Era dagli anni Trenta del Novecento che non si vedevano file come quelle di oggi per usufruire di pasti gratuiti a Chicago e in tutti gli Stati Uniti. Moltissima gente non ha nulla da mangiare. Prima dell’emergenza, più di 800 milioni di persone al mondo andavano a letto ogni sera a stomaco vuoto. Adesso il numero aumenta ogni giorno. Secondo gli specialisti, nei prossimi mesi ci saranno carestie come non si vedevano dal Medioevo. Intanto, sappiamo che i fiumi di persone che hanno lavorato da casa molto spesso hanno ordinato cibo già pronto perché non hanno tempo per cucinare. L’agro-industria e i giganti del sistema di distribuzione decideranno come controllare i prossimi modelli di consumo. Tutto lascia credere che intensificheranno le azioni devastatrici che – in modo più o meno diretto – causeranno nuove pandemie. I colossi del sistema alimentare amano dar da mangiare a domicilio, se potessero imboccherebbero tutti come fossero bambini. Però si comincia a vedere anche un po’ di resistenza: negli Stati Uniti 400 negozi Walmart hanno chiuso (o gli è stato impedito di aprire) perché penalizzano i piccoli negozi. Le associazioni tra consumatori urbani e produttori sono cresciute in tutto il Nordamerica, mentre il virus ha favorito anche – come mai s’era visto prima prima – la pratica di coltivare e cucinare in casa. La settimana scorsa a New York e in altre grandi città è finito il lievito per fare il pane. È in quel territorio, nello stomaco, che oggi si combatte la principale battaglia. Con l’emergenza, molti hanno capito che la casa può non essere solo dormitorio e sala TV ma un luogo in cui ogni giorno si mettono in scena l’arte di mangiare, quella di abitare e la gioia di vivere
La più importante battaglia della guerra in cui ci troviamo si combatterà nello stomaco. È dagli anni trenta che non si vedeva una fila come quella di adesso al Gran Deposito Alimentare di Chicago o nelle migliaia di kitchensoups (cucine popolari) che distribuiscono pasti gratuiti negli Stati Uniti. Moltissima gente non ha nulla da mangiare. Prima dell’emergenza più di 800 milioni di persone al mondo andavano a letto a stomaco vuoto ogni sera. Questo numero aumenta ogni giorno. Secondo gli specialisti, nei prossimi mesi ci saranno carestie come non si vedevano dal Medioevo.
In Messico e negli Stati Uniti milioni di persone hanno perso il lavoro. Molte non lo recupereranno. Quasi tutte hanno bisogno di mangiare. In Messico ci hanno pensato le associazioni di beneficienza e i cárteles (della droga, ndr) . Ma non potranno pensarci per sempre, dovranno nascere nuovi sistemi di distribuzione.
Ristoranti e osterie sono riusciti a sopravvivere preparando cibo da asporto. Per lo più vendendo per telefono o online. Uber Eats ha visto crescere i suoi clienti come mai prima. Molti di loro continueranno ad essere clienti anche ad emergenza passata. Hanno apprezzato.
Milioni di persone in tutto il mondo hanno lavorato da casa. La tendenza che già prima si intravedeva si è andata accelerando. Con vantaggio dei lavoratori. Quelli che sono obbligati a trasformare le loro case in uffici scelgono di ordinare cibo già pronto. Non hanno tempo di cucinare.
Per queste e altre simili condizioni l’industria agricola intensificherà le azioni devastatrici e darà origine a nuove pandemie. Le ricche pampas argentine continueranno ad essere usate per nutrire i porci cinesi e l’Amazzonia diverrà una fabbrica di soia. Se lo permetteremo, le nostre terre migliori renderanno il Messico il primo paese al mondo per l’esportazione di asparagi, ceci e forse anche melanzane, spinaci e sedano. Continueremo a esportare birra, pomodoro, peperoni e peperoncini, cocomero, cetriolo, avocado e limone. I cárteles già controllano alcune di queste colture. Rendono più della droga.
L’agroindustria e i sistemi di distribuzione si uniscono per decidere e controllare modelli di consumo. Amano dar da mangiare a domicilio; se potessero imboccherebbero tutti come fossero bambini. Nell’ambito di questi settori, però, si inizia a vedere un po’ di resistenza: negli Stati Uniti 400 negozi Walmart hanno chiuso o gli è stato impedito di aprire perché penalizzano i piccoli negozi degli abitanti.
L’associazione tra consumatori urbani e produttori rurali con vantaggi da entrambe le parti sembra ebbe origine in Giappone. L’idea arrivò fino in Germania e in altri paesi fino a divenire popolare in Nord America. Negli Stati Uniti si chiama “Community Supported Agriculture”, o “Community Shared Agriculture” in Canada. Quando arrivò il virus, molti di questi gruppi erano in situazioni molto soddisfacenti per tutte le parti coinvolte. C’è stata un’esplosione. Verosimilmente il numero di gruppi è raddoppiato.
Parallelamente stava andando avanti la pratica di coltivare a casa, dalla fioriera sul balcone all’orto pieno di verdure nel giardino sul retro. A volte erano pomodori reazionari: seguivano la moda, in una competizione individualista che iniziava comprando semi e prodotti chimici nei negozi Walmart. Altre volte erano pomodori rivoluzionari: formavano i semi di una comunità urbana che presto arrivava a comprendere altri aspetti della vita quotidiana. È davvero enorme il potenziale della cosiddetta agricoltura urbana. L’emergenza l’ha incentivata come mai prima.
C’è stata un’insperata rinascita della coltivazione nelle comunità rurali chiuse. Sembra che quest’anno non sarà pessimo come l’anno scorso e tutti stanno seminando. Partecipano anche i migranti che fanno ritorno, passata la quarantena imposta dai loro paesi; così recuperano la milpa che avevano lasciato. Il blocco non lascia entrare bevande gassate e altro cibo spazzatura. La lotta per combattere obesità, diabete e altre malattie, che avanzava a rilento, ha avuto un’insolita accelerazione.
Si diffonde la sensibilità che meglio di tutti espresse Eduardo Galeano: in questi tempi di paura globale, chi non ha paura della fame ha paura del cibo. Gli alimenti sul mercato fanno ammalare e uccidono. È il momento di far nostra la nozione di sovranità alimentare coniata da Via Campesina: essere noi a decidere cosa mangiamo… e produrcelo.
La settimana scorsa una carenza in particolare è emersa a New York e in altre grandi città: è finito il lievito per fare il pane. È in quel territorio, nello stomaco, che oggi si combatte la principale battaglia. Con l’emergenza molti hanno capito che la propria casa può non essere solo mero dormitorio e sala TV, ma può essere una dimora in cui si pratichino ogni giorno l’arte di mangiare, l’arte di abitare, la gioia di vivere.
Fonte: la Jornada con testo in spagnolo
Traduzione per Comune-info: Leonora Marzullo
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