Trova ostacoli di ogni genere sul suo cammino il diritto a scegliere se i bambini devono mangiare a una mensa che non piace oppure possono avere delle alternative, dal pranzo preparato a casa alle mense autogestite di classe, di scuola o di quartiere. Le istituzioni e i dirigenti scolastici non esitano a opporre minacce e ritorsioni sulle famiglie e soprattutto sugli stessi bambini. La via maestra per negare quel diritto resta però la disinformazione. Forse non è solo per amor di semplificazione che anche i grandi media continuano a parlare solo di “panino”. Viene offerto grande spazio a un dibattito povero, che invita solo a schierarsi e occulta molte informazioni, spesso perfino i presupposti della protesta dei genitori, la pessima condizione attuale delle mense scolastiche. Quasi del tutto assente, invece, la cronaca di quel che sta avvenendo realmente in giro per l’Italia dopo il pronunciamento dei giudici torinesi. Ecco una ricognizione, breve ma completa, basata sulle segnalazioni ricevute dalla Rete Commissioni Mensa Nazionale. Dal caso di Milano, dove il 30 per cento delle famiglie non s’è ancora iscritto al servizio ristorazione, a quello di Benevento, dove nessuno ha chiesto di rinunciare alla mensa perché la mensa non esiste
di Sabina Calogero
Qual è la situazione in Italia, a due settimane dall’inizio delle scuole, dopo la storica sentenza del 22 giugno che riconosce ai bambini il diritto di consumare nelle mense scolastiche anche un pasto portato da casa? La corte di appello di Torino ha stabilito, in base al dettato costituzionale, che la scuola dell’obbligo, essendo gratuita, non può obbligare al consumo di un pasto a pagamento. Viene scardinata così una delle principali voci in bilancio dei Comuni e si ledono gli interessi delle grandi ditte della ristorazione collettiva, che finora agivano indisturbate, controllate com’erano da soggetti appaltanti benevolmente distratti. Eppure, perfino i NAS, quest’estate, hanno dichiarato che un controllo su 4 (sui 2600 fatti in tutta Italia) rivela una “non conformità” nelle mense italiane. L’azione determinante è stata quella di 58 genitori di Torino, la città con la mensa più cara d’Italia: 7 euro a pasto, che si sono rivolti a un legale e hanno creato un precedente ora applicabile in tutto il territorio nazionale.
I tre mesi estivi del 2016 sono stati consumati dalle istituzioni per dichiarare urbi et orbi che l’eversiva sentenza era valevole “solo per i 58 genitori ricorrenti di Torino”: una bufala imbarazzante, che tuttora viene scandalosamente utilizzata da dirigenti e politici vari; è stata l’assessore della Regione Lombardia, a scuola iniziata, la prima a sbugiardare la pietosa versione, che ancora resiste al front office di molti istituti. I quindici ricorsi d’urgenza vinti (su 15 richiesti), intentati a settembre, quando le scuole si rifiutavano di riconoscere il diritto per tutti, hanno spianato la strada al resto d’Italia.
Il Ministero dell’istruzione (MIUR), che con il suo reclamo ha perso in primo e secondo grado, non ha ancora presentato alcun ricorso. Ecco un’altra curiosità: il “ricorso” non esiste ma è citato da quasi tutti i giornali come se fosse stato realmente depositato. I dirigenti solastici, intanto, privi di alcun documento che li metta in condizione di vietare il pasto domestico nelle loro scuole, hanno adottato la comune strategia di “prendere tempo”. Dicono di essere in attesa di indicazioni dalla ASL in merito ai gravi rischi del cibo “anarchico”, che sarebbe tanto pericoloso a pranzo, ma non due ore prima, a merenda: in quasi tutte le scuole, infatti, si porta la merenda da casa, e l’attenzione ai casi di allergia è ottimamente gestita all’interno delle classi.
In realtà, le ASL non hanno alcun potere deliberativo che possa ribaltare una sentenza della Corte d’appello. Sarebbe come dire che per la Costituzione tutti i cittadini sono uguali ma per l’ASL del tal Comune gli immigrati devono avere bagni pubblici separati…Di certo a qualcuno farebbe piacere, è tristemente noto, ma in Italia ancora non si può. Le scuole, intese come istituti, alzano le barricate, ovunque si fa (dis)informazione verso i genitori, si negano diritti, moduli e accettazione di documenti. Una vera guerra, che proviamo a fotografare al 2 ottobre del 2016, grazie a un resoconto delle segnalazioni ricevute dalla Rete Commissioni Mensa Nazionale, ad oggi l’unico ampio centro informativo auto-gestito di genitori sulla questione.
MILANO: terrore in mensa
Occhi puntati sulla città: fra i componenti delle Commissioni Mensa che seguono da anni le vicende del mangiare a scuola, è noto che la compartecipata Milano Ristorazione (MiRi), viene accusata di essere capofila nel maltrattamento dell’utenza e nella repressione delle contestazioni. Due milioni di utili, roventi polemiche ad ogni nuova elezione dei rappresentanti cittadini dei commissari mensa (gli unici che possono entrare nelle scuole, assaggiare e riferire): la saga di MiRi pare sia entrata perfino in un romanzo di Silvia Ballestra, con la descrizione delle riunioni serali (con cammeo della Moratti) fra le madri e il ghigno dell’amministratore delegato, ai tempi della cotica coi peli maiale nelle lasagne. Di Milano, non a caso, è l’unico caso extra torinese raccontato dai giornali: la ormai famosa bambina isolata in classe e trovata piangente dal papà Commissario Mensa. Tutta la città segue in silenzio la vicenda: il dato enorme, e volutamente celato, è che il 30 per cento delle famiglie milanesi quest’anno non si è ancora iscritto al servizio ristorazione: tutti stanno a guardare cosa succede ai primi pochissimi temerari (non è una sola, abbiamo contattato almeno 5 casi: tre famiglie). Di questi, una ha capitolato dopo che la figlia è stata costretta in mensa ad assistere, senza cibo, al pasto degli altri. La brava maestra G. ha cercato di tamponare la situazione, improvvisando un pic nic collettivo in classe; ora però rincasa ad ogni mezzogiorno. Un’altra classe resiste, con due bambini che mangiano isolati in un angolo del refettorio, e gli altri compagni delle elementari che chiedono: ma perchè? Ed ecco il copione integrale dell’unico caso noto al pubblico, la bambina che piangeva: il primo giorno è passato inosservato, il secondo ha mangiato da sola con una bidella, al terzo si è presentato l’intero stato maggiore di MiRi; la dirigente in persona ha accompagnato al refettorio l’alunna dicendo “non me me vado finchè non mi mostrate su quali documenti è scritto che questa bambina non può mangiare qui”. MiRi risponde con minacce di sanzioni disciplinari, raccontano le mamme: operatrici terrorizzate tanto che le maestre avrebbero sottoscritto una lettera in loro difesa. Arriva puntuale un documento del Comune, (con data postuma alla sentenza di giugno) che vieta “cibo esterno nei refettori”. La bambina resiste, in compagnia di una maestra, ogni mezzogiorno, in regime di apartheid, in attesa dell’esito del ricorso d’urgenza richiesto dalla famiglia alla magistratura.
VENEZIA: la scelta di Sophie.
La compartecipata (AMES S.p.A.) gestisce un servizio mensa al centro di pluriennali proteste dei genitori; Venezia è fra le ultime città in classifica nel Rating dei Menu Scolastici della Rete Commissioni Mensa Nazionale, probabilmente la prima in Italia in quanto a “disdette giornaliere”, una forma di protesta molto usata in laguna. Venezia fa registrare i due casi più odiosi: la compartecipata nega ai bambini obiettori l’acqua da bere perchè le caraffe sono sue e il servizio di riempirle e metterle a tavola sarebbe a suo carico. Il comitato genitori, fremendo per la bassezza, compra di tasca propria nuove caraffe l’indomani mattina all’alba. Ma la dirigente tira dritto: e accetta addirittura a mezzogiorno i pasti portati da casa ancora caldi. In un altro istituto, a una bambina obiettrice in refettorio viene intimato davanti ai compagni che contemplano i due piatti che le vengono proposti (piatto/mensa e piatto/mamma): “SCEGLI!”. Per la cronaca, la bambina ha scelto il pasto da casa, ma da allora non se ne sa più nulla. Venezia resta comunque, dopo Torino, la città con più istituti che hanno aperto i refettori: attualmente quattro. I bambini guardano con curiosità i pasti da casa, molti chiedono ai genitori di averlo anche loro, i 20 obiettori dei primi giorni sono quasi raddoppiati in una settimana. E il primo ottobre arriva la notizia che il Comune di Venezia ha dato indicazioni per liberalizzare il pasto in tutte le scuole.
GENOVA: I bambini, se paganti, sono tutti uguali.
La notizia della validità universale della sentenza è data a settembre dalla Rete CM Genova ai genitori ignari, dopo i primi ricorsi vinti in Piemonte; Sindaco ed Assessore subito dichiarano ai giornali il pieno rispetto della sentenza. Da allora inizia la controinformazione agli sportelli delle segreterie scolastiche (“la sentenza non è valida a Genova, non abbiamo i moduli per il recesso, non è possibile mangiare in mensa, si attendono disposizioni ASL…” ) ed in sincronia, la moral dissuasion degli indipendentissimi Consigli di Istituto/Comitati Genitori che stigmatizzano il panino che “lede il sacro diritto dei bambini ad avere tutti lo stesso trattamento” (ovviamente in seguito all’apartheid degli obiettori taceranno); ci sono maestre che in classe stigmatizzano le scelte delle famiglie obiettrici, in classe. I dirigenti oppongono due righe (e si inventano pure il concetto di “sentenza territoriale”, ovvero al di fuori del loro sceriffato) di una nota di tre appalti precedenti, riguardante l’accordo commerciale con le ditte per l’uso dei refettori (di inutile utilizzo giurisprudenziale). I genitori sono però interessatissimi, e nel caos inizia il lento dietro front del Comune: come a Torino, si posticipa il pasto da casa a “novembre, forse” però intanto le disdette vanno date al 30 settembre! In queste impossibili condizioni vi sono comunque decine di genitori che dis-iscrivono i figli, ed ad ogni mezzogiorno gruppetti di bambini escono a mangiare con un adulto a rotazione, e poi vengono riaccompagnati. In pochi osano reclamare il diritto di mangiare a scuola, rivelando che il re è nudo: i dirigenti strepitano, ma non possono scacciare i bambini da scuola (in un caso sarebbe successo, per due ore, passate in giardino), non possono forzarli al refettorio…non resta che temporeggiare, fare stalking ai genitori, o minacciare il ricorso al tribunale dei minori (nei fatti è poi stata una famiglia, esasperata, a ricorrere ai carabinieri ). I bambini restano così a scuola, ma isolati in classe. Un altro dirigente, al cospetto di una madre informata ed agguerrita, ammette a tu per tu che si tratta di pura guerra economica, che la partita ormai è persa, che nessuna ASL potrà vietare il pasto misto, e che la scuola sta cercando solo di prendere tempo. Una terza dirigente scatena l’ilarità liberatoria dei genitori dichiarando a Rai3 che il pasto da casa può portare “infezioni ed epidemie”. Il 3 ottobre partirà una steffetta cittadina, per sollevare i più piccoli dal peso dell’attacco istituzionale. Nel frattempo si sta per aprire una nuova Rete, dedicata ai diritti nella scuola.
TORINO: Nessun piccolo isolato, attaccare gli adulti.
Anche a Torino per mesi ha circolato la bufala del diritto “limitato ai primi 58 genitori”; la giunta Appendino si è rivelata a sorpresa (altrove, specialmene in Lombardia, il M5S ha appoggiato il pasto da casa) la peggior nemica dei genitori obiettori. Identica strategia di Genova: scoraggiare (disdette entro il 5 settembre, ancora in vacanza), prendere tempo e dividere il gruppo genitori fra determinati e indecisi (che si sono lasciati convincere ad “aspettare il 3 ottobre”). Prevedibilmente, alla attesissima riunone di fine settembre, in una scuola elementare al posto dell’agognato “regolamento ASL” i genitori ricevono minacce nei loro confronti: “A causa loro”, spara la dirigente, “verrà chiuso il servizio mensa ed abolito il tempo pieno nella scuola, e i loro nomi verranno segnalati al Comune”. C’è chi ride e chi si spaventa. La situazione torinese è comunque meno difficile che in altre città, a macchia di leopardo vi sono istituti con molti genitori obiettori (pochissimi con un solo piccolo da attaccare da parte del branco), una ventina ha già liberalizzato ufficialmente; da una scuola riferiscono che lunedi 3 in almeno 120 andranno col baracchino “vietato”. Emblematico il caso di un grande plesso scolastico diviso da un viale: ha mensa libera nelle scuole su un lato (con genitori più agguerriti ed informati) ma non sull’altro lato del viale.
Nessun bambino è stato intimidito, i numeri ci sono e anzi sono anche troppi, tanto che in una scuola si è giocato, al posto dell’apartheid, al metrò nell’ora di punta: quattro tavolini per trentatre obiettori.
PISTOIA: la mensa è aperta.
A Pistoia i genitori hanno spinto per un progetto partito molto prima del caso di Torino, ed hanno tranquillamente refettori aperti a pasti esterni. Per loro la sentenza non comporta nessuna novità; nessun veto ASL in vista.
BOLOGNA: la Rete dei genitori più forte
Una delle città dove si mangia meglio (l’ha rilevato il Rating), tutto biologico, stagionale locale prezzo medio, fortissima rete cittadina di genitori attiva da cinque anni, moltissimi i controlli, hanno partecipato alla stesura dei capitolati e chiesto restitutuzione degli utili alla ditta appaltatrice per mancate migliorie eseguite. Genitori informati e, ad oggi, nessuna richiesta di dis iscrizione.
JESI: la sentenza qui non vale
La sentenza a Jesi non si applica: l’ha spiegato un solerte impiegato del Comune a un genitore che cercava informazioni: “vale solo al Nord ma comunque è stato fatto per un solo genitore, perchè non aveva i soldi per pagare la retta”.
Benevento: la mensa? Magari
Nessun genitore chiede di uscire dal servizio mensa, perchè la mensa non c’è. Anzi, i genitori la vorrebbero…
Napoli: praticamente non esistono le Commissioni Mensa, non c’è alcun modo di raccogliere informazioni/disinformazioni sul pasto da casa.
Resto d’Italia: non pervenuto
Da molte città del nord giungono richieste di informazioni, i genitori sono all’oscuro delle procedure, in molte città nessuno ha osato chiedere il pasto da casa, anche se lo vorrebbero.
Sud e isole: assenza totale di informazioni e di coordinamento.
Alessandro Labanti dice
Complimenti Sabrina, esaustivo e molto illuminante, grazie