“Abbiamo cominciato a considerare il nostro paese come fosse l’ombelico del mondo – dice il sindaco – Noi abbiamo classi elementari con una popolazione di immigrati che raggiunge il 50 per cento in alcuni casi… Non ci è mai venuto in mente di aprire uno sportello per gli stranieri. Abbiamo invece lavorato per formare il personale di tutti gli sportelli e uffici esistenti…”. Da queste parti avrebbero potuto chiudersi, arroccarsi. Hanno scelto invece la strada più complessa, quella dell’apertura e del cambiamento. Accade in Emilia Romagna. Ovviamente non si tratta di Goro e Gorino ma di Novellara
di Marco Boschini*
“Quando il pragmatismo nasconde la mancanza di riflessione, di sogno, di elaborazione della società futura alla quale vogliamo arrivare, allora molto spesso il pragmatismo è un vuoto di pensiero”. A dirlo è un sindaco che come tutti i primi cittadini nella complessa società di oggi sa essere pragmatico al punto e al momento giusti. Ma Raul Daoli, per dieci anni sindaco di Novellara, comune virtuoso in provincia di Reggio Emilia, è l’una e l’altra cosa insieme. Nella sua attività amministrativa ha saputo coniugare l’esigenza quotidiana delle risposte da dare ai cittadini, la contingenza, i problemi reali, con la visione che sa alzare lo sguardo e puntare l’orizzonte, verso il futuro.
Lo incontro a casa sua in una mattina d’estate, poche settimane dopo le elezioni amministrative che lo hanno visto interrompere un percorso durato venticinque anni. Due mandati da assessore, due da sindaco, cinque legislature da consigliere comunale.
Entra in consiglio a diciotto anni, nella primavera del 1989, che il muro di Berlino scricchiolava ma era ancora intatto, e pure il Pci di cui fu rappresentante nelle istituzioni giovanissimo. Il suo era un destino segnato. Il padre era stato un funzionario di partito. Si mangiava politica a ogni ora del giorno, quando gli amici e i compagni dibattevano intorno a una bottiglia di vino e ad un salame distribuito a fette. Raul in fondo era stato arruolato allora, quando da ragazzino faceva il volontario alle feste dell’Unità, con il carriolino pieno di gelati tra tortellini e Berlinguer. Le parole d’ordine erano dialogo e partecipazione: leader nei movimenti studenteschi, Raul approda alla laurea in economia alla Facoltà di Modena, dove insegnava tra gli altri il giuslavorista Marco Biagi (“quando lo uccisero le brigate rosse fu un colpo durissimo anche per me”).
Frequenta corsi di specializzazione e perfezionamento, diventa agente comunitario di sviluppo e apre una società di consulenza per la ricerca di fondi europei. Ma la politica lo assorbe, piano piano, pretendendo dal suo entusiasmo un impegno a tempo pieno. “Quando ho cominciato a fare l’assessore mi hanno affidato la delega ai giovani, che tutti snobbavano perché ritenuta marginale. Era l’inizio degli anni Novanta, non esisteva praticamente nulla. Niente servizi, niente risorse”. Un altro al suo posto avrebbe desistito, protestato. “È stato bellissimo costruire politiche e azioni nuove, mettendo in gioco la fantasia e al centro proprio loro, i giovani”.
Raul matura la consapevolezza che l’opera pubblica più importante, per la comunità di Novellara, è l’integrazione. Il paese che ha inventato i centri per gli anziani e l’assistenza domiciliare – servizi ancora oggi gestiti quasi totalmente da personale pubblico, in economia – ospita oggi la bellezza di cinquanta nazionalità diverse. “Abbiamo cominciato a considerare Novellara come fosse l’ombelico del mondo. Noi abbiamo classi elementari con una popolazione di immigrati che raggiunge il 50 per cento in alcuni casi”. Avrebbero potuto chiudersi, arroccarsi. Hanno scelto la strada più difficile, quella dell’apertura e del cambiamento.
“All’inizio non è stato facile, e ancora oggi ci sono molte difficoltà, soprattutto quando si passa dal personale all’impersonale. Mi spiego: non abbiamo mai vissuto episodi di razzismo con il vicino di casa straniero, il collega di lavoro, il compagno di banco del figlio. Ma quando si è trattato di trovare un luogo per ospitare la moschea, ecco che allora le paure e i pregiudizi hanno trovato spazio, insinuandosi in quelle stesse persone solidali e disposte alla convivenza”. È la generica paura del diverso, è il lavorio quotidiano che da un ventennio media e politica hanno realizzato, restituendo alla popolazione una visione della società chiusa e settaria.
Gli anni da sindaco di Daoli coincidono con le politiche della chiusura delle frontiere e dei centri di detenzione per i migranti. Il buon senso spingerebbe altrove le scelte di un’amministrazione di provincia. Invece Novellara si distingue proprio per il suo tratto di inclusione sociale. Di apertura e condivisione. Parole che si circondano di fatti concreti, cantieri che si fanno progetti capaci di dare sostanza alle idee.
“I miei più bei successi da sindaco sono risultati che appartengono alla sfera della clandestinità. Abbiamo scelto diverse volte di non volgere lo sguardo altrove, salvando ragazze e giovani donne che reclamavano giustizia e libertà. Ragazzine di seconda e terza generazione, nate in Italia da famiglie straniere, compresse tra due forze negative. Da una parte il conservatorismo e il mantenimento di usanze tribali, come quella di costringere al matrimonio (spesso con l’inganno di un semplice viaggio all’estero) a quindici, sedici anni. Cittadine italiane, a tutti gli effetti, che nel giro di pochi giorni si ritrovano in un Paese straniero, stuprate da uomini che non conoscono. Dall’altra un razzismo strisciante che porta nel migliore dei casi all’indifferenza, al menefreghismo diffuso. Facile promuovere convegni e feste a tema, molto più difficile prestare soccorso e proteggere da un destino infame persone, che non sono numeri”.
A Raul si illumina lo sguardo. È una persona pacata, che parla piano, con un tono di voce basso, che nasconde umiltà e consapevolezza insieme. Ma che rivela entusiasmo, anche. E tanta forza. “Dove c’è emozione c’è bellezza”, se la lascia quasi sfuggire questa frase che è più di un programma di legislatura, semmai un paradigma attraverso cui declinare la realtà quotidiana. “Uno dei ricordi più belli ed emozionanti di questi anni è l’asta vinta a New York per recuperare un disegno del nostro Lelio Orsi, un pezzo della nostra storia che tornava a casa”.
La messa in discussione del welfare e la gestione diretta (pubblica) dei servizi sono stati il controcanto che dai governi centrali ha stonato le politiche locali nel campo sociale e sanitario (e non solo). “Sono stati anni durissimi, e lo sono ancora. Anni in cui l’obiettivo neanche troppo nascosto è stato quello di distruggere il welfare, con la scusa dei tagli e del patto di stabilità. Ma più di tutto, a condizionare le nostre scelte locali è stata l’incertezza che dal centro si diffondeva alle periferie. Come si può impostare il futuro, che significa programmazione concertata, investimenti e risorse da mettere in campo, se ogni tre mesi cambia lo scenario attraverso norme e regolamenti di riferimento? Il risultato è che tu pedali, sempre più forte e con sempre maggior affanno, e intanto ti accorgi impotente che la bici non si sposta più. Questo porta a sprecare energie, risorse, e un mare di tempo a inseguire burocrati, pareri e interpretazioni. E intanto ci allontaniamo dai problemi veri della gente”.
Il comune allora si lega a doppio filo con un’altra istituzione sotto attacco, la scuola. Il cambiamento passa di lì, non c’è altra strada, per questo inizia un percorso che porterà risultati per certi versi sorprendenti. Nel metodo e nelle azioni. “Ci siamo messi a studiare, partendo dalla considerazione che molti dei servizi e delle opportunità in essere andavano profondamente ripensati, visti i continui cambi di scena della comunità. Pensiamo alla famiglia atomizzata, direi meglio disgregata. I tempi del lavoro. Le nuove povertà. Ci siamo messi in gioco senza rete, innovando e osando come si deve fare se si vuole dare risposte ai cittadini della tua comunità. Abbiamo costruito con la scuola progetti personalizzati, flessibili. Siamo andati in giro per istituzioni a cercare risorse per finanziare il cambiamento, avendo cura di non adagiarsi sui risultati via via raggiunti, consapevoli che non si arriva mai al traguardo”.
Le politiche pensate per i migranti non sono state separate dal resto, ma integrate in esso. “Non ci è mai venuto in mente di aprire uno sportello per gli stranieri. Abbiamo invece lavorato per formare il personale di tutti gli sportelli e uffici esistenti. Questo ci ha responsabilizzati e reso tutti attori protagonisti, senza passaggi di responsabilità e competenze”.
Raul viene richiamato all’ordine da molti suoi compagni di partito. La paura della perdita del consenso è forte, Novellara sta osando troppo. “Se ci pensiamo è lo stesso dibattito e polemiche di qualche decennio fa, quando i nostri predecessori misero in piedi il welfare per come lo conosciamo. Oggi lo diamo per scontato (e facciamo male, peraltro), ma allora interi pezzi di società si misero di traverso, osteggiando un protagonismo attivo dello Stato e delle sue diramazioni locali. La politica deve essere forte, sfidante. Deve saper mettere in discussione il presente, per cambiarlo”.
In questi anni ci sono stati molti errori, e il sindaco che vede la bellezza non si tira certo indietro, nel riconoscerli e denunciarli. “C’è stata per un lungo periodo una visione sbagliata dell’urbanistica, che ha portato ad un appesantimento evidente del territorio. Una dispersione abitativa e un abbruttimento portato dal troppo cemento. Novellara non è stata immune da questa malattia, anche per un non sempre salutare rapporto troppo stretto con certi portatori di interesse. Noi abbiamo cercato di invertire la rotta. Abbiamo investito dentro l’amministrazione per fortificare una capacità di negoziazione trasparente con il mondo delle imprese, contrastando volta per volta tentativi speculativi provenienti anche da ambienti amici”.
Fare il sindaco, oggi più che mai, significa saper cambiare scenario tante volte in un giorno solo. Essere aperti, attenti, competenti. “Non c’è oggi un lavoro così complesso e sfidante come quello di primo cittadino. In un’ora passi dall’affrontare il tema dell’alzhaimer a quello dei rifiuti, per questo abbiamo investito tantissimo nella formazione costante e nella motivazione del personale. La politica e l’istituzione devono viaggiare alla stessa velocità, fare squadra. Abbiamo coinvolto i dipendenti andando al di là del loro mansionario, cercando di valorizzare interessi e competenze”.
Ormai è un fiume in piena, Raul. Inarrestabile nella narrazione di un progetto politico che ha coinciso, lo leggi tra le pieghe delle parole, con un progetto di vita. È stato capace di coltivare consenso con azioni fuori moda. Il suo carattere schivo, poi, non l’ha aiutato in questi anni. “Tutti sono in grado di andare al bar a parlare con la gente, pochi invece sarebbero disposti ad accostarci ai giovani adolescenti per pensare e progettare insieme un’opera pubblica”.
Il partito, negli anni, è venuto a mancare, si è fatto più leggero, che nel concreto ha significato distanza quando sarebbe servito sostegno convinto. “Fare amministrazione richiede uno sforzo culturale, bisogna imparare a convincere gli altri. E qui il mio partito è venuto meno proprio nel momento dell’elaborazione e della complessità. La nostra azione politica ha talvolta ha spaccato il paese in due. Ma un sindaco deve saper presidiare la collettività, esserci per tutti, sempre.”
E la curiosità è un altro ingrediente che ha reso speciale una storia altrimenti normale, giusta come quella di Raul. Come quando nell’archivio storico dei Gonzaga il sindaco trova un documento ingiallito dal tempo e nascosto alla memoria: una vecchia lettera contenente tre ricette per fare il cioccolato, che il Comune fa brevettare per proteggerle a livello internazionale. Viene creato un marchio, il “Chiocolato”, e affidata la produzione del cioccolato di Novellara ad un artigiano locale. Qualcuno scrive perfino un romanzo, un giallo sul mistero della ricetta scomparsa.
Partono azioni finalizzate ad esportare un brand, un prodotto di nicchia che però si fa strada. Marketing territoriale, come si dice oggi, indotto. Ed ogni euro guadagnato dal comune lo si re-investe in cultura per il territorio. Gli ingredienti provengono, non poteva essere altrimenti, dal commercio equo e solidale, e la cioccolata pare sia buona davvero. “Una vecchia lettera che avrebbero forse letto dieci ricercatori diventa progetto vivo, vibrante, che crea economia locale, identità.”
La politica secondo Raul, il sindaco che ha preso a braccetto la bellezza e ne ha fatto scarpe, per il suo cammino nella quotidianità.
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* coordinatore dell’Associazione dei Comuni virtuosi
Tratto da Le panchine ribelli (Emi).
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