La scelta di molti giovani di lavorare in agricoltura è un cambiamento profondo e diffuso. Un’occasione per ripensare il lavoro ma anche il rapporto tra città e campagna e tutelare la biodiversità
di Mauro Rosati*
Li hanno chiamati con diversi nomi («choosy», bamboccioni), ma molto probabilmente sarà la prima generazione dal dopoguerra ad essere più povera di quella che l’ha preceduta. La pubblicazione del dato sul tasso di disoccupazione giovanile che nell’ultimo anno in Italia ha toccato il record assoluto del 35,3 per cento, il livello più alto dal lontano 1977 è stata una scossa per il mondo politico che finalmente ha preso atto del fatto che non è più il caso di temporeggiare, ma di adattarsi ai nuovi cambiamenti imposti dalla nostra società.
Come annunciato anche dal presidente del Consiglio Enrico Letta in conferenza stampa subito dopo l’ultimo vertice straordinario del Consiglio Ue, il tema della disoccupazione giovanile è una «questione cruciale». E urgente, viene da aggiungere. Molto rischioso per la democrazia stessa, tanto da far datare il prossimo Consiglio straordinario dei 27 i primi di giugno.
Di fronte al tasso record della disoccupazione giovanile l’agricoltura si afferma come l’unico settore produttivo che ha difeso e anzi moltiplicato i posti di lavoro, con un incremento delle assunzioni del 3,6 per cento nel 2012. Dati importanti, e che se analizzati nel dettaglio dimostrano, oltre i numeri, che questo fenomeno non coinvolge più solo i figli che subentrano all’attività di famiglia, ma neolaureati preparati e determinati che, a causa della crisi che chiude le porte degli altri settori, scelgono di scommettere sulla vita dei campi e reinventarsi produttori. Anche perché il settore è sempre più fiorente. Se un giovane su tre è senza lavoro e se per ricostruire l’Italia si è finalmente capito che si deve ripartire dalla terra, è necessario che il nuovo governo faccia tutto il possibile per incoraggiare l’approccio dei giovani all’agricoltura, favorendo un rinnovamento che passa attraverso le energie di questi «nuovi contadini» under quaranta pieni d’ingegno e vena creativa.
Secondo i dati Istat sull’occupazione, i nuovi «dottori dell’agricoltura» oggi sono quasi il 35 per cento degli under quaranta del comparto. Questa nuova agricoltura fatta di giovani anche con una laurea alle spalle è fondamentale per rinnovare un comparto che ha bisogno di aprire le porte alla competitività e alla creatività. E sono tante le imprese «junior» che hanno dimostrato un potenziale economico altissimo grazie ad una maggiore attitudine al rischio e al sempre più crescente interesse verso l’export, dimostrando anche un’elevata sensibilità per le tematiche sociali e ambientali.
Analizzando questo fenomeno e i dati Istat escono fuori altre curiosità sottolineate anche dalla Coldiretti, che ha individuato circa tremila giovani che hanno deciso di mettersi alla guida di un gregge come precisa scelta di vita per non arrendersi alla crisi. «Si tratta in gran parte di giovani che intendono dare continuità all’attività dei genitori – afferma la Coldiretti anche se non mancano nuovi ingressi, spinti da una scelta di vita alternativa a contatto con gli animali e la natura». Quando i giovani subentrano nelle aziende c’è un immediato riflesso sul prodotto aziendale. «La diffusa capacità di innovazione prosegue la confederazione si concentra sulla qualità e sulla sicurezza del prodotto ma anche nella capacità di presidiare il mercato attraverso nuove formule commerciali. La pastorizia è un mestiere ricco di tradizione, che ha anche un elevato valore ambientale e dalla sua sopravvivenza dipende la salvaguardia di razze in via di estinzione a vantaggio della biodiversità del territorio». La terra quindi come settore primario per creare opportunità e combattere la crisi.
Un segnale arriva anche con l’occupazione stagionale nei campi e con l’aumento di richieste di assunzione da parte di chi ha perso il lavoro in altri settori produttivi. Uno degli obiettivi da perseguire dovrebbe essere la possibilità di rendere l’agricoltura un’occupazione a tempo pieno, con interventi di tipo preventivo che consentano alle aziende agricole di mantenere i livelli occupazionali tramite l’adozione di provvedimenti straordinari per il contenimento del costo del lavoro, e non solo una soluzione temporanea per fronteggiare la crisi nell’immediato.
*Fonte: L’Unità, 24 maggio 2013
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Se i giovani tornano in campagna
Piero Bevilacqua | 16 maggio 2013 | 1 Commento
Sulla terra non si produce solo cibo, ma si protegge e si rielabora il paesaggio, si cura il suolo, si alimenta la biodiversità. Al tempo stesso si conserva la salubrità dell’aria e dell’acqua, si organizzano nuove modalità di turismo leggero e di fruizione del tempo libero, si riscoprano saperi di cultura enogastronomica e saperi manuali in via di estinzione, si riattivano forme cooperative di lavoro e di condivisione, ci si prende cura delle disabilità (fattorie sociali), e si sperimentano forme innovative di apprendimento (fattorie didattiche)
I ragazzi-contadini che trasformano la terra in oro
Carlo Petrini | 17 gennaio 2013 | 2 Commenti
In questo articolo di Repubblica, Carlo Petrini, fondatore di Slow food, ragiona della riscoperta dell’agricoltura. Scrive Petrini: «Come giustamente titolava un sito di settore qualche giorno fa, è ora di “salire in agricoltura”». Quel sito è Comune-info. In link all’articolo in questione è segnalato in questa pagina web
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