
di Maria Luisa Boccia*
La scommessa femminista è di mutare «modo d’essere» del pensiero e «modo d’essere» della vita. È una rivoluzione, allo stesso tempo, simbolica e materiale. La via maestra di questa rivoluzione sono, per Carla Lonzi, le relazioni. Sono le relazioni che vanno modificate per cambiare la realtà, la società con le sue strutture, le sue regole, i suoi fini. Nelle relazioni si gioca la possibilità stessa di vivere ed operare nel mondo. E sono in gioco tutte le relazioni, quelle con le donne, (l’altra da sé) e quelle con gli uomini (l’altro da sé). Se si perde questo nocciolo, si perde tutta l’originalità di Lonzi. È infatti attraverso le relazioni che Carla Lonzi ha in trapreso il percorso del venire a coscienza della differenza femminile. Traendo, come dice, «tutto da me» (Taci, anzi parla, p. 74). Ovvero da quanto le risulta in prima persona. Un percorso che le ha consentito di divenire soggetto, senza negare autenticità al suo, singolare, «modo di essere». Mettendo fine all’ostilità fra il proprio sé e il mondo, da cui muove l’angosciosa domanda: sono io pazza, o è il mondo che è insensato?
Quello che Lonzi intraprende è tutt’altro che un percorso privato, intimista. È la sola via per andare nel mondo con padronanza e libertà. Una via lungo la quale la donna ri-significa «femminile», ovvero storia, cultura, identità a cui è stata assegnata. Potremmo dire che riattraversa, decostruisce e modifica quell’essenza che è stata il destino delle donne. L’ethos della femminilità che confuta in Sputiamo su Hegel: cura, famiglia, corporeità. Ma questa è impresa affatto diversa dal recupero dei valori della femminilità.
Se il conflitto è con la civiltà dell’opera, la scommessa è di costruire un mondo meno ostile ed estraneo alle donne, mettendo in primo piano le relazioni tra soggettività differenti, invece della produzione di oggetti. Per una donna, infatti, fallire le relazioni equivale a fallire il proprio principio di piacere e di realtà. Nel Manifesto di Rivolta femminile e in Sputiamo su Hegel, testi fondativi del femminismo, Lonzi ha dovuto concentrare il discorso, in modo pressoché esclusivo, sulla differenza femminile e sulle relazioni tra donne. E ha dovuto confutare il patriarcato, togliendo credito al pensiero maschile. Soprattutto alle teorie rivoluzionarie che lo hanno acquisito tra le donne, offrendo loro una prospettiva di emancipazione e liberazione. Grazie al femminismo, e alle mutate relazioni tra donne, costruite nei gruppi di autocoscienza, Lonzi può andare oltre e rivolgere la sua attenzione ai rapporti con gli uomini. Può chiedersi se e come sono stati modificati dal femminismo. Se e come la coscienza femminile abbia aperto lo spazio a relazioni differenti. Al centro di Vai pure e Armande sono io! vi è il rapporto con l’uomo. Il presupposto da cui muove è che non è più il rapporto, necessario per la realizzazione di sé, in quanto donna. La donna non è più la costola d’Adamo, venuta al mondo per tenere compagnia, accudire e sostenere l’uomo. È iniziata la sfida della «vita tra i due sessi»: così la definisce in La donna clitoridea e la donna vaginale (p. 95). Nella sessualità come nella politica, nelle relazioni personali in quelle pubbliche. Ed è sfida sui modi della relazione, come sui contenuti. Nell’uno e nell’altro piano investe il desideri o e il piacere, le rappresentazioni e le pratiche.
Crisi di virilità
La mossa decisiva è spostare l’uomo dal suo centro. «Alterare» il suo modo d’essere, destituirlo dal ruolo di protagonista. A partire dal riconoscimento della coscienza femminile, come principio differente di piacere e di realtà. Come è annunciato nel Manifesto: «dopo questo atto di coscienza l’uomo sarà distinto dalla donna e dovrà ascoltare da lei tutto quello che le concerne» (p. 11). Subito dopo, con preveggenza, viene scongiurato il possibile esito catastrofico della presa d’atto, da parte degli uomini, della propria parzialità: «Non salterà il mondo se l’uomo non avrà più l’equilibrio psicologico basato sulla nostra sottomissione» (ibidem).
(…) Le donne si sono rivolte a se stesse, hanno costruito relazioni tra loro, si sono ritirate dal terreno della condivisione di idee, interessi e progetti con l’altro sesso. Non hanno più fatto «coppia», nella famiglia, nella sessualità, nella politica, nella cultura, nella produzione delle opere. È questo lo spostamento decisivo che è avvenuto con la presa di coscienza femminile. Ma anche l’uomo deve ritirarsi dal terreno della complementarità, per costruire su un altro piano la relazione con la donna. Questa mossa della differenza maschile tuttora latita. Talvolta si mostra, per poi appannarsi di nuovo. È il passaggio in cui siamo. Lonzi lo indica già nell’82 come il passaggio necessario perché il femminismo non si trovi in stallo, impossibilitato a procedere.
Nell’intervista a «Quotidiano donna» (maggio ’81) si chiede:
Perché ci si ferma, noi donne di fronte a questo? Perché non si capisce che questo è un nuovo inizio? Ci si ferma nel mondo delle donne. Ci si ferma nello stare tra donne. Ma non ci si sposta nella sfida ad andare, a fare il corpo a corpo con l’altro. Non serve il dissidio costante, non serve la rivendicazione.
Al contrario, attestarsi sul terreno delle rivendicazioni e del dissenso è un modo di riconfermare l’uomo. (….)
Negli ultimi anni Lonzi torna con insistenza sulla necessità di non accontentarsi dell’agio nelle relazioni tra donne, per rilanciare la sfida nelle relazioni con l’uomo.
In un convegno della Società delle letterate sulle relazioni suscitando un qualche stupore, ho parlato della relazione donna-uomo, e non di quella donna-donna. Partendo da una riflessione autocoscienziale su come si era modificata, grazie alla mia lettura di Lonzi, la relazione c on Marcello Argilli, l’uomo con cui ho un legame da molti anni. Marcello è uno scrittore, e ha raccontato in un libro, Il mondo di Malu – Malu è l’acronimo del mio nome Maria Luisa –, come può essere un mondo fantasticato da due adolescenti, maschio e femmina. Se a guidare la loro relazione è lei, la «principessa della mente». Malu, come Armande, suscita reazioni di rigetto. Marcello mi ha raccontato che nei numerosi incontri sul libro, fatti nelle scuole, erano le ragazze ad essere sconcertate da questa relazione di spari. Evidentemente coglievano molto bene quale spostamento rappresentava. Comunque la mia scelta di parlare della relazi one «a due», tra uomo e donna, è stata da alcune intesa come una messa in dubbio della centralità della relazione tra donne. Ovvero di quello che è stato, ed è, il nucleo del femminismo. Come se proponessi un ritorno al passato. Al contrario, il mio intento era, ed è, quello di investire il guadagno acquisito nella relazione tra donne, mettendolo in gioco nella relazione con l’altro.
Penso che dovremmo tornare a raccontare cosa accade nelle relazioni che ogni singola donna ha con singoli uomini. A chiederci se e come è riconoscibile in esse il segno della libertà femminile. Detto altrimenti. Cosa accade tra un uomo e una donna è ancora per noi un criterio di giudizio come lo è stato negli anni Settanta? Cosa è cambiato nel modo d’essere donna e uomo, e nell’esperienza umana? Quale bilancio tracciamo delle relazioni tra i sessi?
Negli anni Settanta il criterio di giudizio essenziale era quello delle relazioni singole che ho qui indicato. E infatti ne abbiamo una ricca e diffusa narrazione, della quale Lonzi è una delle voci più autorevoli. Oggi, questa narrazione non sembra più importante. Anche nel femminismo della differenza tende a prevalere un discorso «culturale», vorrei dire oggettivo, sui rapporti tra i sessi. Vi è una messe di studi, spesso pregevoli, ma si è perso il filo della narrazione in cui sessualità e politica si intrecciano in una unica trama. Che è altra cosa da una politica sul sesso, sui diritti e sulle libertà sessuali. Il pensiero, sessuale e sessuato, di Lonzi e del femminismo che lei inaugura, non è un insieme di contenuti, che entrano a far parte del discorso politico. È un pensiero generato dalla scoperta che il piacere femminile non è complementare a quello maschile. Questa erotizzazione della nostra pratica politica è smarrita. Siamo più sole nel fronteggiare la fatica delle relazioni con l’altro, e anche delle relazioni tra donne, sia nella sfera pubblica che in quella privata. Di questa fatica fa parte anche lo smarrimento di senso. Solo se ritroviamo il gusto di quella narrazione, possiamo fare del piacere femminile il criterio di misura nelle relazioni con gli uomini, negli spostamenti che vogliamo, e nelle sfide che comportano. Solo così noi siamo con Carla Lonzi.
Non leggo di pratiche e azioni concrete da attuarsi e da richiedere. Quindi, non capisco.