Mettersi in gioco, divertirsi e saper vedere le cose da un altro verso, provare curiosità e amore verso la cultura in ogni suo aspetto, saper improvvisare ma anche saper sostare nelle domande, rendere ogni classe una comunità… Franco Lorenzoni ha provato a definire di quali competenze hanno bisogno oggi gli insegnanti: un piccolo elenco magnifico
di Franco Lorenzoni*
Al termine di un lungo percorso di formazione promosso da diversi Istituti della provincia di Terni e coordinato dalla scuola di Montecastrilli, sulla base dei laboratori e delle esperienze narrate dalle e dai docenti coinvolti, ho provato a definire di quali competenze abbiamo bisogno noi insegnanti.
1. Competenza dell’affacciarsi, dello sporgersi.
Non solo osservo, mi sporgo. Accetto il pericolo e faccio qualcosa di più: mi butto, mi metto in gioco. Per mantenere viva quella curiosità elementare di cui sono dotate bambine e bambini provo a rompere il recinto, spesso angusto, delle mie conoscenze. Affacciandomi e sporgendomi verso i saperi e i linguaggi di un’altra disciplina, scopro quanto la matematica sia parente della musica e la pittura dialoghi con il raccontare storie. Cerco di scoprire queste connessioni abitando con bambini e ragazzi i luoghi di confine, che sono spesso i più interessanti. E l’attitudine allo sporgermi, allo sbilanciarmi, non riguarda solo i contenuti, ma anche i metodi e le strade con cui compio le necessarie manovre di avvicinamento ai nuovi territori che abbiamo deciso di esplorare. Ma per mettermi in gioco davvero devo sperimentare diversi linguaggi, perché posso incontrare la storia con il teatro, entrare nella geografia e nella geometria con il corpo o cercare il ritmo che accomuna le diverse arti. Un’insegnante di musica quasi in pensione si è appassionata nello scoprire quanta matematica c’era nella sua disciplina, altre si sono incuriosite, osservando un maestro che giocava con palline, elastici, molle e piani inclinati, sperimentando quel modo di presentare la fisica senza spaventarsi dell’apparente confusione, senza tirarsi indietro.
2. Competenza del decentrarsi, divertirsi e saper vedere le cose da un altro verso.
Bambini e ragazzi spesso imitano noi docenti ridendo. Saper guardare con ironia gli spazi della scuola e il nostro operare fa bene. Osservare le cose da un altro punto di vista, accorgerci del lato comico, surreale, a volte grottesco dei nostri comportamenti – come quando urliamo di non urlare – ci aiuta a considerare il nostro ruolo con meno presunzione. Sapere ridere di sé aiuta lo stabilirsi di relazioni più aperte ed umane, non nascondendo le nostre fragilità.
Se prestiamo attenzione al linguaggio, che è sempre un buon alleato del pensiero, scopriamo che diversità e divertimento hanno la stessa etimologia ed evocano il capovolgimento, il guardare da un’altra parte e cambiare verso. La diversità a volte è tragica e lascia senza parole. Spesso provoca forme palesi o nascoste di discriminazione. Il più delle volte è complessa, sfaccettata, non tollera la sola tolleranza e commiserazione. Cerca verità nella relazione e chiede autenticità e audacia. Diversità è ricchezza è una frase che rischia la retorica. Diversità è anche fatica, ostacoli da superare. Perché diventi davvero ricchezza agli occhi di tutti c’è un gran lavoro da fare e l’attenzione al contesto è fondamentale. Dobbiamo coltivare una sorta di sguardo antropologico verso le condizioni in cui si sviluppano le relazioni in quell’universo chiuso e in certi casi asfissiante che sono a volte le nostre classi. Il comico, anche dissacrante, può aprirci a prospettive inaspettate e a considerare con maggiore intelligenza e indulgenza tante nostre mancanze.
3. Competenza del provare curiosità e amore verso la cultura in ogni suo aspetto.
Credo sia d’obbligo, nel nostro lavoro, leggere tanto, vedere film, assistere a qualche concerto o spettacolo teatrale, essere aperti verso le scoperte della scienza, incuriosirci delle musiche e dei giochi in cui sono immersi bambini e ragazzi. Se non incarniamo l’amore per la conoscenza, se non ci mostriamo capaci di riconoscere la straordinaria stratificazione di storia e arte che caratterizza ogni angolo del nostro paese, cosa ci stiamo a fare a scuola?
Cos’è la cultura, se non curiosità critica e capacità di discussione di ciò che accade? Che cos’è l’arte, se non ribellione al proprio tempo e proposta di altri sguardi sul mondo? Cos’è la scienza, se non il rimettere continuamente in causa ciò che diamo per scontato e per vero? Far sì che la scuola sia tempio di cultura, arte e scienza è nostra responsabilità: vive nel comportamento e atteggiamento di ciascuno di noi.
4. Competenza del fringuello picchio delle Galapagos.
C’è un piccolo uccello, nelle isole Galapagos, che non si spaventa di fronte agli aculei del cactus. Al contrario, li stacca col becco e li trasforma in un efficace strumento per procacciarsi cibo, piegandone leggermente la punta e facendone un piccolo arpione capace di scovare dai buchi dei tronchi i vermetti di cui si nutre. Anche noi, in classe, a volte ci troviamo di fronte a bambini e ragazzi che mostrano i loro aculei, spuntati a causa di sofferenze e difficoltà. Riuscire a trasformare queste armi di difesa aggressiva in elementi di nutrimento è il compito più arduo a cui siamo chiamati, ma questa capacità costruttiva concreta è una competenza che abbiamo l’obbligo di coltivare, se abbiamo l’ambizione di rendere la nostra scuola davvero inclusiva. C’è un ulteriore suggerimento che ci offre il fringuello picchio. Dopo avere utilizzato l’aculeo-arpione, il piccolo uccello delle Galapagos lo conserva poggiandolo su una foglia perché anche altri lo possano utilizzare, ricordandoci quando il darci suggerimenti reciprocamente, scambiarci percorsi e materiali di lavoro efficaci e cooperare tra noi insegnanti sia essenziale, per sviluppare questa competenza.
5. Competenza dell’improvvisazione jazz e del navigare di bolina.
Nel mare agitato delle relazioni reciproche, che tanto condiziona ogni processo di apprendimento, dobbiamo sapere improvvisare. Saper rinunciare al programma che avevamo stabilito per quel giorno e deviare il nostro cammino, reagendo positivamente all’inaspettato.
“Improvvisare – ci ricorda il grande jazzista Paolo Fresu – significa utilizzare il proprio strumento, qualsiasi questo sia, per portare all’esterno le nostre idee maturate e sedimentate grazie allo studio e all’apprendimento, ma anche il nostro stato d’animo e l’espressione della nostra personalità”.
La competenza del saper improvvisare non s’improvvisa. Si affina giorno dopo giorno, navigando di bolina, controvento. Alcuni penseranno forse che siamo un po’ pazzi, perché non andiamo mai nella stessa direzione e a volte ci incliniamo tanto da sembrare che ci si rovesci, ma per risalire il vento è obbligatorio procedere a zig zag e la qualità nel nostro mestiere si misura nella capacità di non dare mai nulla per scontato e sapere continuamente cambiare strada, cercando di seguire e trovare il percorso più adatto anche per il più lontano dei nostri ragazzi. La scuola deve essere un po’ meglio della società che la circonda, altrimenti cosa ci sta a fare?
6. Competenza del saper sostare nelle domande e abbandonare le proprie abitudini mentali.
Bambini e ragazzi riconoscono al volo se le domande che poniamo loro sono legittime, cioè sono domande attorno a cui anche noi ci interroghiamo cercando risposte, o sono domande fatte solo per controllare che sappiano ripetere ciò che abbiamo loro detto o fatto studiare. Bambini e ragazzi hanno diritto a incontrare nella scuola adulti in ricerca, capaci di abbandonare le loro abitudini mentali, sostare a lungo intorno a domande di fondo insieme a ragazze e ragazzi. Adulti capaci di trasformarsi, almeno in alcuni momenti, in nomadi erranti, capaci di immaginare nuove mappe da disegnare mentre si è in cammino.
Se vogliamo costruire ponti tibetani sospesi nel vuoto, capaci di congiungere scienza, storia e cultura ai ragazzi di oggi, dobbiamo coltivare e predisporci a uno sguardo creativo ed aperto.
Carla Melazzini, che è stata una straordinaria maestra di strada a Napoli, ci ricorda che per lavorare con ragazzi dalla vita dissestata e disarticolata, è necessaria
“una didattica itinerante lungo strade che non sono quelle della propria nicchia antropologica, ma sono tutte le strade della città. Nessun percorso mentale di conoscenza fatto su libri e quaderni può essere innescato dentro aule scolastiche – almeno per i ragazzi come i nostri, ma non solo – se il cammino di piedi materiali su strade non conosciute non sblocca le emozioni da una paura paralizzante. (…) La didattica itinerante diventa per noi di Chance materia curricolare per costruire competenze di cittadinanza, competenze professionali e competenze cognitive. In quest’ordine, perché le prime sono condizione e motore delle altre”.
7. Competenza dell’essere insegnanti rabdomanti, capaci di scoprire sorgenti nascoste in coloro che abbiamo la pretesa di educare.
Checché se ne pensi noi adulti, bambini e ragazzi non sono mai superficiali. Possono non avere parole o riferimenti culturali per esprimere le proprie emozioni e i propri sentimenti, ma c’è in tutti una profondità nel loro sentire. È necessario, dunque, affinare la nostra capacità di comportarci da veri e propri rabdomanti, capaci di individuare dove si trovi la sorgente profonda dove è nascosta l’acqua che ciascuno sente come propria fonte più pura e naturale. E scavare insieme per farla emergere e poterla condividere con gli altri.
Il pensiero infantile, diverso da tanto nostro ragionare, così come il pensiero adolescente, colmo di ossimori e paradossi, possono essere straordinari alleati se pensiamo che la costruzione culturale che cerchiamo di realizzare a scuola debba essere una costruzione collettiva capace di rendere ogni classe una comunità. E comunità si dà quando si desidera ascoltare l’opinione e il punto di vista degli altri, di tutti gli altri.
8. Competenza dell’accorgersi delle discriminazioni grandi e piccole fin dal loro primo affiorare e di non poterle tollerare.
Ci sono discriminazioni evidenti e discriminazioni nascoste. Piccole e grandi angherie che bambini e ragazzi subiscono dai compagni e molte volte anche da noi insegnanti, senza che nemmeno ce ne si accorga. La discriminazione è una delle maggiori cause di sofferenza nell’infanzia e in tutta la vita. Accrescere il nostro senso di giustizie e accorgerci di ogni forma di esclusione e discriminazione è una qualità necessaria. Coltivare una sensibilità che renda intollerabile ogni forma di discriminazione è una competenza fondamentale per chi educa. È condizione imprescindibile perché si creino condizioni positive per l’apprendere. Se non si ha fiducia in se stessi, se non si sente di essere ascoltati ed accolti, difficilmente ci costruisce una relazione viva con la conoscenza. Cercare di conoscere il mondo, aprirsi agli altri e scoprire qualcosa di sé sono processi profondamente intrecciati. La cultura è relazione o non è.
Come sempre, Franco Lorenzoni parla agli insegnanti, ma parla anche a ciascuno di noi come individuo sociale. Grazie!
Grazie ,grazie ancora per questa divulgazione di un pensiero così profondo ed elaborato. Ho inviato questa mail a tutti i miei cari che hanno figli e… nipoti da coltivare!!!