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Pisa vuole ridurre il numero dei rom

Francesco Biagi
21 Dicembre 2014

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“Se voi però avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri”

Lorenzo Milani

di Francesco Biagi

Pisa continua a vivere una delle peggiori pagine di razzismo e xenofobia. Lo denunciano con una conferenza stampa pochi giorni fa le associazioni Africa Insieme, Progetto Rebeldìa, OsservAzione e il Comitato per i diritti dei bambini e delle bambine della Bigattiera: “Le associazioni chiedono che la Prefettura, rappresentante dello Stato sul territorio, si faccia garante della legge per tutta la cittadinanza non è mera questione di linguaggio, è questione di fatti. Non si possono negare diritti su base etnica; né lo può fare lo Stato né tanto meno l’assessora Capuzzi e l’amministrazione di questa città. Questa è discriminazione ed è illegale, tanto per rimanere sul piano della legalità, quello tanto invocato nelle dichiarazioni dell’assessora e del viceprefetto”.

A quanto risulta dai resoconti riportati sulla stampa locale, l’11 dicembre 2014 si è tenuta una conferenza stampa congiunta Comune di Pisa-Prefettura di Pisa, convocata per comunicare alla cittadinanza alcune iniziative assunte dai due enti in materia di insediamenti abitativi informali sul territorio comunale. Gli esiti di questa conferenza sono comparsi sia sul quotidiano Il Tirreno (Giovanni Parlato e Rebecca Pardi, I nomadi sul territorio sono 860, resterà soltanto chi è in regola, 12 dicembre 2014, cronaca di Pisa, pag. V) sia sul giornale La Nazione (Eleonora Mancini, Ultimatum per i rom, «gli illegali vadano via», 12 dicembre 2014, cronaca di Pisa, pag. 4). Tuttavia, per essere più precisi, il quotidiano La Nazione ha riportato tra virgolette le seguenti affermazioni dell’assessore alle Politiche sociali (quota Pd) del Comune di Pisa, Sandra Capuzzi: «Il nostro obiettivo è ridurre il numero di rom sul territorio: da 800 a 400. Non è un numero chiuso, ma un numero sostenibile. Le risorse non bastano per tutti e devono essere dedicate a chi se lo merita sotto il profilo della legalità». Dal canto suo Il Tirreno riporta la stessa dichiarazione, sempre tra virgolette, con alcune varianti lessicali: «I nomadi censiti sono 860 e il nostro obiettivo è arrivare alla metà. Non si tratta di un numero chiuso, ma di perseguire una via sostenibile e nel rispetto della legalità che deve valere per chiunque».

20141218_romconferenza_webDichiarazioni gravissime da parte di un assessore, poiché in Italia la normativa in materia di soggiorno e di residenza (decreto legislativo 286/1998 e successive modifiche per i cittadini stranieri; decreto legislativo 30/2007 e successive modifiche per i cittadini comunitari; legge 1228/1954 e dpr 223/1989 in materia di residenza; art. 43 Codice Civile) non prevede la possibilità di introdurre limitazioni al numero di residenti in un determinato territorio comunale. Le restrizioni al soggiorno dei cittadini stranieri (ad esempio quelle previste all’art. 3, quarto comma, del decreto legislativo 286/98) sono comunque fissate dallo Stato centrale, cui è riservata in via esclusiva l’intera materia del soggiorno e della residenza (Costituzione della Repubblica Italiana, art. 117, seconda comma, lettere b e i). Non è, quindi, facoltà dei Comuni introdurre quote massime, né limiti numerici di «sostenibilità», alla residenza e alla presenza di cittadini, siano essi stranieri, italiani o comunitari.

È per questo che l’associazionismo antirazzista di Pisa ha illustrato, in una conferenza stampa tenutasi giovedì 18 dicembre, l’esposto presso l’Ufficio Nazionale Anti-discriminazioni razziali (Unar), chiedendo spiegazioni in merito alle dichiarazioni del viceprefetto e dell’assessore alle politiche sociali invitandoli alla rettifica.

In ogni caso, eventuali limitazioni al diritto di residenza o al diritto e alla facoltà di soggiorno non possono essere disposte su base etnica. Questo il Partito democratico pisano (e il suo alleato di ferro Sel) dovrebbero ricordarlo attentamente, senza lasciarsi prendere da rigurgiti sicuritari propri delle peggiori amministrazioni leghiste nel nord Italia. In altre parole, mentre è possibile – per lo Stato centrale, non per le amministrazioni comunali – contingentare o limitare gli ingressi e i soggiorni dei cittadini stranieri, non è consentito introdurre le medesime disposizioni restrittive per specifiche categorie individuate su base etnica. Non è quindi legittimo disporre «numeri massimi», né parlare di «sostenibilità», con riferimento agli aspetti quantitativi della presenza di rom e sinti.

Ciò violerebbe il principio di ragionevolezza che sempre deve ispirare le politiche in materia di immigrazione (Corte Costituzionale della Repubblica Italiana, sentenza n. 62, 1994), e costituirebbe una evidente discriminazione su base etnico-razziale, vietata tanto dalle norme interne (Costituzione della Repubblica Italiana, art. 3; decreto legislativo 286/98 e successive modifiche, art. 43), quanto da quelle comunitarie e internazionali (cfr. inter alia, Direttiva 2000/43/CE del Consiglio Europeo che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica; Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 21 dicembre 1965, ratificata dall’Italia con legge n. 654 del 13 ottobre 1975).

rom

Forse il partito di Renzi dovrebbe fare meno selfie e studiare di più la legislazione in materia di diritti umani e minoranze etniche. Forse il partito di Vendola (e Fratoianni) dovrebbe interrogarsi sul futuro della sinistra non solo in convegni e kermesse autoreferenziali dove tutti si improvvisano analisti di una fase che non comprendono, ma a partire dalle pratiche di governo che mettono in campo le alleanze di centrosinistra in Italia. Un’autentica riflessione oggi andrebbe sviluppata sulla microfisica del potere che il centrosinistra mette in campo, facendo – molto spesso – peggio della destra. Dobbiamo osare di dire che questi partiti non comprendono la fase e – soprattutto – non comprendono più cosa significa essere oggi – in Italia – di sinistra, o meglio, cosa significa amministrare un Comune superando l’odio razziale che la morsa della crisi cova nella popolazione. La presenza, quindi, di diverse forme di marginalità e devianza viene percepita come un problema per la vivibilità dello spazio urbano subendo soluzioni emergenziali di tipo punitivo.

Invece centrodestra e centrosinistra continuano nelle tecnologie di potere che il sociologo francese Loic Wacquant ha definito nel passaggio fra il restringimento delle politiche di sostegno al welfare a quelle di criminalizzazione e penalizzazione dell’indigenza e della marginalità. La realtà che è concessa loro di vivere è una situazione liminare e precaria nell’involuzione dello stato sociale allo stato penale. Un’amministrazione di centrosinistra può continuare con questo passo?

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