Un antico muro incrollabile: la guerra nella mente patriarcale

Pensare di fermare una guerra con la guerra è una palese contraddizione in termini, ossia una follia. Più armi, più sangue, più macerie, più morti, più guerra. Una guerra che si vuole infinita, che si vuole ancora più distruttiva alzandone il livello fino all’impensabile uso delle armi nucleari. Certo la colpa è dell’aggressore, ma il prezzo del sangue è troppo alto anche per una causa giusta.
Le identità, le differenze, le libertà, i popoli: ecco le componenti eterne di guerre e conflitti, irrisolte e forse irrisolvibili nell’ottica patriarcale. Il punto allora, potremmo finalmente dire, è proprio l’ottica con cui le si guarda e le si vive. Odessa non è celebre solo per La corazzata Potemkin, ma anche per i ripetuti massacri che nel 1905 e nel 1941 decimarono la popolazione in massima parte ebraica. Fu soprattutto l’America ad accogliere la diaspora dei pochi sopravvissuti. Odessa è anche il luogo da cui viene l’origine familiare del Premio Nobel Robert Zimmerman, l’ebreo errante altrimenti detto Bob Dylan che nella sua musica ci trasmette l’insondabile profondità e la struggente malía nata da millenari intrecci di genti e complesse vicende.
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A chi appartiene un luogo come Odessa? O Istanbul? O Samarcanda? Quale senso può avere disegnare confini e chiusure per luoghi che appartengono a tutta l’umanità? Una bandiera non basta a cancellare il mosaico bello o terribile di cui ogni luogo porta impressa la storia, e alcuni luoghi più di altri. Ma nella mente patriarcale si combattono due istinti contrapposti e ugualmente malsani: da un lato l’istinto di marchiare con un timbro di proprietà, separando ciò che invece è mischiato e meticcio, dall’altro la cupidigia dell’espansione illimitata che cancella identità e differenze omologando ogni cosa nell’illusione imperialistica del dominio assoluto. Ossia del male assoluto.
Nulla è semplice nell’Europa balcanica e slava. Almeno in apparenza l’esplosione del conflitto russo-ucraino si deve a questioni di possesso territoriale. Il tempo sembra non passare mai. Dagli imperi di ieri alle federazioni di oggi quel che si continua a sventolare per reclamare il possesso di interi territori e relative popolazioni è una bandiera identitaria che divide nel segno del dominio, non certo della libertà. Sotto gli imperi le questioni identitarie sembravano più sfumate, più sotto traccia, probabilmente a causa del terribile livello di oppressione che paradossalmente anche uniformava tutto, ma poi esplodevano come per il ribollire di una pentola, ammantate di romantici ideali. Morire per la patria, indistinguibile viluppo di padre e madre insieme.
Nella mente patriarcale (con qualche eccezione) non alberga purtroppo l’idea che possano esistere forme di società evolute, capaci di includere al proprio interno le mille sfumature culturali ed etniche che la storia ha creato senza bisogno di distinguere con nomenclature, etichette, confini e bandiere. Piuttosto che accettare nuove e inedite modalità di convivenza, con un coraggioso salto nel futuro, il potere patriarcale sceglie di nuovo la guerra che le è tanto congeniale, strumento arcaico e primitivo, degno non di persone intelligenti ma di macchine artificiali guidate da ottusi algoritmi.
Questo è accaduto fra Russia e Ucraina, e ha origini lontane. Negare che in quelle terre vivano persone miste, negare che le appartenenze e le lingue siano quasi indistinguibili, negare le memorie storiche e le relazioni secolari, prima ancora che criminale è totalmente stupido. Non ci si può fermare a questo. Occorre dar vita alla visione di ciò che potrà essere un domani anche se oggi può sembrare un’utopia, un’ucronia, una distopia…
Sarà tanto strano concepire terre senza bandiere, con nomi multipli e diverse lingue? Nelle opere di Ursula K. Le Guin questa visione esiste ed è narrata in mille suggestivi modi. Anche nella realtà esistono zone dove questo è stato cercato e a volte reso possibile. Penso ad Alex Langer che nel suo Alto Adige/Südtirol rifiutava di identificarsi etnicamente e sosteneva la bellezza della convivenza fra diversità, la bellezza del noi al di là dei confini. Si è speso fino all’inverosimile per fermare l’orrendo assedio di Sarajevo e la distruzione della Bosnia, terra di secolari convivenze fra componenti diverse. Purtroppo non ci è riuscito e nessuno avrebbe potuto, contro i criminali disegni dei soggetti geopolitici che tiravano le fila. Anche da lì probabilmente nasce quel che sta accadendo adesso in Ucraina.
Ora il Parlamento europeo ha approvato un ulteriore invio di armi all’Ucraina, anche in vista di un attacco nucleare cui si chiede di prepararsi. Un emendamento proposto dal Gruppo della Sinistra per cercare soluzioni diplomatiche è stato invece bocciato con il voto di Fratelli d’Italia, Forza Italia, Italia Viva e di una parte del Pd. Non trovo nemmeno le parole per commentare. Sarebbe questa l’Europa?
Evidentemente il muro più incrollabile nella mente patriarcale, che ha contagiato anche non poche donne, è proprio la voglia di guerra, nel profondo del cervello rettiliano, sotto strati e strati di illusoria civiltà, c’è quel grumo di violenza primitiva e ancestrale che come un muro impedisce all’intelligenza di prevalere e di concepire le tante altre possibili soluzioni dei conflitti.
Molti partiti si fanno belli della nostra Costituzione, la “migliore del mondo”, ma alla prova dei fatti la calpestano continuamente. Che ne è dell’articolo 11 quando entriamo a pieno titolo fra i fornitori di armi letali non solo all’Ucraina aggredita, ma anche in modo crescente all’Egitto dove fu orrendamente assassinato Giulio Regeni, ancor oggi senza nessuna giustizia?
La domanda che nessuno si fa ma che sarebbe centrale dati i tempi è questa: perché è stata distrutta nel corso del Novecento la grande speranza nata con il Movimento dei Non allineati? «Quando il toro e l’elefante combattono, è l’erba ad essere calpestata», disse una volta Kwame Nkrumah, primo presidente del Ghana indipendente, uno dei massimi leader dei non allineati. Ecco, adesso siamo noi l’erba. L’Europa nel suo insieme e noi che vogliamo il disarmo, il ripudio di ogni guerra fredda o calda, la fine di ogni unipolarismo.
L’idea stessa che si debba abbandonare ogni volontà di non allineamento e di neutralità per non farsi accusare di stare dalla parte dell’aggressore, è una sconfitta per l’intera umanità. La strada era quella. Un passo avanti nella storia umana all’insegna di un’intelligenza politica finalmente evoluta. Ma come si vede, i nemici della pace sono sempre all’erta, più vivi e vegeti che mai.
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C’era un tempo lontano, lontano in cui donne e uomini erano uguali: la Gilania. Gimbutas Eisler ne “Il calice e la spada” parlano di questa epoca e ne danno riscontro archeologico. Poi dalle steppe arrivarono i guerrieri Kurgan.
C’era un tempo in cui Palmira si poteva vedere, io ci ho dormito accanto; la guerra non ti consente di vedere le bellezze e ammazza chi le voleva proteggere. 🌸
Giusto. E’ l’idea del possesso (su una terra, su una donna) a perpetuare la mentalità patriarcale. E anche il non ammettere la complessità, la diversità.La paura ancestrale degli uomini è ancora essere giudicato “frocio”.
mi piace, ma apriamo per una volta la parola “patriarcato” immaginando e nominando la sua negazione o trasformazione
ne siamo capaci?