A Bari e Barletta gli archivi sui beni e sulle attività culturali finiscono nelle scuole per riscoprire la storia del territorio. A Potenza le biblioteche diventano case di quartiere e mobili su ruote. A Napoli, Roma, Modena, intanto, si sperimenta l’affido culturale. In Friuli invece c’è chi racconta il territorio e i suoi beni culturali attraverso video e cortometraggi. Nei borghi della Laga Teramana nasce un festival di sei mesi che parte dall’importanza dei sentieri. E ancora: nel Municipio VII di Roma prende forma un ampio percorso sui diritti dell’infanzia tra uso consapevole delle tecnologie ed educazione alla diversità, mentre Capodarco sperimenta strade differenti per alimentare la creatività e la partecipazione dei giovani… Ci sono seminari che sanno accompagnare i tanti e diversi modi di essere comunità educante

«Ci sono molto persone che non hanno voglia né tempo per la denuncia. L’accaloramento che il “palcoscenico” comporta non le attrae. Il fervore che vivono altrove, nei loro laboratori di ricerca sulla vita, vera e vissuta, le rende inclini a preferire a volte la frescura dell’ombra. Però ci sono. E talvolta escono dalle loro fucine, dai loro “laboratori esistenziali”, dove sperimentano nuove frontiere del vivere, inedite forme di intelligenze esistenziali e collettive, strategie e saperi sempre più indispensabili alla sopravvivenza di tutti e tutte. Sono abbastanza numerose, anche se silenziose, più simili a formiche che a cicale, senza offesa per le cicale…». La parole di Loredana Tamburrano, formatrice professionale della Comunità di Capodarco, spiegano bene il significato del seminario promosso da Arce (Alleanza Reti Comunità Educanti) e Dgeric (Direzione Generale Educazione Ricetca e Istituti Culturali, ministero della Cultura). Il 20 gennaio 2023 abbiamo voluto sancire ancora una volta la centralità dell’alleanza tra la gestione pubblica dei beni comuni e la democrazia attiva, entrambe beni comuni, e lo abbiamo fatto organizzando un seminario dal titolo “Patrimonio Culturale e ruolo delle Comunità per il diritto all’Educazione”. L’obiettivo della rete Arce era portare l’attenzione sulla continuità delle progettazioni a livello nazionale, da parte degli istituti del ministero della cultura e di Arce stessa, tutte progettazioni orientate ai processi partecipativi di bambini e bambine, giovani e adulti.
In un precedente articolo per Comune-info, condiviso con Vincenzo Curatola (Forumsad/Arce) scrivevamo: “I contratti e gli accordi tra stato e società vanno sempre riformulati, ridefiniti e oggi che il modello di Stato democratico si indebolisce sempre più, oggi che le crisi sono ormai sistemiche, emergenziali, continuative, interdipendenti e strutturali, l’urgenza di garantire un contratto tra stato e società tutta, si fa più pressante, così come lo rivelano le sfide messe in campo dalle forze sociali civili e dai movimenti giovanili nazionali e internazionali”. Così la giornata del 20 gennaio non è stata solo un seminario formativo, di conoscenza e coscienza, ma un nutrimento condiviso e un ulteriore passo avanti fatto tutti insieme per riconfermare quell’accordo, più che mai urgente, tra Stato – le istituzioni pubbliche sono fatte poi dalle persone che vi operano, oltre che dalla politica – e società che vorremmo assimilare a una sorta di “manifesto sociale”. “Manifesto” per indicare un nuovo disegno di alleanze che accorcia o forse ricuce quello strappo profondo avvenuto dagli anni Novanta e “sociale” per tradurre queste alleanze in una pratica che, proprio perché diffusa e partecipata, si fa politica. Si tratta, insomma, di rimettere al centro il diritto di tutti e tutte a “vivere bene” – concetto semplice ma non scontato -, a iniziare dall’età dell’infanzia e dell’adolescenza.

L’identità di questo diritto è infatti sfumata negli anni a causa di uno Stato che ha abdicato nel tempo la gestione pubblica dei servizi primari (sanità, servizi educativi, scuola, servizi alla persona, spazi pubblici…) e più in generale la cura e il benessere di ogni persona e di tutta la comunità, nonché la cura dei luoghi.
Nelle nostre società, nel caos che regna paradossalmente proprio attraverso le diverse forme di ordine costituito e consolidato come società, si avverte sempre più un bisogno di certezze, da quelle personali a quelle collettive. Certezze che andrebbero riagganciate al riconoscimento sociale e politico dello stato di diritto, uno Stato in linea con le sue funzioni e il suo dovere di prendersi cura, appunto, dei cittadini. Avvertiamo il bisogno di alleviare quel senso di incertezza e insicurezza che sentiamo addosso come un abito consumato e che segna la crescita di bambini, adolescenti e giovani, determinato oggi dall’incremento di una complessità, che intreccia instabilità, precarietà della vita, nonché dall’assenza di una politica, che genera in loro, e non solo in loro, quella sensazione di perdita di controllo sulla vita reale.
Riconoscersi nell’altro, sentirsi parte di qualcosa che ci trascende, diventando e costruendo insieme narrazione, storia, cultura o arte e politica, rappresenta quella possibilità capace di svolgere quel sano ruolo di contaminazione e di “produzione identitaria”, sia individuale che collettiva.
Siamo affollati dalle distrazioni direttamente e indirettamente imposte, meccanismi usuali e diffusi di controllo (Sanremo ne è forse una delle massime espressioni, senza interruzione di continuità da più di settant’anni), e al contempo, siamo però desertificati nel riconoscimento del diritto, il grande assente della politica. Mentre questa si allontanava da noi, per prendere altre direzioni, noi ci allontanavamo da lei, lasciando campo libero alla proliferazione di “erbacce tossiche e velenose” anziché alla cura attenta e continuativa dei beni comuni.
Vogliamo però portare in luce la giornata del 20 gennaio per fare riferimento alle “buone pratiche“, senza alcuna presunzione, iniziando dai progetti educativi/culturali collegati alla Dgeric, ministero della Cultura (da una ricerca di Openpolis emerge che “l’Italia è uno dei paesi con il patrimonio culturale più esteso al mondo, eppure la quota di giovani che vi ha accesso è inferiore alla media Ue. Ecco perché è importante valorizzare l’offerta di musei e siti culturali rivolta ai minori e alle loro famiglie, insieme alla comunità educante…”).
Un progetto dell’archivio di stato di Bari e dell’archivio di stato di Barletta, ad esempio, ha attuato processi inclusivi di partecipazione delle scuole, invertendo un paradigma scontato nel tempo: non sono le scuole ad andare negli archivi ma sono gli archivi ad andare nelle scuole con un taglio più giornalistico formativo e informativo sulla storia locale dei territori. Non si fa più conservazione, ma valorizzazione, partecipazione, ricerca e divulgazione.
Il polo bibliotecario integrato di Potenza, invece, è un grande e moderno edificio che unisce la Biblioteca Nazionale alla Provincia con l’Università della Basilicata. Un progetto esteso che mette al centro, riuscendoci, le comunità territoriali, rendendo le biblioteche “case di quartiere” o “mobili su ruote”, come quella progettata da Alterstudio con Aib e nata nell’iniziativa “Nati per leggere”. La “Fabbrica delle Idee” è il primo spazio dedicato al coding, alla robotica educativa e alla fabbricazione digitale, allestito nel nuovo edificio, dotato di ampie risorse informatiche per un processo di apprendimento basato sulle forme e sul metodo della cultura aperta.
Molto interessante è anche il cosiddetto “affido culturale”, che si propone di diventare un servizio stabile attraverso due pilastri: la relazione tra nuclei familiari e tecnologia. L’affido culturale già presente in diverse città tra cui Napoli, Roma, Modena e Bari.

E ancora: in Friuli Venezia Giulia, la Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio, con il progetto “Proprio lì davanti a me”, a proposito di inclusione sociale, ha coinvolto centri diurni e residenziali, cooperative sociali e di volontariato, scuole e singole persone e il centro per i minori non accompagnati, arrivando alla realizzazione di 23 video da loro prodotti.
Sono diversi anche i percorsi virtuosi avviati dalle realtà che aderiscono ad Arce raccontati il 20 gennaio. Un lavoro portato avanti da Sentiero Verde e Federtrek dedicato alla Comunità dei borghi della Laga Teramana culminerà in un festival di sei mesi, coinvolgendo i comuni e le frazioni, nonché il comune di Teramo. Il progetto che vedrà la condivisione con Omep (Organizzazione Mondiale Età Prescolare) a sostegno delle Comunità già colpite dal sisma del 2016.
Interessanti anche le pratiche messe in campo da Forumsad, Conngi, Aib, Ecpat, Cgd, Opes – che proseguiranno per due anni nel Municipio VII di Roma – con il progetto “Peer Sharing” (per la promozione della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, un uso consapevole delle tecnologie, l’educazione al rispetto delle diversità).
È invece dedicato alla creativa e alla partecipazione attiva dei giovani, un progetto promosso da Capodarco a Roma che coinvolge anche studenti e studentesse dell’Università la Sapienza per mettere in campo scambi fruttuosi tra loro, Arce e ministero.

Il filo rosso che lega questi e altri progetti di Arce è il presupposto che nessuno educa nessuno ma che tutti ci educhiamo dentro forme di comunità coesa e di collettività, in una dinamica evolutiva e generativa che poi è quella che è sempre appartenuta alla nostra specie sin dagli albori. Non ci percepiamo autoreferenziali o portatori di un educare valoriale asimmetrico e gerarchico da esportare ma ci sentiamo parte, insieme agli altri, di processi intergenerazionali, interculturali e mondiali che si articolano lungo la linea di un cerchio che non si chiude mai.
Nel convegno di aprile 2022, quando fu presentato il documento di intenti della Dgeric, ogni organismo Arce, aveva individuato su proposta di Gianluca Carmosino, presente al convegno come Comune-info e Territori Educativi, un verbo/chiave capace non solo di sintetizzare il senso delle nostre azioni, ma di renderlo immediatamente individuabile e percepibile: condividere, includere, accompagnare, rammendare, legare, responsabilizzare, fare esperienza, trasformare, curare, amare, cooperare. Verbi da coniugare ovunque al presente, ai quali abbiamo aggiunto “proteggere“. Oggi potremmo chiudere con un verbo che, in realtà, può raccoglierli e accomunarli tutti, richiamando quel patrimonio culturale, educativo, ma soprattutto umano, partecipativo, democratico, oggi molto esteso, diffuso, trasversale, intergenerazionale, interculturale e mondiale, che non deve essere disperso che possiamo trovare in tante pratiche dal basso (come quelle raccontate da Comune-info), il verbo è “continuare”. E il film Close, poeticamente reale e suggestivo, ce lo indica e sollecita così, attraverso le parole sussurrate dall’adolescente Leo al suo amico Remì, mostrandoci i loro sentimenti e la loro suprema sensibilità umana, nel ritrovarsi “il più vicino possibile”: “Tu continui a saltare sul trampolino, salti fino a raggiungere le stelle e l’aria ti fischia nelle orecchie…”.
Ambra Pastore (Sentiero Verde/Federtrek e Arce)
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