di Elena Gerebizza*
Mentre sulle coste del Salento cresce l’onda popolare contro la TAP, il gasdotto che dovrebbe trasportare gas azero verso le coste pugliesi dipinto dalla Commissione europea e da vari governi italiani come “l’alternativa alla Russia”, l’esecutivo guidato da Matteo Renzi sembra inseguire un sogno diverso. Il vecchio sogno africano. Lo fa a seguito dell’Eni, partner storico dei Russi, e abile negoziatore con i dittatori o pseudo tali più incalliti. Libia, Russia, Kazakistan, Turkmenistan, Algeria, Nigeria, Repubblica del Congo, Angola sono solo alcuni dei paesi in cui la compagnia del Cane a Sei Zampe è presente.
Ora che la Russia è sotto attacco da parte di diversi governi europei per la questione ucraina e che la stessa Commissione europea ha spinto la Bulgaria a uscire dal South Stream (storico progetto spinto da Mosca, in cui è coinvolta anche l’Eni), la nuova dirigenza della oil corporation nostrana preferisce mantenere un basso profilo e rispolverare il “famigerato” sogno africano”. Lo fa portando in visita il premier Renzi, che come uno scolaretto ben educato in Mozambico promette “pace, investimenti e cooperazione” soprattutto in campo energetico. Sono infatti anni che nel Paese l’Eni ha messo le mani su uno dei più grandi giacimenti non esplorati di gas naturale. Parliamo di ben 2.400 miliardi di metri cubi di gas che, secondo quanto dichiarato dall’amministratore delegato dell’Eni Claudio Descalzi a Il Sole 24 Ore, “consentirebberodi soddisfare il bisogno degli italiani per trent’anni”.
Un investimento di ben 50 miliardi che la compagnia si appresta a realizzare e che Renzi ha molto elogiato. Trasformando in certezza (“Se va in porto l’operazione avremo gas sufficiente per i prossimi 30-40 anni”, Il Sole 24 Ore) quella che per Descalzi era una possibilità. Forse a Renzi sarà sfuggito che quel “consentirebbero” potrebbe significare che non sia detto che il gas estratto dall’Eni venga poi venduto in Italia. Questo la società lo sa bene, forse Renzi di meno, o gli fa comodo così. L’Eni è infatti una società per azioni quotata in borsa, che opera sui mercati globali. Estrae, compra, vende a tutto tondo petrolio, gas e non solo. Cerca di garantire buoni ritorni ai suoi azionisti, tra cui il governo italiano (che detiene circa il 30% dell’azienda tramite il Tesoro e la Cassa Depositi e Prestiti), ma tutto questo ha ben poco a che fare con le forniture di gas all’Italia, e con l’impegno dell’Eni in questo senso.
Quindi che l’Eni abbia firmato accordi in Mozambico, in Congo e in Angola significa che Cassa Depositi e prestiti potrà incassare l’effetto che anche solo questo annuncio avrà sulle borse di Milano, Londra, New York. Che in questi paesi le comunità che vivono dove opera l’Eni, o dove si trovano le sue infrastrutture, si troveranno a fronteggiare gli effetti sull’ambiente e sulla salute di operazioni industriali di questo tipo. In situazioni come quella del Congo, dove una normativa ambientale esiste, ma manca la legge attuativa della stessa… Non è da escludere che i proventi di petrolio e gas finiranno ancora una volta nelle mani di dittatori come Denis Sassou Nguesso, che ha ripreso il potere nella Repubblica del Congo con il colpo di stato del 1997 (con il sostegno del regime dell’Angola, ndr.), a cui Renzi ha stretto volentieri la mano, così come fecero Berlusconi e altri prima di lui.
Niente di nuovo sotto al sole quindi. Forse solo un pro-memoria affinché non si confondano interessi pubblici e privati, anche se in effetti sembra oramai tutto la stessa cosa. Per evitare almeno un brusco risveglio da questo dejavu.
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