L’economia globalizzata è un fiume esondato che travolge i fragili sacchetti di sabbia posti lungo gli argini dalle volonterose protezioni locali. Ciò che serve è cambiare alla radice l’impostazione delle politiche economiche. «Lo ha ben presente papa Bergoglio che ha lanciato una singolare iniziativa: l’Economy of Francesco, ad Assisi il prossimo anno… – scrive Paolo Cacciari – Ma le proposte che vengono dalle varie scuole economiche, anche quelle più vicine al Vaticano, non sembrano prendere sul serio il cedimento “strutturale” del sistema economico dominante. L’“economia civile”, la “green economy”, la “sharing economy”, l’“economia circolare”… fino alle 15 proposte per la giustizia sociale recentemente elaborate dal Forum Disuguaglianze Diversità di Fabrizio Barca non sembrano entrare in un ordine di idee post-capitalista… È giunto il momento di essere un po’ creativi e coraggiosi… L’unica soluzione possibile alla crisi multifattoriale del sistema socioeconomico… è modificare l’idea stessa di ricchezza e i suoi meccanismi di formazione…»
“L’aria è preziosa per il pellerossa. Perché tutti gli esseri viventi respirano la stessa aria: animali, alberi, uomini. Non pare che l’uomo bianco si interessi all’aria che respira. […] Tutto si relaziona, Tutto quello che ferisce la terra, ferisce anche i figli della terra. […] Una cosa sappiamo che forse un giorno l’uomo bianco scoprirà: il nostro Dio è lo stesso Dio. Egli è Dio dell’intera umanità”. Dalla lettera del capo indiano Seathl della Lega dei Suquamish e Duwamish in risposta alla proposta del presidente americano Franklin Pearce di acquistare tutte le terre indiane esclusa una riserva, 1855.
Non sempre la soluzione la si trova nel mezzo. Non c’è una “giusta misura”, un equilibrio socialmente conveniente tra liberalizzazione dei circuiti economici globali e potestà statale nazionale. In questo derby tra laissez-fare e sovranismo non c’è risultato utile. La via di uscita la si può trovare solo prendendo le distanze da tutti e due i poli del dilemma faustiano. Le antiche forme di mediazione/compensazione tra libero mercato e programmazione statale sono da tempo saltate. L’idea della divisione dei compiti tra le forze produttive motrici dello sviluppo e lo stato loro saggia guida nell’interesse generale, si è rivelata un mito bugiardo. In realtà lo si sapeva dall’inizio. Già Adam Smith ci metteva in guardia dal fatto che sono sempre quelli che possiedono la ricchezza di una società a decidere la politica. Allora erano “i mercanti e gli industriali”, ora i padroni dell’economia si nascondono dietro le società di capitali transnazionali e le istituzioni finanziarie. L’economia, intesa come forma specifica dei rapporti sociali, è sempre politica.
L’economia globalizzata come un fiume esondato ha travolto i fragili sacchetti di sabbia posti qua e là lungo gli argini dalle volonterose protezioni civili locali. E se per l’economia si tratta solo di una metafora, per l’ambiente naturale è la dura realtà. Gli impatti delle attività antropiche sugli ecosistemi naturali sono aumentati con la crescita spettacolare della potenza degli strumenti tecnologici a disposizione dell’apparato produttivo delle imprese capitalistiche al punto da modificare non solo i paesaggi, ma la composizione chimica dell’atmosfera, l’acidità degli oceani, la fertilità del suolo. Il risultato è il geocidio (la distruzione delle strutture geofisiche che sorreggono le funzioni vitali del pianeta, the life system support) e il biocidio (la uccisione dei sistemi viventi, la biodiversità) – così accuratamente documentato nel Terzo rapporto della piattaforma intergovernativa delle Nazioni Unite Ipbes, sulla biodiversità e gli ecosistemi, presentato a Parigi lo scorso 29 aprile. In una parola: ecocidio, la distruzione deliberata dell’ambiente naturale. La guerra a suo tempo dichiarata dall’umanità alla natura sta per essere vinta! L’unico dubbio che hanno scienziati e antropologi è quando datare l’inizio dell’Antropocene. Dalla prima rivoluzione industriale e dello sfruttamento intensivo dei combustibili fossili, dalla nascita del capitalismo (come suggerisce Jason W. Moore con il “Capitalocene”), dalla nascita dell’antropocentrismo occidentale con l’idea del dominio e della sottomissione della natura o, prima ancora, dell’avvento del patriarcato con l’invenzione della guerra?
Un cambiamento radicale
Per mettere l’economia al servizio dei bisogni fondamentali delle popolazioni non basta dosare dazi e regolare il traffico nelle nuove vie commerciali transcontinentali (quella della “seta” con la Cina, del gas con la Russia, delle terre rare con l’Africa, dei software con la Silicon Valley…). Non basta vigilare sui dumping sociali e ambientali praticati dalle sweat shops extracomunitarie e moderare la concorrenza; omogeneizzare le politiche fiscali e controllare la circolazione delle cripto valute; armare le dittature del Sud del mondo e pattugliare le frontiere… solo per citare alcune delle questioni che tanto infervorano il dibattito politico in Europa. Ciò che serve è cambiare alla radice l’impostazione delle politiche economiche.
Lo ha ben presente papa Bergoglio che ha lanciato una singolare iniziativa: l’“Economy of Francesco”, ad Assisi il prossimo anno, in aprile. Una chiamata ai “giovani economisti, imprenditori e imprenditrici” e a chi “sta iniziando a studiare e praticare una economia diversa”, chiamati a “rivedere i nostri schemi mentali e morali”, a studiare “altri modi di intendere l’economia e il progresso”. Speriamo che si apra un confronto vero, non solo tra i “giovani economisti”, ma anche tra coloro che governano. Ciò che non è avvenuto nemmeno con la “provocazione” dell’enciclica Laudato si’ di quattro anni fa.
L’insistenza di Bergoglio fa ben sperare. Mai come oggi termini come “sostenibilità”, “inclusione” e persino “beni comuni” vengono usati normalmente nei discorsi e nei documenti pubblici. Dall’Agenda Onu 2030 fino alla brochure dei fondi di investimento offerti dalle banche d’affari ai risparmiatori, dai programmi elettorali dei partiti agli inserti di economia dei giornali mainstream. Segno evidente che le catastrofi ambientali e le crescenti ineguaglianze sociali non possono essere più nascoste sotto il tappeto, “esternalizzate”. Ma le proposte che vengono dalle varie scuole economiche, anche quelle più vicine al Vaticano, non sembrano prendere sul serio il cedimento “strutturale” del sistema economico dominante. L’“economia civile”, la “green economy”, la “sharing economy”, l’“economia circolare”… fino alle 15 proposte per la giustizia sociale recentemente elaborate dal Forum Disuguaglianze Diversità di Fabrizio Barca… non sembrano entrare in un ordine di idee post-capitalista. Sostenibilità ed inclusione sono diventati termini opachi e scivolosi, che spesso prendono la forma di “bollini” ottenibili a poco prezzo da appiccicare a qualsiasi nuova merce, tecnologia, servizio, prodotto finanziario allo scopo di renderli più attraenti presso il grande pubblico dei consumatori. Sofisticate griglie di indicatori eterogenei vengono elaborati da società di valutazione e usate per misurare il “benessere multidimensionale” generato da ogni impresa. Prendono i nomi di Esg (Enveronmental Social Governance), Social Impact Bond, B-corp (da Benefit Corporation, definite da un suo inventore – Eric Ezechieli – “un nuovo sistema operativo per il capitalismo”) e altri “rating etici” che poi concorrono a formare il Jones Sustainability Index di Wall Street. Con la direttiva europea EU 254/2016 è già stato reso obbligatorio il Bilancio di sostenibilità per le grandi imprese quotate in borse (più di 500 mln di fatturato). Ma molte altre lo hanno messo in pratica in forma volontaria e con strumenti di autocertificazione, come nel caso del Bilancio dell’economia del bene comune creato dall’imprenditore austriaco Christian Felder.
Rompere con l’economia di mercato
Economisti, consulenti aziendali e maghi del marketing studiano da sempre le strategie per combinare assieme Profit, People, Planet, per bilanciare la propensione al profitto connaturato all’impresa capitalistica (così come di quelle comunque costrette a ricorrere a finanziamenti a prestito) e i diritti di ogni persona ad accedere ad un lavoro degno e a vivere in un ambiente salubre. Ma, rimanendo all’interno della forma attuale di economia governata dalla logica dell’accumulazione e del massimo rendimento del capitale, la “Triple Botton Line” (l’aumento contemporaneo della remunerazione dei capitali, del benessere dei produttori, della soddisfazione dei consumatori e della conservazione della biosfera) continuerà ad essere una equazione irrisolvibile, un miracolo che nemmeno l’“Economy of Francesco” riuscirà a realizzare, se non romperà in radice gli schemi dell’economia di mercato.
In un contesto macroeconomico globale pervicacemente dominato dalle ferree logiche della ricerca dell’accrescimento permanente del valore monetario delle merci prodotte e vendute (Pil) i fattori “vivi” di produzione (natura, lavoro, conoscenza) vengono inevitabilmente sottoposti a sempre maggiori pressioni e a spietate concorrenze svalorizzanti. Gli obiettivi dell’inclusione e della coesione sociale non si potranno mai raggiungere operando solo all’interno di una logica redistributiva del “dividendo sociale” contabilizzato a valle dei processi economici (post-factum e post remunerazione dei capitali investiti). Nemmeno se a farlo fosse il più virtuoso degli stati attraverso la più equa delle politiche fiscali. É invece necessario intervenire sui meccanismi “pre-distributivi” dei redditi nella fase iniziale di formazione del valore, nei modi di creazione della ricchezza, nelle modalità di produzione, scambio, distribuzione e fruizione dei beni e dei servizi.
La scuola keynesiana non basta
Il sentiero per uscire da questa economia mortifera (vedi, di Tornielli e Galeazzi, Papa Francesco. Questa economia uccide, Piemme, 2015) si fa sempre più stretto. Da una parte le nuove generazioni – appunto – che hanno cominciato a reclamare il loro diritto al futuro. Dall’altra la fine del lungo ciclo di espansione economica, l’entrata nell’era dei “rendimenti decrescenti” – almeno in Occidente. I margini di manovra, le compensazioni, le pratiche dilatorie, l’“allungamento delle scadenze” del debito, i traccheggiamenti… si sono esauriti. Contrariamente a ciò che pensano gli economisti di scuola keynesiana, non sembra che alle socialdemocrazie sia rimasto molto spazio per porre in essere politiche capaci di “contenere” e “lenire le ripercussioni che alle classi deboli della società infligge il modus operandi dell’economia di mercato capitalistico” (Pierluigi Ciocca, Sinistra e crescita, alleanza contro il sistema iniquo). La “stagnazione” ci pare già un buon risultato. Lo stato permanente di crisi è la norma. La montagna di debiti fittizi, nominali, creati senza “valori sottostanti” esigibili, che incombe sull’“economia reale” (il debito mondiale complessivo di imprese, stati, banche e famiglie, lo scorso anno ha superato di 300 volte il valore del Pil) e l’enorme conseguente potere del sistema finanziario stritolano gli stati, le attività produttive, le comunità locali, le famiglie, ogni singolo individuo – il “pagatore di ultima istanza”. Ha scritto Antonio Tricarico: ”Un’esposizione sempre maggiore di tutti nei confronti dei mercati finanziari per il soddisfacimento dei bisogni primari (pensioni, salute, abitazioni, istruzione, ecc.) [comporta] chiare implicazioni sociali e per le istituzioni.” (Granello di sabbia 1/2/2013). Il debito è l’arma usta dal capitale per catturare e intrappolare la politica. “Il capitalismo – ha detto il sociologo Wolfgang Streek – sta nell’investire capitale per creare più capitale per più investimento. Non c’è ragione per la quale questo debba richiedere una democrazia” (Addio capitalismo, “La lettura”del 24 marzo 2019). Cina docet!
L’economia va da una parte, noi da un’altra. I flussi di denaro aumentano vertiginosamente, ma sono impegnati per ricomprare le azioni che le stesse imprese emettono. Il denaro non mette in circolo occupazione retribuita lì dove ce ne sarebbe bisogno. Altro che “vasi comunicanti”, “trickle down effect” , “convergenza” tra nord e sud… che pure ci erano stati promessi dai paladini della globalizzazione progressista! I patrimoni dei ricchi aumentano, i ceti più bassi impoveriscono. Contemporaneamente cresce a dismisura la quantità delle merci immesse su mercati saturi. Conseguentemente l’enorme flusso di risorse primarie che viene quotidianamente estratto dalla Terra e reimmesso come inquinanti (vedi i bilanci dei Global Material Flows) la rende progressivamente inabitabile. Per contro i desideri elementari che animano da sempre le popolazioni (sicurezza sociale, salubrità dell’ambiente, pace) si allontanano sempre di più.
La riconversione ecologica delle attività umane non potrà mai essere raggiunta attraverso misure di sola efficienza con l’applicazione delle tecnologie “verdi”. Ha scritto lo scrittore ambientalista George Monbiot: Green growth is an illusion (Guardian del 25 aprile). Siamo giunti alla perversione secondo cui le strategie aziendali volte al contenimento dei danni ambientali andrebbero perseguite non come un fine in sé, come un vincolo etico e uno spontaneo “imperativo morale”, ma solo se, e in quanto possono costituire un’opportunità per fare business, allargare i margini operativi di ogni azienda, conquistare nuovi mercati, trovare vantaggi competitivi, migliorare l’immagine reputazionale e, in definitiva, aumentare i rendimenti degli azionisti. Si crea così un circolo vizioso che indirizza gli sforzi umani non ad aggredire le cause strutturali dell’iper-sfruttamento della biosfera, ma ad inventare sempre nuovi sistemi per “fare soldi con l’ambiente”. L’economia di mercato verde ha la strana pretesa di vendere la natura per salvare la natura.
L’inganno dell’economia circolare
L’ultimo inganno in chiave di sostenibilità pelosa si chiama “economia circolare”. Il suo scopo non è non generare sprechi, scorie, rifiuti, ma inventarsi il modo di metterli a profitto. Doppio: inquinando e disinquinando. Così, ad esempio, le nuove tecnologie Ccu della CO2 (Carbon Capture and Utilization) diventano la frontiera dell’innovazione scientifica e della creatività imprenditoriale. Vale la pena leggere un servizio del CorriereInnovazione (29/03/2019) dal titolo Il grande affare della CO2. “Anidride carbonica catturata dall’atmosfera che può diventare combustibile pulito, fibre sintetiche per prodotti di consumo, materiali da costruzione futuristici (…) Il prezzo delle quote di emissione continuerà così a salire, come è avvenuto nell’ultimo periodo: il valore è passato da 7 a 22 euro a tonnellata, nel giro di un anno (…) Ccu una grande opportunità per promuovere un’economia circolare”. Ecco come gli stati inventano un mercato fittizio (i permessi di inquinamento) e come viene stabilito il prezzo di mercato dell’aria (sporca) che respiriamo! É la stessa idea ingannevole secondo cui i poveri possono essere tolti dalla loro miserevole condizione inserendoli nelle catene del valore create dai players transazionali dell’economia. L’estrazione del profitto da ogni cosa non fa che spostare sempre più in avanti i limiti della capacità di carico dei cicli vitali naturali del pianeta. Avvicinando l’ecocidio.
L’approccio tecnologico, ingegneristico ed economicistico alla sostenibilità induce le persone a credere che ogni problema sia risolvibile senza dover mettere in discussione il proprio modo di essere, di rapportarsi al mondo naturale e di comportarsi con gli altri. A noi però sembra che la corda si sia già spezzata in più punti della sostenibilità ambientale e della sopportabilità morale. I costi sociali dell’attuale modello di sviluppo hanno superato i benefici per la gran parte delle popolazioni della Terra.
Modificare l’idea di ricchezza
Come fuoriuscire da questa spirale mortifera? Forse – ci suggerisce il papa ecologista – è giunto il momento di essere un po’ creativi e coraggiosi anche in politica economica. È difficile immaginare un autentico Green New Deal (come quello auspicato dalla bravissima neodeputata di New York Alexandria Ocasio-Cortez) se non inserito organicamente in un progetto di società ambientalmente e socialmente sostenibile. L’unica soluzione possibile alla crisi multifattoriale del sistema socioeconomico, istituzione e persino etico della civiltà contemporanea è modificare l’idea stessa di ricchezza (privata e comune) e i suoi meccanismi di formazione. In economia contano certamente i risultati di bilancio (la redditività dei fattori di produzione), ma, prima ancora, per il benessere delle persone, contano i modi con cui si raggiungono i risultati. Forse è necessario rovesciare il modo di pensare usuale di economisti e politici secondo cui l’interesse pubblico coincide sic et simpliciter con la creazione di valore monetario (quello che si misura e si conteggia nel Pil e che tanto inutilmente ci fa dannare).
Il valore economico ha senso solo se finalizzato a creare occupazione dignitosa, ad aiutare a rigenerare i cicli di vita naturali, alla integrazione e coesione sociale, alla solidarietà e collaborazione tra i popoli. Un’economia che non sia al servizio di questi obiettivi (che sono anche i Goals dell’Agenda 2030 dell’Onu) non serve al bene di nessuno. La “nuova economia” che auspica Bergoglio è, in realtà, da tempo in cammino. È l’economia eco-solidale, l’economia dei beni comuni, l’economia trasformativa, l’economia di liberazione… Tutti quegli infiniti modi di creazione di valore sulla base di rapporti di produzione, scambio e fruizione liberi dalle costrizioni del mercato. Quella economia che le ecofemministe chiamano cura. Presa in cura di sé, degli altri, del pianeta.
Speriamo che ad Assisi, il prossimo anno, i giovani economisti francescani – e i loro più maturi maestri dell’“economia civile” – prestino attenzione anche all’“economia del lupo” – diciamo così, per indicare quella post-capitalista, post-patriarcale, post-specista.
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Tra gli ultimi libri di Paolo Cacciari, autore di questo articolo, Vie di fuga (Marotta e Cafiero ed.). Altri suoi articoli sono leggibili qui. Ha aderito alla campagna Ricominciamo da 3
Roberto Salvan dice
Solo grazie, illuminante. Ma a questo punto qual è la via d’uscita?
Pietro dice
Mi spiace dissentire. Benissimo costruire un’economia alternativa e parallela, ma se si lascia fare l’economia tradizionale senza cercare di contrastarla efficacemente anche dall’interno non si riusciranno ad ottenere gli obiettivi sperati perchè le forze in campo sono del tutto sproporzionate. Solo attraverso la piena comprensione – e correzione – dei tecnicismi giuridico-economici e dei contro lli del sistema economico tradizionale, si può sperare nella sua trasformazione. E’ un discorso complesso e difficile da farsi in poche righe….ma qualcosa si sta concretamente già muovendo, ovunque. ciao
Fiorella Palomba dice
Lucida e interessante argomentazione su un tema complesso e non liquidabile in quattro e quattr’otto.
Riflettere e studiare per una via di uscita alla catastrofe è doveroso.
Se molte menti si danno un obiettivo comune la speranza non sarà “l’ultima Dea” ?
giovanni lombardi dice
Talmente elementare la soluzione che si ovvia.
Il principio,comunque è accontentarsi regola che corrisponde in concreto”reale” ai tentativi che l’umanità fa,rivestita ancora da carnalità in sapiente.
Cosi l’armonia ha cuore in ognuno di noi,kairos in sincronia.
giovanni lombardi dice
due modi ci sono in un campo dove non è possibile scegliere.
Questa è una contraddizzione di linguaggio nella sua immaterialità facilmente superabile in altro campo.
Questo lo contiene tutti e due e risolve il problema in via esecutiva.
Questa è concreta e carnale e si esaurisce per quanto tempo ha ed è una parte del problema che potremmo chiamare Cronos ,l’altra parte la chiamiamo Kairos,questa risponde ed è l’a vita ,l’amore eterno che diviene Armonia mentre Kronos si sfalda e diviene scheletro informe di te.
Altro non vale aggiungere,è silenzio anche qui dove tu anneghi in solitudine.
Ecco perchè non puoi spiegarlo se non con il cuore e devi tornare al principio per questo .
Paradossi: Moebius lo chiarisce ,concetto della metà della meta che svolge la sapienza elisea e ricomincia da capo.
Premetto come fine che il cervello ci contiene in una mente che si ferma,oggi,al 3,14.
Accontentarsi è il segreto che poi sciogliere solo in compagnia e questo Kronos non lo può.