Quando si ragiona di salute bisognerebbe parlare prima di tutto di quanto e cosa respiriamo ogni giorno e del nostro secondo cervello, il microbiota. Quando si ragiona di nutrizione bisognerebbe parlare della relazione tra cibo spazzatura, salute, clima e devastazioni ambientali. Quando si ragiona del Covid bisognerebbe parlare di sindemia e dei danni provocati dagli allevamenti intensivi. Quando si ragiona di vita, infine, non bisognerebbe mai dimenticare che sono i piccoli contadini a far mangiare il mondo e che sono loro gli unici in grado di raffreddare il pianeta. “Tutto è ormai connesso, dentro e fuori di noi”, dice Antonio Lupo, medico
Spesso le diete sono “schematiche” e non si capiscono i meccanismi biologici che le guidano. Io sono molto grato alla dottoressa Linda Sacchetti, biologa nutrizionista, per avermi indicato un percorso per riaggiustare la mia alimentazione. Pur essendo medico, alcuni meccanismi non li conoscevo, ad esempio il carico glicemico e la risposta insulinica.
Quest’anno compio cinquant’anni di laurea. Ho lavorato molti anni all’Ospedale Niguarda di Milano come medico internista ed ematologo; ho partecipato alle lotte ospedaliere negli anni Settanta che hanno contribuito alla legge 833, la Riforma Sanitaria del 1978, che ha migliorato il livello degli ospedali e soprattutto ha riunificato sanità, prevenzione e riabilitazione. In seguito molto si è deteriorato. Svolgendo attività politica ho avuto la fortuna di incontrare e conoscere la psichiatria democratica (legge Basaglia) e la medicina del lavoro.
Oggi, a causa del Covid, si parla molto di medicina del territorio, perché è del tutto insufficiente. Nel 1985 ho aperto il primo distretto sociosanitario a Milano, inviato nel territorio dal mio ospedale, e negli ultimi quattro anni di attività ho fatto il medico di famiglia, proprio per approfondire la conoscenza di tutto il percorso delle persone malate, spesso una strada ad ostacoli per il cittadino.
Un’altra esperienza che mi ha particolarmente arricchito, è stato fare il medico volontario al Naga di Milano, un grande ambulatorio per migranti senza permesso soggiorno (uno analogo è a Genova Città Aperta), una realtà in cui ho capito quanto e come la salute sia anche un fattore culturale, quanto influiscono le tradizioni, e non sia solo una questione “tecnica”.
Di enorme importanza per la mia formazione, sono stati infine i lunghi periodi passati America Latina, soprattutto in Brasile, negli ultimi quindici anni, a contatto con le sue enormi e tremende favelas (un’eredità del colonialismo, che espelle i contadini dalla terra e li concentra nelle favelas delle megalopoli) e soprattutto conoscere la vita e il lavoro dei contadini Sem Terra, i senza terra: il loro desiderio è continuare a vivere e lavorare in campagna, praticando una agricoltura naturale, l’agroecologia, per produrre un cibo sano e naturale, che non abbia l’impatto tremendo della agricoltura industriale, l’agrobusiness, con le sue monoculture di mais e soia. Con i contadini ho dovuto alfabetizzarmi nella biologia, che è la scienza della vita, di cui alla facoltà di Medicina mi avevano insegnato molto poco, perché la sua tendenza è di andare subito alla “cura”, allo schema terapeutico.
Il nostro secondo cervello
In questi ultimi venti anni ho imparato principalmente due cose.
La prima: non siamo autosufficienti. Né gli uomini né gli animali lo sono. Siamo quasi dei “parassiti” dei vegetali. Solo i vegetali creano vita: con la fotosintesi clorofilliana producono l’essenziale, l’ossigeno e l’acqua, metabolizzando l’anidride carbonica. Le foreste di terra e di mare, cioè il fitoplancton, sono autosufficienti. Noi viviamo perché ci nutriamo di ambiente. Ci nutriamo di ossigeno, respiriamo 16-20 volte ogni minuto, 25 mila volte al giorno. Non c’è nient’altro di così “intimo” come il respirare. La qualità dell’aria dovrebbe essere la prima cosa da tenere in considerazione, parlando di salute. E poi ci nutriamo di cibo, 3-4 volte al giorno. Anche se può sembrare una banalità, è fondamentale parlare di queste cose, perché rappresentano la nostra quotidianità. Confrontarci con le cause di possibili e probabili emergenze e anche catastrofi è importante, ma soltanto cambiando la nostra quotidianità, potremo effettivamente arrivare a un miglioramento significativo del nostro modo di vivere. Dobbiamo ragionare molto su questo e coinvolgere nel ragionamento altre persone, soprattutto i giovani.
La seconda: non siamo sterili, la sterilità è morte. Per utilizzare il cibo siamo in simbiosi con cento trilioni di microbi, virus e batteri, che costituiscono il microbiota, per la maggior parte intestinale, di cui si parla già da qualche anno. Conoscere alcuni numeri è importante. Per esempio è impressionante sapere che il microbiota intestinale pesa circa 1,5 Kg, quasi come il nostro cervello. E dobbiamo cercare di mantenerlo in buona salute, nel suo equilibrio molto complesso, perché è in relazione con il nostro secondo cervello, il sistema nervoso enterico, una rete di circa cinquecento milioni di neuroni che governa l’apparato digerente, connesso a sua volta col cervello intracranico. I media continuano a “contrabbandarci” un concetto di “vita sterile” che non va affatto bene! Vi invito a vedere un video:
È l’intervento di un biologo, il Dr. Duccio Cavalieri, al Festival della Comunicazione di Camogli nel settembre 2020. Il titolo era Social da sempre, ovvero di come siamo diventati umani e come i microorganismi si sono inseriti nella nostra socialità. Una “socialità” che inizia a svilupparsi alla nascita, uscendo dalla madre, con il parto naturale. Per questo è stata criminale la tendenza, in passato, a fare innumerevoli e inutili parti cesarei, soprattutto nelle strutture private. I dati ci dicono che l’Italia era il paese con la più alta percentuale di parti cesarei. Praticare un parto cesareo vuol dire impedire al neonato di avere il suo primo processo di immunizzazione, che poi evolve nei continui contatti con l’ambiente, così come evolvono i nostri geni: noi non moriamo con gli stessi geni alla nascita, essi si modificano nella crescita e nel contatto con l’ambiente. La scienza che studia questi cambiamenti è l’Epigenetica. La vita è un divenire, un disequilibrio e un riequilibrio continuo.
Duccio Cavalieri, con altri colleghi dell’Università di Firenze, ha pubblicato uno studio L’Impatto della dieta nel plasmare il microbiota intestinale, dal quale emerge che il microbiota dei bambini dell’Africa rurale in Burkina Faso è migliore e più ricco di quello dei bambini dei paesi europei. Questo ci deve far riflettere. Chi mangia più fibre e meno prodotti lavorati, ha un microbiota più sano. Ora si parla addirittura di trapianti fecali per migliorare il microbiota di chi ha gravi malattie intestinali disbiotiche.
Quando ci baciamo con passione, ci scambiamo otto milioni di batteri. Ed è uno scambio salutare!
Una breve riflessione sugli antibiotici: la penicillina è stata scoperta negli anni Trenta ed è entrata nell’uso clinico nel 2° dopoguerra, risolvendo certamente problemi gravi, ma non è stata la più importante e unica rivoluzione medica, come si crede generalmente. Dallo schema ricostruito dal libro di Gian Antonio Stella L’Orda. Quando gli Albanesi eravamo noi (ed. Super Pocket, pagina 289) su “Età media della morte in Italia dal 1861-1955”, rileviamo che dal 1920 (dopo la terribile epidemia di influenza spagnola del 1918-19, in cui sono morte da 50 a 100 milioni di persone su una popolazione di circa 1,8 miliardi) al 1950, c’è stato un aumento della vita media da 30 a 58 anni, cioè un aumento di 28 anni. Un progresso enorme, dovuto ai miglioramenti della alimentazione e igienico-sociali (costruzione di acquedotti comunali, disponibilità di acqua potabile e servizi igienici), ben prima della penicillina.
Il tempo del cibo spazzatura
Un altro argomento che merita attenzioni è il cibo spazzatura o junk food, un termine usato poco in Italia, coniato per la prima volta nel 1951 da Michael Johann Jacobson per indicare quel cibo considerato malsano a causa del suo bassissimo valore nutrizionale e all’elevato contenuto di grassi o zuccheri.
La dottoressa Corsi li ha descritti benissimo nell’ottima lezione svolta qui a Futura sull’alimentazione: sono i bottiglioni da due litri di bevande gasate zuccherate, gli snack, le merendine, le patatine fritte ecc.. È un termine, che si può prestare ad equivoci. Il cibo spazzatura non è cibo sporco, contaminato. Anzi, sono cibi studiati per avere un buon sapore, ma sono spazzatura per il nostro corpo, che non riesce a metabolizzarli, danno obesità e devastano la flora intestinale. Tutti i supermarket espongono questi prodotti vicino alle casse, in basso e alla portata dei bambini, in modo che essi li vedano, li afferrino e li pretendano. Questi meccanismi di marketing sono studiati, fanno parte del commercio e del guadagno a dispetto della salute, fanno parte dell’industria della malattia, ormai del tutto integrata nel calcolo del Prodotto Interno Lordo.
Il cibo industriale e la crisi climatica attuale
La produzione di cibo industriale, spesso tossico per l’uomo, ha distrutto gran parte dell’ambiente, contribuendo alla crisi climatica, cioè al surriscaldamento globale in atto. L’agricoltura intensiva industriale (l’agrobusiness) si configura nelle immense monoculture, che non praticano la rotazione delle coltivazioni e usano intensivamente pesticidi, fertilizzanti e acqua. Esse distruggono la fertilità della Terra, cioè l’humus, quella variabile decina di centimetri di suolo superficiale, che contiene microrganismi, provocando così la desertificazione della terra e il rilascio dell’anidride carbonica contenuto in essa (che è circa due volte quella presente in atmosfera).
Le monoculture provocano una desertificazione del suolo in tempi brevi, ma per rifertilizzare un terreno, cioè restituirgli la vita, ci vogliono mille anni.
L’humus e il nostro microbiota hanno lo stesso significato, sono la vita. Conoscere queste cose, la biologia, cioè la scienza della vita, è indispensabile per lottare per la vita.
I pesticidi e loro tossicità
I pesticidi sono usati in enormi quantità dall’agricoltura industriale, ma anche, purtroppo, da molti piccoli agricoltori. Come denuncia da anni anche Legambiente, nel suo Dossier annuale sui Pesticidi in Italia, quando si valutano i cibi industriali, ai fini di autorizzarne la vendita, si misura la concentrazione e la tossicità del singolo pesticida, ma non gli effetti tossici sinergici di tutti i residui di vari pesticidi presenti nello stesso campione di cibo (a volte anche più di dieci). La tossicità dei pesticidi (in Italia chiamati fitosanitari, nel mondo contadino anche agrotossici) è riconosciuta da innumerevoli studi scientifici e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Gli effetti tossici sono numerosi e su molti organi, in molti sanno ad esempio che parecchi di essi sono cancerogeni, ma credo molti di meno sappiano che alcuni di essi sono “interferenti endocrini”, cioè influenzano il sistema endocrino, un sistema che funziona in stretta correlazione con il nostro cervello, così come il microbiota.
Export UE di pesticidi proibiti in UE. Fonte Greenpeace
Il mercato mondiale dei pesticidi è dominato da cinque società: Bayer, BASF, Syngenta, FMC e Corteva (ex Dow e DuPont). Tre di queste sono europee: la Syngenta è svizzera, ma da cinque anni è di proprietà cinese, la Bayer e Basf sono tedesche. La figura dimostra la vergogna dell’Europa che esporta e vende in tutto il mondo pesticidi proibiti in UE, ma dobbiamo capire che questi pesticidi sono usati nelle monoculture di prodotti (es. foraggi, carne) che poi tornano in Europa per il consumo e per i nostri allevamenti. Quindi anche noi ce li mangiamo, tranquillamente e nella nostra ignoranza.
Tra i pesticidi più diffusi e conosciuti, presente anche nelle acque superficiali e profonde italiane, è il glifosato, un erbicida cancerogeno per lo IARC, associato ai semi transgenici Ogm della americana Monsanto, una multinazionale comprata nel 2016 dalla Bayer. Ricordiamoci e raccontiamo che Bayer non è solo Aspirina: il Zyklon B, il famigerato acido cianidrico con cui i nazisti ammazzavano gli ebrei nelle camere a gas, era un pesticida prodotto dalla Farben, oggi meglio nota come Bayer. Scaduto il brevetto nel 2001, il glifosato è stato autorizzato e prorogato a novembre 2017 per altri cinque anni in UE, con il voto favorevole e determinante della Germania, condizionata dalla Bayer-Monsanto, mentre Italia e Francia hanno votato contro.
La Syngenta di ChemChina esporta ancora nel mondo l’Atrazina, un erbicida interferente endocrino e probabile cancerogeno, proibito in Italia dal 1992, ma secondo l’ultimo rapporto Ispra ancora presente nelle falde profonde di acqua, in particolare nel bacino del Po.
Noi importiamo e mangiamo cibi contaminati da residui di pesticidi proibiti in Ue, ma non lo possiamo sapere, anche se le leggiamo con attenzione le etichette, che contengono solo la parte terminale della filiera: ad esempio dei prodotti di origine animale non si dice cosa ha mangiato l’animale, questo lo impedisce la legislazione Ue.
Anche sulle confezioni di pasta la Ue permette che si indichi come paese di origine del grano la formula “UE e non UE”; questa è una presa in giro che ci impedisce di sapere dove è stato coltivato e, per esempio, se proviene dal Canada (paese dal quale importiamo grande quantità di grano), dove viene addirittura essiccato, quando è maturo, col glifosato, perché le basse temperature ambientali impediscono una essiccazione naturale.
Metà di quello che mangiamo in Italia è importato, il 60% di grano tenero, il 35% di grano duro, il 55% di latte, il 60% di pesce, il 25% di carne. Lo stesso vale per gli allevamenti di animali, che in Italia utilizzano il 50% di mais proveniente dall’estero e il 95% di soia, tutta Ogm. Gran parte di questa soia Ogm arriva dal Brasile, dove oggi, insieme al glifosato, sono obbligati ad aggiungere altri pesticidi, come il 2,4-D e il Dicamba (irrorati con grandi areoplani), perché si è creata una resistenza al glifosato. Una irrorazione di questo tipo impedisce ovviamente qualsiasi tipo di pretesa di cibo biologico. La natura reagisce, qui e in tutto il mondo, creando resistenze e mutazioni. Tutto questo sta avvenendo, mentre si è dimostrata ormai chiaramente una menzogna tutta la propaganda sulla maggior produttività delle colture transgeniche.
Uso di fertilizzanti azotati
Dal momento che il terreno é diventato meno fertile, l’uso di fertilizzanti azotati è ritenuto da molti necessario. Essi vengono poi dilavati dal terreno e arrivano nelle acque dei fiumi e poi del mare, provocando un effetto devastante, l’eutrofizzazione, cioè la prevalenza di vegetali su animali (pesci in primis) nelle acque dei fiumi e mare.
Emissioni gas serra e cibo
Il negazionismo sui gas serra non è più di moda, specie dopo la sconfitta di Trump, ma vari sono i modi di calcolare i settori responsabili delle emissioni di gas serra (GHG, Greenhouse Gases). Il metodo prevalente parla genericamente di trasporti, senza considerare quale merce si trasporta.
Vale la pena ragionare sul contributo dell’agrobusiness alle emissioni totali di gas Serra. Ci aiutano i dati elaborati da Grain, un’organizzazione scientifica internazionale non profit, che lavora a supporto dei piccoli contadini e per la difesa della biodiversità (dati contenuti a pag, 20 nel Dossier Trade and Environment Review 2013 di Unctad, Conferenza delle Nazioni Unite su Commercio e Ambiente). Questa ricerca, che ha valutato i GHG emessi da ogni settore della produzione di cibo, ha concluso che il cibo è responsabile del 43-56% di gas serra: la produzione agricola l’11-15%, il cambio di uso della Terra e la deforestazione a uso agricolo e allevamento il 15-18%, la lavorazione, il trasporto, il confezionamento e la vendita al dettaglio il 15-20%, i rifiuti il 2-4%.
Nel 2014 un rapporto della Fao calcolava che nove su dieci delle 570 milioni di aziende agricole nel mondo erano aziende a conduzione familiare e producevano approssimativamente l’80 per cento del cibo mondiale. In base a questi dati a COP 21, la Conferenza sul Clima di Parigi del 2015, Via Campesina, un movimento di mondiale duecento milioni di piccoli contadini si è presentata con lo slogan “I piccoli contadini possono far mangiare tutta l’umanità e raffreddare il pianeta”, considerando che le coltivazioni non intensive non distruggono la fertilità del suolo liberando gas serra, ma anzi possono riassorbire l’anidride carbonica presente nell’atmosfera. I piccoli contadini, con le loro famiglie, continuano a diminuire, ma sono ancora circa tre miliardi, solo in India sono 650 milioni e stanno lottando da mesi nelle strade per sopravvivere di fronte alla decisione del governo di eliminare i sussidi, non controllare e liberalizzare i prezzi agricoli.
Questi dati di Grain su cibo ed emissioni di gas serra, non sono stati considerati alla COP 21, dove si è ragionato in base a classificazioni generiche, considerando ad esempio la voce trasporti come responsabile del 23% di emissioni gas serra, senza analizzare i vari settori del trasporto e quindi la per centuale determinata dal trasporto mondiale di cibo, di certo una delle componenti maggiori. Insomma, non si è voluto mandare alcun messaggio alla popolazione mondiale sulla necessità di cambiare abitudini sul consumo di cibo, comprare cibo locale e non i pacchetti di prodotti 3×2 provenienti da lontano, aggravando così il riscaldamento globale e la catastrofe ambientale incombente.
Vorrei, infine, fare alcune considerazioni sulla carne e il suo consumo. La carne rossa, quella magra non lavorata, non fa male, contiene proteine nobili, oggi si polemizza se per produrre 1 Kg di carne rossa abbisognano 15 mila o 700 litri di acqua, dati di certo importanti, data la carenza di acqua dolce a livello mondiale, a cui ha contribuito il global warming, che ha accelerato il ciclo dell’acqua. Ma il problema principale non è tanto la tossicità della carne, ma la quantità di consumo a livello mondiale procapite/anno: Usa e Australia 120 Kg, Argentina 100 Kg, Brasile 90 Kg, Europa in media 80 Kg (in Italia nel 1950 ne mangiavamo 16 KG), in Cina circa 60 Kg, in India 10 Kg, come in molti paesi dell’Africa subsahariana. Sono dati fondamentali, ma troppo poco conosciuti.
Per produrre questa quantità di carne è necessario produrre foraggi per gli allevamenti intensivi e quindi immense monoculture intensive e terribili deforestazioni (in Amazzonia e non solo).
Diciamolo chiaramente, il consumo di carne attuale è insostenibile per il pianeta, si diventa ridicoli quando si dice ai cinesi ( il cui consumo è in aumento) mangiatene meno, perché siete tanti….
È giusto ricordare anche la violenza sugli animali, costretti ad ingurgitare quantità enormi di foraggi: ad esempio una vacca, che si costringe a fare 60 litri di latte al giorno, deve mangiare elementi, come mais e soia, contrari alla sua natura di erbivoro. O i polli, imbottiti di antibiotici, che devono arrivare a pesare un chilogrammo e mezzo in poco più di un mese.
Gli allevamenti intensivi
L’attuale pandemia ha fatto capire che gli allevamenti intensivi sono un punto di sintesi di tutti questi problemi.
Uno: i virus si moltiplicano e variano negli allevamenti intensivi.
Due: le deiezioni degli allevamenti intensivi emettono metano e ammoniaca, l’ammoniaca produce polveri fini che inquinano l’aria. L’ipotesi che le polveri fini trasportassero il virus del covid è stata smentita, ma è certo che queste polveri fini producono malattie, infiammazioni dell’apparato respiratorio, che favoriscono l’ingresso del virus e la gravità dell’infezione virale; questo continua a verificarsi in Pianura Padana, un’area dove si respira l’aria peggiore di tutta Europa, seconda solo a Repubblica Ceca e Polonia, dove si usa ancora il carbone per produrre energia). E proprio in queste zone si sono verificate e continuano la maggior parte dei decessi per Covid: per la stragrande maggioranza muoiono, contagiati dal virus, anziani di oltre 75 anziani con già 2-3 malattie croniche, difatti è più corretto parlare di Sindemia e non di Pandemia.
Tre: negli allevamenti intensivi si usano massivamente e a scopo preventivo antibiotici (il 70% totale prodotti a livello mondiale) e questo provoca antibiotico resistenza.
Dobbiamo quindi tenere insieme e denunciare tutti questi tre aspetti.
Quando compriamo degli alimenti dobbiamo ricordarci che il cibo venduto nei supermercati per la maggior parte non è buono; certo hanno anche un settore di cibo biologico, ma la maggior parte è cibo lavorato, con materie prime spesso acquistate con aste al ribasso che strozzano i piccoli contadini e favoriscono il lavoro nero nelle campagne. Dobbiamo ritornare alla vendita diretta, acquistando dai piccoli agricoltori che si ispirano all’agro-ecologia e alla sovranità alimentare, che vuol dire mangiare i prodotti stagionali e coltivati vicino. Come c’è una mobilitazione contro i brevetti sui vaccini, bisogna sconfiggere i brevetti sui semi e permettere lo scambio dei semi. Dover acquistare i semi sotto brevetto significa per un giovane contadino iniziare a lavorare con i debiti.
Cittadini e contadini
Oggi molti giovani vogliono tornare alla Terra, con entusiasmo, ma c’è un grande gap generazionale di esperienza, in Italia oggi i contadini sono solo il 2-3%, mentre negli anni Cinquanta erano il 40%.
È indispensabile fare un’alleanza tra consumatori di città e piccoli contadini, aiutarli a coltivare anche le zone collinari, che hanno una miglior fertilità delle pianure ultrasfruttate, un’alleanza che faccia la pace con la natura, che non è matrigna, e fermi la guerra che l’umanità le fa da molti anni. Fare questa alleanza significa fermare un’urbanizzazione crescente e disperata di milioni di piccoli contadini in tutto il mondo, espulsi dalle grandi multinazionali per ‘accaparrarsi le terre e l’acqua (landgrabbing e watergrabbing), al fine di estrarre minerali e materie prime a basso prezzo.
In India ed Africa i contadini sono oltre il 50% della popolazione; oggi le migrazioni in quei paesi avvengono per la stragrande maggioranza all’interno, milioni di contadini vanno nelle bidonville della propria nazione, ben poca è la migrazione che si dirige verso i paesi ricchi, anche se noi strepitiamo per poche centinaia di migliaia di migranti. Ma se esplodono India e Africa cosa succederà nel mondo? Lo sappiamo bene e ricordiamocelo sempre che tutto è ormai connesso, dentro e fuori di noi.
Intervento all’incontro promosso dall’associazione Futura a Lavagna il 16 Aprile 2021 (dal minuto 1 al minuto 49)
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