Mentre la Siria brucia, il Congo brucia, il clima brucia e «chi organizza il mondo» butta benzina lontano dalle attenzioni dei «grandi» media, abbiamo pensato di pubblicare due testi, usciti tempo fa sul settimanale Adista. Al centro il sogno della riconversione degli strumenti di morte in strumenti di vita. Il primo è del protagonista di Mattatoio n. 5, scritto da Kurt Vonnegut: la scena è come un film di guerra visto all’indietro, una storia che si riavvolge e assorbe tutta la distruzione, azzerandola. La riconversione ispira anche il sogno di Elias, veterinario iracheno che vive vicino a Mossul, autore de Il sogno di un uomo.
da Mattatoio n. 5, Kurt Vonnegut
«Vista a rovescio da Billy, la storia era questa: gli aerei americani, pieni di fori e di feriti e di cadaveri decollavano all’indietro da un campo di aviazione in Inghilterra. Quando furono sopra la Francia, alcuni caccia tedeschi li raggiunsero, sempre volando all’indietro, e succhiarono proiettili e schegge da alcuni degli aerei e degli aviatori. Fecero lo stesso con alcuni bombardieri americani distrutti, che erano a terra e poi decollarono all’indietro, per unirsi alla formazione. Lo stormo, volando all’indietro, sorvolò una città tedesca in fiamme. I bombardieri aprirono i portelli del vano bombe, esercitarono un miracoloso magnetismo che ridusse gli incendi e li raccolse in recipienti cilindrici di acciaio, e sollevarono questi recipienti fino a farli sparire nel ventre degli aerei. I contenitori furono sistemati ordinatamente su alcune rastrelliere. Anche i tedeschi, là sotto, avevano degli strumenti portentosi, costituiti da lunghi tubi di acciaio. Li usavano per succhiare altri frammenti dagli aviatori e dagli aerei. Ma c’erano ancora degli americani feriti, e qualche bombardiere era gravemente danneggiato. Sopra la Francia, però, i caccia tedeschi tornarono ad alzarsi e rimisero tutti e tutto a nuovo. Quando i bombardieri tornarono alla base, i cilindri di acciaio furono tolti dalle rastrelliere e rimandati negli Stati Uniti, dove c’erano degli stabilimenti impegnati giorno e notte a smantellarli, e separarne il pericoloso contenuto e a riportarlo allo stato di minerale. Cosa commovente, erano soprattutto le donne a fare questo lavoro. I minerali venivano poi spediti a specialisti in zone remote. Là dovevano rimetterli nel terreno e nasconderli per bene in modo che non potessero più fare male a nessuno».
Il sogno di un uomo, Elias, veterinario iracheno
«La guerra finirà / pianteremo alberi / perché rimangano / non perché siano legna da ardere / con i nostri bambini giovani e anziani pianteremo fiori / alle frontiere / e grano nei campi dei soldati / trasformeremo le prigioni in musei.
La guerra finirà / faremo pace fra di noi / i luoghi diventeranno attrazioni turistiche / insieme sradicheremo le mine / come i contadini sradicano le infestanti / al ritmo dei suoni del raccolto / chiuderemo le fabbriche di armi / diventeranno ospedali e scuole materne / e i veicoli militari / diventeranno bus scolastici / una volta ridipinti con arcobaleni a onde.
La guerra finirà / alzeremo la bandiera dell’amore e della tolleranza / cantando per gli umani e la natura / applaudendo insieme / con risate e sorrisi puri / metteremo vasi di fiori al posto dei cancelli / ogni fiore da una parte diversa del mondo / ordiremo un arazzo colorato / ogni filo da una nazione.
La guerra finirà / ciascuno benderà le altrui ferite / pianteremo gelsomini / sulle tombe delle nostre vittime».
Questi testi sono stati diffusi il 30 novembre nella mailing «pace» di Peacelink da Marinella Correggia, che ringraziamo.
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