa per la competizione, e la competizione è l’inizio di ogni guerra. Quando si educherà per la cooperazione e per offrirci l’un l’altro solidarietà, quel giorno si starà educando per la pace.”
E Mario Lodi le fa eco:
“Oggi è difficile educare perché il nostro impegno di formare, a scuola, il cittadino che collabora, che antepone il bene comune a quello egoista, che rispetta e aiuta gli altri, è quotidianamente vanificato dai modelli proposti da chi possiede i mezzi per illudere che la felicità è nel denaro, nel potere, nell’emergere con tutti i mezzi, compresa la violenza. A questa forza perversa noi dobbiamo contrapporre l’educazione dei sentimenti: parlare di amore a chi crede nella violenza, parlare di pace preventiva a chi vuole la guerra. Dobbiamo imparare a fare le cose difficili, come disse Gianni Rodari in una delle sue ultime poesie: parlare al sordo, mostrare la rosa al cieco, liberare gli schiavi che si credono liberi”.