La drammatica vigilia del voto conclusivo della più nefasta campagna elettorale dai tempi della dittatura, ci restituisce un’immagine barbarica della condizione in cui il gigante del Sudamerica sceglierà il suo nuovo presidente. Tenendo bene a mente che Jair Bolsonaro ha dichiarato che non accetterà un esito diverso dalla vittoria, il Brasile vive ore da incubo. Comunque vada il ballottaggio, domenica 28 ottobre non si conteranno solo i voti ma anche le vittime di una resa dei conti quasi surreale quanto ispirata alla volenza, al liberticidio e alla misoginia. La guerra mondiale contro l@s de abajo, a partire dalla prossima settimana, rischia di dover riconoscere, nel continente americano, un nuovo spaventoso stato guida
di Laura Burocco*
Comunque vadano le cose nel voto per il ballottaggio presidenziale, il Brasile sta attraversando un periodo molto cupo e non basteranno i voti ad Haddad per farlo uscire da un baratro così profondo. Non si cancelleranno comunque i voti che ci mostrano cosa è, da questo punto di vista, il Brasile ora. I voti record che hanno eletto Eduardo Bolsonaro alla camera dei deputati di Sao Paulo; i voti che a Rio de Janeiro per il senato hanno dato la vittoria al 31% a Flavio Bolsonaro, uno dei figli che più fedelmente segue il padre nella sua politica di violenza, misoginia, omofobia e razzismo. I voti che hanno eletto alla Assemblea legislativa dello Stato di Rio de Janeiro (Alerj) Rodrigo Amorim, il ‘soldato di Flavio Bolsonaro’, come lui stesso ama definirsi, e il suo compagno di partito Daniel Silveira. I due sono divenuti noti per aver distrutto la placca in onore dell’ex consigliera Marielle Franco negli ultimi giorni della campagna nel primo turno. I voti che hanno fatto sì che, dal previsto 3 ° posto (17%) e 4 ° posto (14%) dei sondaggio di Datafolha e di Ibope, Wilson Witzel, candidato di Bolsonaro al governo dello Stato di Rio de Janeiro, passasse al 41% in poche ore. Lo stesso Witzel, ha filmato la distruzione della placca in onore alla memoria di Marielle perché ritenuta oltraggiosa, e ha dichiarato che estinguerà la segreteria di sicurezza dello Stato così che la polizia militare sia libera di agire senza ‘interferenze politiche’.
Il clima in Brasile all’indomani del primo turno con un vantaggio schiacciante di Bolsonaro, 46% versus 29% de Haddad, si conferma di paura. Il candidato dichiara che, non accetterà risultato diverso da quello della sua vittoria. Immediatamente insinua problemi tecnici al sistema elettronico di voto e, in un discorso con spunti di schizofrenia, paranoia e aggressività promette allo stesso tempo di portare la pace e “unire il nostro popolo”, e di eliminare ogni forma di attivismo, senza specificare a quali attivisti si riferisca: attivismo politico, attivismo studentesco, sindacato, affari, sociale, culturale? Attivismo giudiziario? Dei diritti umani? Attivismo, quale militanza della società volta a cambiare ciò che considera sbagliato e sostenere ciò che sembra giusto? Se così fosse, propone quindi di limitare la libertà di espressione.
Immediatamente tornano alla memoria dichiarazioni del generale Mourau, che all’indomani dell’attentato subito da Bolsonaro all’inizio di settembre, intitola se stesso e il suo presidente a ‘professionali della violenza’, e minaccia che, “in caso ipotetico di ‘anarchia’ potrebbe esserci un ‘auto-golpe’ del presidente, con il sostegno delle Forze armate”. Il clima è tale da far girare in rete un presunto ‘biglietto’ sui cui si dice che Flavio Bolsonaro starebbe compilando una lista di nomi di artisti che si stanno dichiarando contro Bolsonaro con il fine, in un secondo momento, di perseguitarli. Il clima è pessimo. Se Bolsonaro è la versione tropicale di Trump, le dittature Sudamericane non hanno nulla di tropicale.
Una situazione tale svuota di qualsiasi contenuto politico una campagna che diviene solo uno schieramento tra l’essere contro e, in minima parte, l’essere a favore. Essere contro Bolsonaro, o essere contro il PT. Scegliere tra civiltà o barbarie, tra democrazia o dittatura, tra umanità o odio. Essere contro il più becero autoritarismo conservatore, o essere a favore della preservazione di una democrazia comunque altamente in crisi. Su queste due posizioni si regge la campagna che stanno portando avanti, sui social media e per le strade, i militanti ‘di quel che resta della democrazia in Brasile’ per poter cercare di convincere i 3 milioni di astenuti e 7milioni di voti nulli della importanza di difendere, innanzitutto, il proprio diritto a continuare a votare. In Brasile tra il 1963 e il 1989 – durante la dittatura militare – è stato abolito il diritto di voto. In misura minore, si cercano anche di recuperare i voti di coloro che si sono schierati a favore di Bolsonaro ma senza una reale convinzione. Ce ne sono. Ma l’ignoranza che li ha portati a tale voto, intesa come mancanza di strumenti che possano permettere alla persona di esercitare una scelta autonoma e consapevole, è molto difficile da sanare in soli 18 giorni. Forse questo sarebbe un punto su cui vale la pena sostenere la candidatura di Fernando Haddad con convinzione.
È stato Ministro della Pubblica Istruzione tra il 2005 e 2012, lasciando l’incarico per assumere quello di sindaco della città di Sao Paulo. Indipendentemente da qualsiasi giudizio sul PT, Haddad ha ottenuto grandi risultati: l’espansione delle università, lo sviluppo di ProUni, l’implementazione di Enem e successivamente di Sisu. In 10 anni, tra il 2001 e il 2010, la crescita del numero di iscrizioni all’istruzione superiore è stata del 110%. Dati che contrastano marcatamente con le proposte portate avanti da Bolsonaro: eliminare il ministero della cultura; aumentare la militarizzazione delle scuole nelle aree considerate a rischio come proposta per migliorare l’istruzione e la sicurezza pubblica; difendere l’educazione a distanza sin dalle scuole elementari per combattere il marxismo e ridurre i costi; nelle sue parole: “Sto cercando qualcuno per essere un ministro dell’educazione che abbia autorità. Che espella la filosofia di Paulo Freire”.
In un paese dove nel 2012, la Valutazione Nazionale di Alfabetizzazione (ANA) ha rivelato che il 22% dei bambini non legge, il 34% non scrive e il 54% non padroneggia i principi base dell’aritmetica fino a otto anni, dove nel 2017, secondo l’IBGE – Istituto Brasiliano di Geografia e Statistica – esistono ancora 11.8 milioni di persone analfabete e secondo la PNAD – Indagine Nazionale di campioni di Famiglia – metà della popolazione brasiliana di 25 anni e più (circa 66,3 milioni) non ha completato le scuole superiori, l’urgenza di politiche rivolte alla diffusione e al miglioramento della educazione si dimostra ancora più pressante. Questo ancor di piú alla luce degli effetti drammatici di una politica fatta in gruppi di whatsapp, attraverso video di dubbia veridicità fatti circolare in rete, di memes più o meno ironici, dipendendo dal punto di vista dell’osservatore, che contribuiscono di forma allarmante a creare uno stato o di confusione o di assuefazione alla politica, se è ancora così che può essere chiamata.
Un’indagine inedita condotta da Publica, in collaborazione con Open Knowledge Brazil, rivela che ci sono stati almeno 70 attacchi negli ultimi 10 giorni nel paese. La stragrande maggioranza di questi attacchi sono stati fatti dai sostenitori di Jair Bolsonaro, candidato del PSL che sta conducendo i sondaggi. Ciò dimostra che le dichiarazioni di Bolsonaro che incitano alla violenza contro le donne, le LGBT, i neri e gli indios e le violenze della polizia fanno eco in tutto il paese e si sono trasformate in aggressioni fisiche e verbali in queste elezioni. Informazioni e dati possono essere letti in : Apoiadores de Bolsonaro realizaram pelo menos 50 ataques em todo o país
Il sito #VítimasDaIntolerância, i cui ideatori non si dichiarano responsabili della copertura dei casi incontrati in rete, che hanno semplicemente riunito e reso visibili dichiara: il conteggio delle elezioni del 2018 non è solo voti, ma anche vittime.
*Laura Burocco è ricercatrice in Politiche Urbane e Sviluppo. Ha un dottorato in Tecnologia della Comunicazione e Estetica presso la Facoltà di Comunicazione della Università Federale di Rio de Janeiro ECO / UFRJ. Vive e lavora tra Rio, Milano e Johannesburg.
Sabato 20 ottobre presidio a Milano in piazza Cordusio. Basta dittature e governi militari. In Brasile in America Latina nel mondo