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Jesús Emilio, nuovo cittadino di Fidenza

Nelly Bocchi
15 Aprile 2014
Non è un migrante ma un campesino della Comunità di pace conosciuta nel mondo per la strenua resistenza nonviolenta alla guerra interna che da oltre mezzo secolo devasta la Colombia. A San José de Apartadó, Jesús Emilio Tuberquia  e gli altri hanno deciso di rifiutare l’utilizzo delle armi, e per questo sono stati perseguitati e trucidati. Ancora in queste settimane, mentre la solidarietà internazionale ottiene un nuovo bel riconoscimento a Fidenza, la gente di Apartadó viene minacciata e intimidita dagli eserciti armati delle diverse fazioni di una guerra che da tempo risponde più al business che alle ideologie. “Senza l’appoggio internazionale saremmo morti. Non vi stancate di scrivere”, chiede Jesús 

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di Nelly Bocchi

Viaggiavano a bordo di una moto, si sono avvicinati a Jesús Emilio Tuberquia, che stava camminando nei pressi della piazza del mercato di Apartadó, e hanno aperto il fuoco con delle pistole. Jesús s’è messo a correre ed è riuscito a sfuggire ancora una volta all’agguato. Cento metri più in là, al posto di controllo della polizia colombiana, non si è fatto il minimo tentativo per ostacolare i killer. Era il febbraio del 2012, le cronache locali riportavano l’ennesimo attentato contro un esponente della Comunità di pace che – a forza di minacce, persecuzioni e violenze – è diventata un simbolo mondiale della resistenza nonviolenta alla guerra. 

In favore della protezione di Jesús Emilio Tuberquia, bersaglio frequente di minacce e attentati da parte dei paramilitari ma anche dell’esercito regolare, si era già pronunciata la Corte Interamericana dei Diritti Umani. I campesinos colombiani di San José de Apartadó hanno costituito la Comunità di pace nel 1997, decisi a non voler reagire alla violenza con la violenza. Come tutti i contadini, tuttavia, sono considerati “potenziali guerriglieri” dai paramilitari e dall’esercito nazionale. La Colombia è devastata da una guerra interna che dura da oltre 50 anni. La combattono la guerriglia di “sinistra” più antica e militarmente attrezzata del continente, le bande paramilitari e l’esercito regolare. La subisce, da sempre, la gente comune. Come i contadini senza armi di San José de Apartadó che da 17 anni continuano a subire provocazioni, violenze e molestie ma sono stati anche torturati e barbaramente uccisi.

Malgrado questa realtà, largamente verificata e riconosciuta dall’informazione e dalle istituzioni internazionali,  quei campesinos non hanno cessato di denunciare i soprusi che gli eserciti armati di ogni parte compiono contro una “neutralità” che non vogliono accettare. La Comunità di pace, tuttavia, è tutt’altro che sola. Il coraggio e il fascino della strenua resistenza “fragile” della gente di San José l’ha fatta amare e proteggere da una grande solidarietà internazionale. Il Gruppo 208 di Amnesty international di Fidenza è uno di quelli che si distinguono per la vicinanza e l’affetto nei confronti dei campesinos di Apartadó. Ha “adottato” la Comunità cinque anni fa e ora è finalmente riuscito a far conferire la cittadinanza onoraria proprio a Jesús Emilio Tuberquia, il rappresentante legale della Comunità di pace. La pergamena di attestazione recita: ”Per il significativo contributo alla lotta per i diritti umani, la pace e la democrazia della Comunità di Pace di San Josè de Apartadó da lui rappresentata”. Un riconoscimento a lungo inseguito, che ci consente anche di rendere pubblica l’intervista che avevamo realizzato con il nostro neo-concittadino in occasione della sua visita a Fidenza.

Hai fatto un viaggio molto lungo, ne valeva la pena? 

Senza l’appoggio internazionale noi saremmo morti. Quando ci siamo resi conto che, dopo le innumerevoli denunce a tutti gli enti della giustizia colombiana, non si trovava  alcuna soluzione per noi, e continuavano le uccisioni e le violazioni dei nostri diritti, abbiamo deciso di chiudere la comunicazione con lo stato colombiano e cominciato a cercare l’appoggio internazionale.  

Ricordi com’era la zona di San José de Apartadó quando eravate bambini?

I miei genitori hanno vissuto la guerra tra i liberali e i conservatori nel 1948. Dopo questo periodo ci fu la pace, mancava l’educazione, peró c’erano tranquillitá e cibo per tutti.

Quando è arrivata la guerriglia?

Dopo la guerra del 1948. Molti abbandonarono le armi, altri non credettero al processo di pace di questo periodo e continuarono nella guerriglia. Da quel momento in poi, la guerra si é mantenuta e incrementata.

Quand’é che tu hai conosciuto la guerriglia?

Circa trent’anni fa, io ne avevo venti. Il numero dei guerriglieri cresceva: passavano per le zone rurali, parlavano con la gente del modo in cui si doveva vivere, di una vita solidale, nel rispetto della vita degli altri. All’inizio il loro discorso era positivo, peró c’era sempre una contraddizione: se una persona possiede un’arma é per generare morte. Chi ha un’arma e parla di pace vive una grande contraddizione in se stesso.

Com’ é avvenuto l’arrivo dei paramilitari nella zona?

I paramilitari esistono dal 1962, fanno parte di una politica statale, anche se lo Stato lo ha sempre negato. Hanno semplicemente cambiato nome, prima si chiamavano “difesa civile”, poi “autodifesa”. Nel 1997 cominciarono gli attacchi. Noi non abbiamo mai riconosciuto i paramilitari, molte organizzazioni internazionali ci dicono che dovremmo parlare con loro, peró questo vorrebbe dire legittimare ció che sta dietro di loro.

Quando avete iniziato a sentire la guerra?

Ci sono state diverse tappe. La guerriglia inizió a farsi sentire a Urabá tra il 1986 e il 1988, peró gia da prima vi erano repressioni armate dell’esercito. Nella zona de La Resbalosa ci fu un massacro da parte della forza pubblica: assassinarono 12 o 13 contadini. Quello era un posto dove non c’erano guerriglieri.

Com’ é stata la presenza dello Stato in questa zona?

É stata una presenza segnata dalla repressione armata, ancora prima che esistesse la guerriglia. Poi sono arrivati i guerriglieri, e poi ancora i paramilitari.

Quando avete deciso di creare una Comunitá di Pace?

In modo ufficiale il 23 di marzo del 1997, anche se giá dal 1996 si stava lavorando a questa proposta. Purtroppo in quel periodo la pace non fece progressi, anzi la guerra ebbe un incremento. Quella stessa settimana subimmo diversi bombardamenti e ci trovammo obbligati a doverci spostare in un’altra zona. I militari e i paramilitari non hanno mai voluto accettare questo tipo di neutralitá. Loro per “neutralitá” intendono solamente il fatto di tagliare i contatti con la guerriglia. Non hanno mai permesso che una comunitá decidesse di non partecipare alla guerra, di negare il passaggio di informazioni e la vendita di cibo agli attori armati, di impedire l’accesso delle armi nel nostro territorio di pace. Per questo hanno deciso che avrebbero distrutto tutto.

Come nasce la decisione di creare la Comunità, avete avuto delle ispirazioni?

É una decisione che viene dalla stessa comunitá perché eravamo stanchi di tanta guerra. Siamo persone umili che sanno pensare. Io non ho studiato all’università ma non sono un inetto. Molte persone sono convinte che i contadini non siano capaci di pensare, peró io conosco la mia comunitá, la mia gente, la mia storia. All’inizio chiedemmo aiuto alla Croce rossa internazionale affinché facesse da mediatrice, ma loro sono mediatori delle due parti in conflitto e noi invece siamo popolazione civile. Cosí, in un primo momento, a percorrere il nostro cammino ci diede una mano la chiesa cattolica.

Come siete organizzati?

Abbiamo piú di 50 gruppi di lavoro in diverse aree. Le persone si riuniscono per famiglie e non si aiuta soltanto una persona, ma si tiene conto delle necessitá dell’intero nucleo familiare. Il ruolo della donna all’interno delle comunitá è molto importante, perché le donne hanno il compito di curare i bambini. C’è un asilo dove accudiamo diversi bambini, anche perché molte madri sono morte durante il conflitto e molte altre hanno dovuto cominciare a lavorare perché i loro mariti sono stati uccisi. Abbiamo una scuola con 12 maestri. Ai bambini insegniamo le nostre cose, la nostra cultura e la nostra storia. La stessa comunitá si occupa dell’alimentazione dei bambini e una parte di tutto ció che si produce viene destinata all’asilo e alla scuola.

Come viene vista la Comunitá di Pace in Colombia?

Molta gente  crede che siamo dei guerriglieri. L’esercito fa in modo che l’opinione pubblica nazionale e internazionale pensi che la nostra sia una comunitá al servizio della guerriglia e che, per proteggere la guerriglia, si mascheri da comunitá di pace.

Nutrite ancora speranze che sia fatta giustizia?

Non c’é giustizia per i crimini contro l’umanitá. Noi abbiamo denunciato e denunciamo tutto ció che é accaduto e accade, finora però non c’é mai stato alcun colpevole.

Cosa ti  aspetti da Amnesty International? Cosa possiamo fare per aiutarvi?

Che non si stanchi di scrivere. Anche se puó sembrare assurdo, le lettere e l’appoggio internazionale sono ció che ci mantiene in vita.

E poi? Cosa altro si può fare per appoggiare la Comunitá?

L’umanitá deve capire che ha sbagliato, perché la pace viene dall’interno di ogni persona e non si puó ottenere con le armi. Non c’é bisogno che la gente venga a San José de Apartadó per sostenerci. Un grande appoggio per noi é il fatto che le persone cambino e continuino a seguire un cammino di pace.

Cosa chiedete al governo colombiano?

Non chiediamo più nulla. Vogliamo semplicemente essere lasciati vivere in pace.

DA LEGGERE

Da 17 anni la guerra non riesce a piegarli. Una straordinaria galleria fotografica.

A San José de Apartadó non sono soli

DA VEDERE

Intervista a Jesús Emilio Tuberquia

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=rusu-hUeUqo[/youtube]

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