Fare formazione in salute globale non vuol dire integrare i curricula universitari con tematiche specifiche, ma introdurre un nuovo modo di pensare e agire la salute. Abbiamo bisogno del passaggio a una lettura di tipo processuale, multidisciplinare e biopsicosociale della salute e della malattia, che le collochi all’interno del contesto ecosociale che le include. Un invito a condividere e confrontarsi su questi temi a cura della Rete Italiana per l’Insegnamento della Salute globale, alla quale aderiscono istituzioni accademiche, società scientifiche, Ong, associazioni, gruppi e singoli individui
In un’intervista del 1971, alla domanda se il percorso di formazione dei medici fosse in grado di preparare professionisti adeguati ai bisogni della comunità, Giulio Maccacaro rispondeva: “Sicuramente no! Esso è sostanzialmente immutato da qualche generazione: nel suo orientamento pratico fondamentale e anche nel suo telaio logico-dottrinario, a cui le scoperte scientifiche e gli sviluppi tecnologici hanno aggiunto ricchezza di nozioni e novità di discipline, metodi e strumenti, senza mutarne tuttavia la struttura”[1].
A oltre quarant’anni da quell’intervista, nel nostro Paese molto poco è cambiato, e più nella forma che nella sostanza. Riforme curriculari hanno aumentato e diminuito a fisarmonica il numero degli esami, armonizzato e standardizzato alcuni parametri, ma osando ben poco nel campo dell’innovazione dell’approccio, dei contenuti e delle metodologie formative[2,3].
La formazione in medicina è di fatto ferma a un principio riduttivista di forte impronta biomedica che appartiene più al secolo scorso che all’attuale, e che la rende inadeguata, nelle parole di Edgar Morin, ad affrontare “realtà o problemi sempre più polidisciplinari, trasversali, multidimensionali, transnazionali, globali, planetari […]” (si pensi per esempio all’aumento delle disuguaglianze in salute, alla complessa gestione delle patologie croniche in un contesto di crescente disagio socioeconomico, ai cambiamenti socio-demografici legati a fenomeni quali l’immigrazione). Sempre Morin afferma che “l’indebolimento della percezione globale conduce all’indebolimento della responsabilità (in quanto ciascuno tende a essere responsabile solo del suo compito specializzato), nonché all’indebolimento della solidarietà (in quanto ciascuno non sente più il legame con i concittadini)”[4].
Uno degli ambiti in cui un certo pensiero critico rispetto alla formazione medica tradizionale si è sviluppato, articolando contenuti e approcci ‘altri’, è quello della salute globale. Area di conoscenza che, recuperando correnti di pensiero legate alla medicina sociale e alla sanità pubblica degli anni ‘60-’70 (ma con radici ben più antiche), propone il passaggio a una lettura di tipo processuale, multidisciplinare e biopsicosociale della salute e della malattia, che le collochi all’interno del contesto ecosociale che le include e (ri)produce.
In realtà, la maggior parte della recente produzione scientifica e dell’insegnamento nel campo della salute globale ha di fatto preso la strada di una riproduzione, con vesti nuove, dei tradizionali approcci di medicina tropicale e salute internazionale (e, nel ‘format’, di costosi corsi a pagamento spuntati come funghi nelle università sempre più in competizione per fette di mercato che ne garantiscano i profitti, o la sopravvivenza). Nonostante ciò, è da rilevare come una parte di quel movimento – radicato nel disagio rispetto a un sapere medico sempre più inadeguato e meno risolutivo nella complessità del presente – abbia iniziato un lento e un po’ sommerso processo di trasformazione. Spesso dal basso, senza clamori, ma rintracciabile nella piega autoriflessiva che la disciplina ha preso: da sguardo principalmente su territori e problematiche altre (disuguaglianze Nord-Sud, mercato globale e accesso ai farmaci, ecc.), a strumento di lettura dell’interdipendenza tra locale e globale, tra micro e macro, comprendente nell’analisi la stessa produzione del sapere medico-scientifico come parte in causa (nel non saper leggere e dunque occultare le radici sociali della malattia; nel piegarsi all’influenza del mercato; ecc.). Esito forse inatteso, un direzionamento maggiore degli studenti coinvolti verso scelte professionali orientate alla medicina di famiglia e del territorio, o alla sanità pubblica.
In Italia, questa seconda declinazione è avvenuta principalmente nell’ambito della Rete Italiana per l’Insegnamento della Salute Globale (RIISG), un network che comprende istituzioni accademiche, società scientifiche, organizzazioni non governative, associazioni, gruppi e singoli individui impegnati nella formazione in Salute Globale, sia a livello universitario che di società civile. Già nella sua costituzione, dunque, un ambiente meticcio che supera le divisioni tra università (e, al suo interno, tra docenti e studenti), società civile e professionisti, nonché tra ambito strettamente sanitario e contesto sociale più allargato.
Per le realtà afferenti alla RIISG, fare formazione in salute globale non vuol dire integrare i curricula universitari con tematiche specifiche, ma introdurre un nuovo modo di pensare e agire la salute per generare reali cambiamenti sia nella comunità che nell’intera società, colmando il divario esistente tra evidenza scientifica e decisioni operative. Tale formazione vuole evidenziare come sia il metodo a dare significato e valore ai contenuti, attraverso un approccio partecipativo in grado di promuovere relazioni paritarie tra docente e discente e ponendo quest’ultimo al centro del processo formativo.
Negli ultimi anni, la RIISG ha registrato un aumento costante della richiesta e della realizzazione di corsi o altre iniziative formative che, all’interno della cornice della salute globale, hanno affrontato soprattutto tematiche relative ai determinanti sociali di salute e alle disuguaglianze in salute, a livello sia globale che locale. Questo è avvenuto sia nel contesto di corsi di formazione promossi dalla Rete o da alcuni suoi membri, sia attraverso corsi integrativi opzionali organizzati nelle singole Università, sia mediante laboratori autorganizzati dagli studenti, fino a giungere a riconoscimenti formali quali l’introduzione di crediti formativi dedicati ai contenuti di salute globale in alcune Università italiane (Roma, Genova).
Il momento ci pare dunque opportuno per riprendere la domanda posta a Maccacaro oltre quarant’anni fa e tentarne una risposta attualizzata al presente. Intendiamo farlo a partire da un’esplorazione del bisogno che, in tante parti d’Italia, ha innescato movimenti trasformativi rispetto ai contenuti e alle metodologie di formazione (in salute), e che nell’attenzione per la salute globale e nella costituzione della RIISG ha trovato una forma espressiva ma forse non l’unica. Ci piacerebbe inaugurare, con questo contributo, un’area dedicata della sezione Salute Globale che, nel corso dei prossimi mesi, dia voce a esperienze formative ‘altre’, nonché a opinioni di ‘parti in causa’ interessate a vario titolo alla formazione degli operatori sanitari (studenti, organi accademici e professionali, autorità sanitarie, associazioni di cittadini e pazienti, ecc.). Ci auguriamo che quest’area possa diventare spazio di dibattito e confronto, nell’idea che ripensare la formazione (a partire da concrete esperienze di cambiamento), particolarmente in un’epoca caratterizzata da grandi cambiamenti economici, socio-demografici e nell’organizzazione dei servizi, sia un passaggio necessario per tutelare il diritto alla salute di tutti.
Informazioni su come proporre un contributo
I contributi potranno:
– esporre esperienze di formazione in Salute Globale o, più in generale, esperienze di formazione in salute coerenti con una visione di Salute Globale (orientate ai determinanti sociali, alla partecipazione, al contrasto delle disuguaglianze in un’ottica di giustizia sociale, ecc.)
– contenere riflessioni su nuove necessità formative e/o nuovi approcci alla formazione in salute.
I contributi dovranno avere le seguenti caratteristiche:
Titolo
Autori (nome e cognome di ciascuno)
Afferenza di ciascun autore
Indirizzo e-mail dell’autore referente
Lunghezza tra le 1200 e le 1500 parole
Eventuali riferimenti bibliografici in Vancouver Style (es. Pattisson Pete. Qatar’s World Cup ‘slaves’. Abuse and exploitation of migrant workers preparing emirate for 2022. The Guardian, 25.09.2013)
I contributi dovranno essere inviati al seguente indirizzo:
Il comitato di redazione si riserva di leggere i contributi inviati e di fare eventuali osservazioni o commenti prima della loro pubblicazione.
Le autrici e gli autori di questo post fanno parte del gruppo di lavoro ‘Area Pubblicazioni’ della RIISG
Bibliografia
Una facoltà di medicina capovolta, intervista pubblicata su “Tempo Medica”, novembre 1971, n.97. In Maccacaro Giulio, “Per una medicina da rinnovare”. Milano: Feltrinelli, 1979, pp. 377-382.
Dammacco Francesco, Danieli Giovanni. La formazione del medico dalla tabella XVIII ai nostri giorni. In “Centenario della costituzione degli Ordini dei Medici. Cento anni di professione al servizio del Paese”, a cura di FNOMCeO. Roma: Health communication, 2011.
Stefanini Angelo. ‘Per una medicina da rinnovare’. Internazionalizzazione e responsabilità sociale della formazione medica. Politiche Sanitarie 2012, 13(4):216-221.
Morin Edgar. I sette saperi necessari all’educazione del futuro. Milano: Raffaello Cortina Editore, 2001.
Questo articolo è stato pubblicato anche su saluteinternazionale.info, con il titolo “Ripensare la formazione dei professionisti sanitari: stimoli, contributi, esperienze”.
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