Un’idea che diventa appello e poi un percorso. “Scuole aperte” in Toscana mette insieme quattro scuole di Firenze e quattro di Pistoia per immaginare la crisi pandemica come una opportunità e per costruire il rapporto tra scuola e territorio utilizzando quest’ultimo come una risorsa di aule diffuse e di straordinarie opportunità educative. Tra autoformazione, partecipazione e sperimentazione quel percorso ha assunto già molti volti diversi
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Scuole aperte è un’idea (e poi un progetto) che nasce durante il primo lockdown dell’aprile 2020, dalla preoccupazione per il futuro della scuola, in quel periodo chiusa per la prima volta a causa della pandemia e senza alcuna prospettiva che ci aiutasse a immaginare come e quando avrebbe riaperto. La pesantezza di quei giorni fece nascere un appello – dallo scambio tra un dirigente scolastico, un’insegnante e un urbanista raccolto dall’associazione La città bambina – che era una proposta e al tempo stesso una sfida: provare a immaginare la crisi come una opportunità, richiamando altri periodi della storia recente in cui una pandemia come quella della tubercolosi aveva radicalmente trasformato gli spazi della scuola – per aprirli all’aria e alla luce – e di conseguenza gli approcci pedagogici.
La nuova scuola dell’emergenza che si presentava all’orizzonte avrebbe subito l’impatto delle misure igieniche tra cui il distanziamento sociale e molti spazi scolastici sarebbero stati insufficienti a praticarlo.
La proposta era di immaginare la riapertura come un’occasione per ricostruire il rapporto scuola territorio utilizzando quest’ultimo come una risorsa di aule diffuse (circoli, cinema e teatri, sale parrocchiali, inutilizzate proprio a causa delle pandemia, unite a cortili scolastici, parchi, giardini, lungofiume) e di opportunità educative troppo a lungo vagheggiate e mai praticate (lezioni teatro, cineforum, uso della città come ambiente di apprendimento, sperimentazione delle pratiche dell’educazione diffusa e outdoor etc.).
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In questa idea gli spazi aperti tornavano ad assumere un ruolo centrale, spesso sottovalutato dalla scuola italiana e da un cultura genitoriale (e normativa) iperprotettiva nei confronti dei bambini, punitiva nei confronti di insegnanti coraggiosi che si assumono la responsabilità di fare le uscite didattiche, e generalmente sospettosa nei confronti di certe pratiche educative. Spesso il concetto di Scuola Aperta evocava solo l’idea distorta che si dovessero tenere i bambini all’aperto anche sotto la pioggia e non lo sviluppo del potenziale dell’integrazione tra scuola territorio.
L’appello raccolse in pochi giorni le firme di oltre cento organizzazioni che mettevano insieme diverse tipologie di soggetti dei territori soprattutto di Firenze e Pistoia ma esteso al territorio regionale con alcune adesioni importanti anche da organizzazioni nazionali. I soggetti messi insieme erano scuole (con adesioni dei dirigenti e ove possibile dei consigli di istituto), comitati di genitori, associazioni, circoli, parrocchie, teatri, cinema, centri educativi e di ricerca e produzione artistica, in grado anche di offrire i propri spazi e a volte i propri operatori con proposte di educazione alternativa a quella tradizionale.
In quel periodo alcune città e alcune istituzioni di ricerca come il Politecnico di Torino avevano iniziato anche a lavorare con equipes multidisciplinari alla stesura di linee guida per l’utilizzo di spazi esterni alla scuola individuando tutte le necessità di dotazione e sicurezza e le modalità di gestione delle responsabilità per poterli utilizzare.
Durante l’estate le scelte del governo furono diverse: riportare tutti gli alunni in classe, col distanziamento, anche a costo di stravolgere l’organizzazione degli spazi della scuola trasformando tutti quelli disponibili in aula. Quello che è accaduto in molte scuole è stata la perdita degli spazi per la didattica laboratoriale (aule di musica, informatiche, laboratori scientifici o tecnici), i turni, l’abbattimento di muri per allargare le aule e il trasferimento di intere sezioni in altra sede, l’uso dei cortili a turno o con parcellizzazione, gli ingressi sfalsati.
Ma anche a livello di organizzazione didattica le conseguenze in molti casi sono state pesanti: fissità della disposizione dei banchi, uso delle mascherine con difficoltà nella percezione di quello che viene detto e delle emozioni, impossibilità del lavoro di gruppo, dello scambio di materiali, dell’incontro con altre classi, chiusura agli operatori esterni e soprattutto e incredibilmente divieto delle uscite didattiche.
A tutto questo si è aggiunto un continuo alternarsi di scuola in presenza e a distanza, di quarantene di studenti e di docenti, di cambiamenti di orari, di sostituzioni e una giostra infinita di supplenti…
In sostanza un anno difficile.
E l’appello di Scuole aperte?
Nonostante la mancanza di reazioni da parte delle istituzioni locali, regionali e nazionali a cui era stato inoltrato l’appello con le firme (in quel periodo ne iniziarono a girare molti altri dello stesso tenore – tra i più diffusi quello pubblcato si Comune-info Una scuola speciale per tutte/i – insieme ai crescenti appelli alla riapertura del comitato Priorità alla scuola), la rete nata da Scuole Aperte ha continuato a incontrarsi e a scambiare riflessioni su come si sta dentro la scuola dell’emergenza e come si potrebbe continuare a immaginare una scuola diversa e a sperimentare nonostante o oltre l’emergenza.
Nasce cosi a settembre 2020 il progetto Scuole aperte in rete, che ha ottenuto il sostegno dell’Autorità per la partecipazione della Regione Toscana, promosso da una rete di scuole e altri soggetti dei territori di Firenze e Pistoia, di cui è capofila l’IC Montangola-Gramsci di Firenze. La rete è composta da: quattro scuole di Firenze (oltre al comprensivo capofila, gli IC Barsanti e Centro storico con i rispettivi comitati dei genitori e una scuola superiore, l’ITT Marco Polo); quattro di Pistoia e dintorni (gli IC Leonardo Da Vinci, Raffaello, Bonaccorso da Montemagno di Quarrata e il Liceo Artistico Petrocchi).
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Alla scuola capofila Montagnola-Gramsci, usata come caso pilota per alcune sperimentazioni, si aggiunge una piccola rete territoriale di partner del quartiere dell’Isolotto composta oltre che dal comitato Genitori in movimento, dal CEP – Centro educativo popolare, dalla Piccola Scuola di Pace “Gigi Ontanetti” e dalla presidenza del Consiglio di Quartiere 4 che ha scritto una lettera di sostegno.
Formazione, partecipazione, sperimentazione
Il progetto prevedeva soprattutto una azione iniziale di supporto formativo per affrontare un ulteriore anno di emergenza senza rinunciare a innovare le proprie pratiche educative e a sperimentare modalità diverse di organizzazione spazio-temporale della scuola postCovid. Il programma formativo prevedeva corsi di formazione per docenti sulla didattica digitale integrata e sul cooperative learning e workshop aperti a tutti (genitori, insegnanti e operatori) sulla Pedagogia della cura, la Pedagogia istituzionale e l’Educazione diffusa, modelli che richiedono il coinvolgimento e la condivisione di tutta la comunità scolastica per essere attuati.
A questi si è aggiunto il percorso partecipato del Laboratorio Scuola-Territorio e della Ricerc-azione condivisi con la rete allargata di Scuole Aperte estesa oltre il partenariato di progetto, che ha connesso i fili di una riflessione collettiva su cosa non ha funzionato finora nel rapporto scuola territorio e cosa si potrebbe fare per renderlo finalmente il motore della nuova scuola immaginata. Da questo percorso – supportato anche da alcune ricercatrici dell’Indire – sono nate le idee per il futuro di Scuole Aperte, nella direzione della creazione di una rete di scuole pilota vero e proprio progetto di sperimentazione e di una comunità di ricerca che lavora in rete attraverso la creazione di una rete di scuole pilota.
In parallelo nella scuola capofila si sono svolti alcuni laboratori partecipativi sugli spazi esterni, per renderli più accoglienti, svilupparne il potenziale ludico-didattico e segnalare in modo divertente gli ambiti riservati alle varie classi. In un caso il laboratorio sugli spazi si è spinto a occuparsi di un luogo fuori dalla scuola, un sottopasso davanti alla scuola media Gramsci, percepito come squallido e malfrequentato e per questo poco utilizzato, per trasformarlo in un luogo di riappropriazione della parola da parte dei ragazzi, passando dall’analisi delle scritte già presenti nel sottopasso e dalla interpretazione delle esigenze comunicative che stanno dietro la forma espressiva immediata delle tag e dei graffiti, alla espressione attraverso la parola poetica ispirata alle parole del sottopasso. Nasce cosi il progetto Poesie di passaggio, di scrittura di poesie e di trasformazione dei muri del sottopasso in uno spazio di comunicazione, sviluppato in collaborazione con un’artista che lavora sulla composizione di poster attraverso la stampa tipografica a caratteri mobili, le insegnanti di Tecnologia, Lettere e Arte e il Comune di Firenze che dovrà consentire la trasformazione del sottopasso in muro libero per l’affissione di poesie urbane.
Una iniziativa spontanea di sperimentazione didattica tra scuola e territorio è nata dalla collaborazione tra alcuni partner quartiere dell’Isolotto – i genitori, un videomaker e il centro educativo popolare, cui si è aggiunta una operatrice del laboratorio di educazione ambientale di Villa Demidoff – con la sezione sperimentale della Montagnola, la Nave tonda. Tutti questi soggetti insieme hanno avviato un percorso didattico sperimentale su come fare scuola a partire dal territorio, sulla storia ambientale e sociale del quartiere popolare dell’Isolotto, nato negli anni Cinquanta dal piano Fanfani con Ina-Casa e sulla narrazione delle esperienze educative pioniere fatte dalla scuola Montagnola e prima ancora dal suo seme fondativo, la scuola autogestita nelle Baracche Verdi fondate da Enzo Mazzi e dalla Comunità dell’Isolotto quando ancora il quartiere nascente non aveva i servizi, e di cui il Centro Educativo Popolare è erede.
Finalmente all’aperto e in presenza…
L’ultima serie di azioni del progetto è stata l’organizzazione di un ciclo di visite nei luoghi dell’educazione outdoor partner della rete, come momento in cui ritrovarsi in presenza e all’aperto, per affermare la bellezza e la necessità di queste pratiche e rafforzare legami tra le scuole, le famiglie e i luoghi dove si offrono opportunità educative fuori dalla scuola.
Sono nati cosi quattro iniziative. La prima: la passeggiata interattiva “Storie di educazione e territorio” con La città bambina negli spazi dentro e fuori dalla scuola Montagnola dove negli anni si sono svolti progetti di creazione di aule verdi, di trasformazione ecologica di cortili scolastici, di sperimentazione di mobilità autonoma dei bambini lungo i percorsi casa scuola, di creazione di un’aula didattica all’aperto in un’area abbandonata data in concessione gratuita alla scuola, di rigenerazione urbana partecipata di una giardino pubblico.
La seconda: l’incontro-laboratorio di Educare sul campo a Mondeggi Bene Comune, un’esperienza di agricoltura collettiva nata su terre pubbliche abbandonate dove si svolgono esperienze educative all’aperto sulla conoscenza del bosco, dell’agricoltura contadina, della panificazione. L’incontro è dedicato anche a immaginare insieme i legami che potrebbero nascere tra scuola e comunità territoriali come quella di Mondeggi.
La terza: l’incontro-laboratorio Gesto e paesaggio alla PIA-Palazzina Indiano Arte, un centro artistico dedicato alla relazione tra corpo e natura che si propone come luogo di sosta, laboratorio permanente e spazio creativo per intessere nuovi e inaspettati legami fra artisti, cittadini, ricercatori, studenti, amatori e pubblico e che intende aprire una riflessione attiva e critica sulla frequentazione dei parchi pubblici attraverso una programmazione artistica e formativa.
La quarta: l’incontro-laboratorio “Disegnare un corpo danzante” al PARC – Performing Arts Research Centre, centro di sperimentazione artistica che dedica particolare attenzione al rapporto con il territorio e all’interazione con gli spazi pubblici, primo fra tutti il Parco delle Cascine, che propone un percorso di visione e partecipazione il cui titolo trae spunto dal laboratorio curato dall’artista Floor Robert, grazie al quale riflettere sulla danza come strumento conoscitivo e dispositivo pedagogico, in costante relazione con le differenti discipline artistiche.
Il progetto Scuole aperte in rete si concluderà rigorosamente in presenza (dopo un anno passato a conoscerci attraverso gli schermi) nelle giornate del 15 e 16 maggio in altri due luoghi simbolo dell’educazione outdoor rispettivamente a Pistoia e a Firenze: “Progetto Ettaro – spazio per la sperimentazione didattica sul campo” dell’associazione di volontariato Arcobaleno che gestisce centri socioeducativi semiresidenziali per minori a Pistoia e da alcuni anni cura un ettaro di terreno nel parco della villa Conversini a Montesecco (una villa abbandonata, di proprietà comunale, affaccia su un campo in cui l’associazione propone attività rivolte a bambini e ragazzi, con asini, frutteto, orto, boschetto, e spazi aperti per giocare). La cooperativa sociale le rose: Centro didattico, educativo e culturale innovativo dedicato a portatori di handicap e aperto all’esterno per favorire l’incontro con la diversità e il benessere per tutti (nei boschetti, nei prati, negli orti e nei giardini delle Rose, trasformati nell’Arte-Orto con il contributo dei molti che hanno attraversato questo luogo si svolgono, oltre alle attività volte a valorizzare le potenzialità dei ragazzi e svilupparne l’autonomia personale: formazione professionale sull’agricoltura biologica per studenti con disabilità, laboratori di educazione ambientale per le scuole, centri estivi per i bambini, accoglienza di volontari e tirocinanti, eventi artistici, ricreativi e culturali).
Nelle giornate finali, oltre a celebrare con gioia il ritorno alla convivialità in presenza, cercheremo di sviluppare il tema delle possibilità che si aprono e di quelle che si chiudono nella scuola dell’emergenza che abbiamo vissuto quest’anno e che forse durerà più a lungo di quello che immaginavamo. Lo faremo attraverso i contributi dei partecipanti, dei partner e di esperti esterni, che hanno contribuito allo sviluppo del progetto o con i quali ci sentiamo sintonia, e l’interazione con le istituzioni (gli assessorati all’educazione, il Consiglio di quartiere 4). Proveremo a immaginare possibilità future per la rete, una sua ristrutturazione sulla base delle nuove relazioni che si sono create e di quelle che si sono allentate (alcuni partner sono stati molto attivi, altri assenti dal progetto a causa delle difficoltà a gestire la situazione di emergenza nelle scuole che ha richiesto altre priorità, altri potrebbero entrare in rete in futuro) e un progetto comune da portare avanti sulla base delle conoscenze, delle esperienze e delle riflessioni costruite insieme.
Anna Lisa Pecoriello, Associazione La città bambina/MHC-progetto territorio, spinoff UNIFI incaricato del coordinamento del processo partecipativo