Il dominio della guerra si traduce nell’idea che la pace si ottiene vendendo armi ma anche nella messa in discussione della legittimità di manifestare per la pace: chi è pacifista è filo-russo. La pace, scrive Enrico Euli, è diventata una parolaccia, perché può essere pronunciata solo da chi la invoca mentre fa la guerra e perché è finita in mano a quegli stessi partiti che hanno votato per la guerra. Una cosa è certa: se i potenti decidono di fare la guerra, la fanno, “non c’è nulla che si possa fare ora”. Neppure da parte dei governanti: il processo della guerra si alimenta da sé e non si può fermare. Oggi abbiamo e siamo soltanto un pubblico: e “il pubblico applaude o fischia, chiede il bis, urla o piange commosso, ma non può fare niente di meglio”. Non c’è spazio dunque per la speranza quale movimento di liberazione, volontà e desiderio, capacità di riconoscere e proteggere i segni di miglioramento del mondo, intreccio di processi fragili e contraddittori? Ci piace pensare che quando Euli parla di “deprimerci con coraggio” alluda a quell’idea di speranza…

Quando gli Stati Uniti facevano quel che ora fanno i russi (contro Serbia o Iraq o Afghanistan o…) toccava a noi organizzare marce e cortei per la pace. Solo noi andavamo in strada, con risultati sinceramente scarsi, e venivamo definiti anti-americani. Ora è in discussione la legittimità stessa di manifestare per la pace: chi è pacifista è filo-russo ed anti-europeo (oltre che, come sempre, anti-americano).
La pace stessa è diventata inevitabilmente una parolaccia: perché può essere pronunciata soltanto da chi la invoca mentre fa la guerra e perché è finita in mano a quegli stessi partiti che hanno votato per la guerra (incluse le verginelle di Giuseppe Conte).
Ma, d’altronde, di cosa stiamo parlando? Di fare o non fare un corteo per la pace e contro l’Armageddon nucleare. Qualcosa oggi di totalmente inutile, di assolutamente ininfluente.
Se i potenti decidono di fare la guerra, la fanno (la stanno facendo). Se decidessero di usare il nucleare tattico, lo faranno. E da lì l’escalation verso la guerra nucleare globale sarebbe irreversibile. Non c’è nulla che si possa fare ora. Neppure da parte degli stessi governanti: il processo della guerra si alimenta da sé e non si può fermare. Lo vediamo ogni giorno: ogni atto ne chiama un altro, ogni atto dell’uno è provocato dall’altro, e ogni altra possibilità è esclusa. É giunto il momento di pagare il conto. Quel che andava fatto non è stato fatto, e anzi abbiamo fatto esattamente quel che non andava fatto (produrre e vendere armi, fra l’altro…). A cosa ci vogliamo attaccare ancora? Come dice la pubblicità di un surgelato: “Siamo onesti!”.
Onestamente parlando, si dovrebbe ammettere che l’opinione pubblica non può più pesare perché molto semplicemente “non c’è più”. É solo una creazione dei media e dei social che, così come la fanno, la disfano. Oggi infatti abbiamo e siamo soltanto un pubblico: e il pubblico applaude o fischia, chiede il bis, urla o piange commosso, ma non può fare niente di meglio o di più. Quando lo spettacolo finirà, questo stesso pubblico resterà stupito e attonito e farà finta – ancora una volta – che tutto sia accaduto all’improvviso, imprevedibilmente, irrazionalmente e in un attimo. Parleremo (se ci sarà ancora tempo e modo) di follia, di azzardo, di assurdità. Diremo che quel che sta per accadere era inconcepibile. E invece saremo noi, specie umana sapiens sapiens, ad averlo concepito, preparato e realizzato (o, perlomeno, permesso).
L’anestesia è totale: il pubblico vuole solo distrarsi, divertirsi, gozzovigliare tanto più proprio quanto più sale l’angoscia di sottofondo, la difficoltà (anche materiale) a vivere, la sensazione pervasiva di essere soltanto degli ostaggi in mano a dei criminali di professione. Appare come un nuovo fato, infatti, quello a cui siamo sottoposti e a cui non riusciamo a sottrarci.
Non ci resta che una possibilità, se vogliamo restare umani: quella di deprimerci con coraggio.
Enrico Euli è docente all’Università di Cagliari. Tra i suoi libri Fare il morto. Vecchi e nuovi giochi di renitenza (Sensibili alle foglie). Nell’archivio di Comune i suoi articoli sono leggibili qui. Ha aderito alla campagna Dieci anni e più:
“Quante ce ne hanno date… ma quante gliene abbiamo dette!”, diceva il saggio. Auguri, lunga vita e lunga marcia a tutti voi (e noi)!
… mi giunge il lezzo della folla … esprimeva Nerone
… date al popolo ludi e piaceri per tenerlo soggiogato … antica Roma maestra di saggezza e predominio !
Ma perché usa il termine verginelle? Il movimento femminista non le ha insegnato proprio nulla? Cosa insegna ai suoi studenti?