Mettersi nei panni dell’altro è facile quando sono stirati e profumati, dice Agnese, volontaria del servizio civile. Il suo sguardo – delicato, non scontato e privo di giudizi – a proposito della vita di ogni giorno dei cosiddetti senza tetto andrebbe ricordato quando parliamo del bisogno di una nuova cultura politica

Da volontaria del servizio civile, nell’ultimo mese, ho avuto modo di mettere in moto qualche neurone e osservare l’esterno e l’interno di me, e riflettere. Mi permetto di parlare con brutale onestà poiché non vi è alcuna traccia di giudizio nelle mie parole, solo un flusso di coscienza nero su bianco.
A Casa Santa Giacinta, centro di accoglienza per senza tetto della Caritas di Roma, convivono un centinaio di persone, ognuna con le proprie abitudini, la propria età, le proprie disabilità fisiche e/o mentali e la propria condizione di disagio. È normale quindi imbattersi in cose sporche, corpi che non si vedono su instagram, fluidi corporei, odori.
È un posto in cui il signor S. è letteralmente fuggito dalla struttura di fronte alla proposta di farsi una doccia; un posto nel quale un’operatrice ha cominciato a parlare siciliano, sentendo tutto il potere di un boss mafioso, per essere riuscita a convincere un ospite a consegnare i panni sporchi da lavare; un posto in cui D. profuma di buono e tutti si guardano sbalorditi quando passa e commentano ammirati il suo buon odore, come se fosse un animale raro.
Per una persona con una soglia del disgusto non troppo sviluppata e il conato sempre in agguato, non sembra l’ambiente ideale in cui trascorrere le proprie giornate. Eppure sono qui da quattro mesi e sto così bene.
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Il disgusto è un’emozione primaria, al pari della gioia e della rabbia, un’emozione universale, comune alle diverse “culture” e ai diversi popoli. Il disgusto è così umano e come tutte le emozioni è funzionale al benessere e alla sopravvivenza. Il disgusto, per quanto demonizzato, è diverso dal disprezzo: non sottende nessuna valutazione negativa e nessun parere sull’oggetto. È l’emozione che ci permette di porre i nostri limiti, i nostri confini, ma che rischia di diventare limitante e rappresentare una barriera tra noi e le cose della vita, ostacolando l’esplorazione.
Da qui nascono altre riflessioni e molte domande.
Uno. Mettersi nei panni dell’altro è facile quando sono stirati e profumati, diverso è quando non vengono portati in lavanderia da settimane e appartengono a qualcuno che non fa una doccia da altrettanto tempo.
Due. Cosa accadrebbe se, in giro per le sue scorribande, il signor S., il fuggitivo, avesse bisogno di aiuto e si avvicinasse a qualcuno con una soglia del disgusto bassa? Questa persona sarebbe in grado di aiutarlo? Sarebbe in grado di andare oltre i propri limiti fisici ed emotivi del proprio disgusto per dargli una mano? Lo alzerebbe da terra? Gli presterebbe il proprio cellulare per chiamare qualcuno? E al di là delle situazioni di emergenza, semplicemente la qualità dei contatti sociali, delle relazioni significative di S. ne risente? Risente del suo non essere attento alla propria igiene? E perché lui non sembra interessarsene? Oppure ne è consapevole e questo è il suo modo per tenere distante l’altro volutamente? A chi spetta questo tipo di educazione all’igiene? E ancora: la responsabilità di non trovare piacevole uno scambio amicale con una persona che ha un cattivo odore è di chi prova disgusto o di chi non ha cura della propria igiene? Quanto sarebbe diversa la sua vita se fosse più pulito? E quanto sarebbe più pulito se la sua vita fosse stata diversa?
Tre. Forse il disgusto si può allenare, educare, regolare. Da quando presto servizio ho lavorato su questo mio aspetto, consciamente e inconsciamente, e ho innalzato la mia soglia del disgusto. Non provo più imbarazzo di fronte a corpi fuori dai canoni giovani e tonici che siamo abituati a vedere esposti, non mi imbarazzano più di tanto le funzioni corporee, sono più a mio agio con la fisicità, con i diversi odori… e questa è una nuova scoperta per me, una caratteristica che ora sento parte di me (ed è una parte di me che adoro, di cui mi faccio vanto). Questo nuovo agio, questa nuova confidenza, mi fa sentire più forte, pratica, meno patinata, più sporca, sudata, spettinata, più vera, più risoluta, soprattutto più capace di essere in contatto con la vita e con la realtà.
Quattro. Forse dovremmo uscire più spesso dalla nostra zona di comfort, entrare in contatto con lo sporco che c’è dentro e fuori, superare i limiti del disgusto, immergervi nell’umanità, cercando di uscirne, insieme all’altro, più puliti entrambi.
SUL PAVIMENTO……………………di
SUL PAVIMENTO….ACCANTO ALL’INGRESSO D’UN NOTO BANCO PEGNI
VINTI E VICINI….. RIPOSANO UNA DONNA ED UN CANE,
L’UNO SULL’ALTRA RIVERSI…….PER COMUNICARSI CALORE…
NON RICHIEDONO PARTICOLARI ATTENZIONI AI DISTRATTI PASSANTI,
NE TENDONO LORO UN QUALUNQUE RECIPIENTE PER L’OBOLO, MA ASSOPITI IN UN CONFORTANTE ABBRACCIO E, SOSTENUTI…
DA RECIPROCO AMORE SOPRAVVIVONO…
RIUSCENDO A NON MORIRE……..