Possiamo essere militanti solo perché sosteniamo certe idee e ci sentiamo parte di una comunità? Si può evitare di cadere nella trappola militare e di credersi depositari di una verità rivoluzionaria? Si può lottare contro il potere senza desiderarlo? C’è una militanza triste, che stabilisce frontiere e separazioni, mira alla purezza ideologica, alla competizione, alla paura, al risentimento, al sospetto. E poi c’è un’altra militanza, che ammette elementi tristi ma lascia spazi alla creatività, alla gentilezza, all’amicizia, all’amore. E’ una militanza che sperimenta, lascia entrare il mondo dentro di sé e, a volte, si abbandona al mondo, perché è capace di empatia ed è aperta all’incertezza
di Gustavo Esteva
Perché essere militanti? Perché militare? Con questa parola facciamo riferimento al fare qualcosa che molti di noi non possono tralasciare di fare. Ma il militante è colui che milita, il militare. Usando questa parola, non avremo forse assunto e fatto nostro ciò a cui opponiamo resistenza, con tutta la sua carica bellica e violenta?
Resistere e lottare sono richiami irresistibili per molta gente, soprattutto in vista di quello che viene dopo: costruire un mondo nuovo. C’è chi non può vivere senza rispondere a queste chiamate all’azione. L’orrore in cui siamo immersi risulta insopportabile. Bisogna fare qualcosa. Essere militanti. E non possiamo smettere di lottare, perché lottare è sognare.
Sorge così la difficoltà. “Scegli bene il tuo nemico: diventerai come lui”, dice un vecchio proverbio arabo. Come hanno segnalato tempo fa gli zapatisti, è in corso attualmente la Quarta guerra mondiale, in cui noi siamo il nemico. Come evitare di trasformarci in coloro che la stanno conducendo? Come evitare di riprodurre i loro metodi e le loro pratiche?
Lottiamo contro qualcosa di abominevole. Tutti i giorni avvengono cose per le quali non abbiamo più parole; di fronte a questa degradazione non c’è che il silenzio. Come non cadere nella tristezza e nell’amarezza, o persino nella disperazione, per essere arrivati a questo estremo e dover lottare contro di esso, dover entrare nella mischia?
Indubbiamente, lottare significa connettere il desiderio con la realtà, e questo, come suggeriva Foucault, è ciò che possiede forza rivoluzionaria. Ma questa realtà abominevole contro cui dobbiamo lottare per trasformarla non è qualcosa di alieno, di esterno. Lottare contro la realtà è anche lottare contro noi stessi.
Come segnalava lo stesso Foucault, l’avversario strategico è il fascismo, ma non solo il fascismo storico che ha mobilitato e sfruttato efficacemente il desiderio delle masse negli anni trenta, e lo fa ancora oggi in maniera più sottile. È anche il nostro fascismo, nelle nostre teste e nel nostro comportamento quotidiano; il fascismo, diceva Foucault, che ci fa amare il potere e ci fa desiderare quello che ci domina e ci sfrutta.
Come evitarlo? Come lottare contro il potere senza cadere nel suo gioco? Come essere “altro” rispetto al potere, il suo rovescio e non il suo specchio, come nella trappola del potere popolare?
Come essere militanti senza cadere nella trappola militare? Come praticare decisamente una militanza impegnata senza compromettersi con il potere, i partiti, le organizzazioni che possiedono la verità rivoluzionaria, le ideologie che iniziano come guide all’azione e alla fine diventano camicie di forza? Come militare con la gente comune, lasciandosi semplicemente guidare da loro?
Alcuni amici del Nord che si stanno ponendo queste domande propongono la militanza gioiosa, in contrasto con la militanza triste. Sulla scia della tradizione di Spinoza e di altri, danno alla parola “gozo“(gioia, ndt) il senso di lasciar entrare il mondo dentro di sé e di abbandonarsi al mondo: essere vulnerabili, capaci di empatia e di compassione, sperimentali, creativi, aperti all’incertezza; la tristezza invece crea frontiere, stabilisce separazioni, fa confronti, pianifica, ecc. Non si tratta di sentimenti di felicità o di infelicità. Dolori, risate o rabbie possono esserci in qualsiasi condizione di militanza; in tutti i movimenti, in tutti gli spazi e in tutti i collettivi, come anche in ogni persona, c’è gioia e tristezza.
I miei amici sospettano che ci sia troppa amarezza e tristezza in molti movimenti e spazi radicali. Di conseguenza, il pensare, il classificare, il chiudere e creare frontiere riducono le possibilità di convivialità, di creatività, di gentilezza. Le tendenze alla purezza ideologica, la competizione o la rivalità e la ricerca del radicalismo conducono al perfezionismo, al sospetto, al cinismo, alla paura, al risentimento. Questa militanza triste sarebbe in contrasto con la militanza gioiosa che ammette elementi tristi (frontiere, separazioni, critiche, ecc.), ma possiede ampi spazi per la creatività, la gentilezza, l’amicizia, l’amore.
Non è una questione di poco conto. Nella misura in cui la situazione si aggrava dovunque e aumentano cinismo e crimini abominevoli, quando è indispensabile intensificare l’azione e prendere iniziative radicali, la militanza gioiosa è più che mai necessaria. La Real Academia Española[1] ha già allargato il ventaglio dei significati del verbo “militare” per riconoscere quello che stiamo facendo. Fra le varie accezioni del termine, ora accetta anche l’essere parte di una comunità o di un collettivo e il sostenere determinate idee o progetti, senza vincolare la parola alla guerra.
Se la tua rivoluzione non sa danzare, non invitarmi alla tua rivoluzione, ha detto una giovane al subcomandante Marcos alcuni anni or sono. È una frase che viene ripetuta da coloro che mantengono vive le danze e la cultura dei loro antenati sugli Altipiani del Chiapas, e associano alla teoria del cambiamento con l’amore, la musica e il ballo.
Per quanto paradossale possa sembrare, smantellare pezzo per pezzo il regime che ci opprime e fermare la guerra diventa possibile quando osiamo vivere vite veramente radicali, creative e gioiose.
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Fonte: la Jornada
La traduzione di Militanze per Comune-info è a cura di Camminar domandando
Gustavo Esteva vive a Oaxaca, in Messico. I suoi libri vengono pubblicati in diversi paesi del mondo. In Italia, sono stati tradotti: «Elogio dello zapatismo», Karma edizioni: «La Comune di Oaxaca», Carta; e, proprio in questi mesi, per l’editore Asterios gli ultimi tre: «Antistasis. L’insurrezione in corso»; «Torniamo alla Tavola» e «Senza Insegnanti». In Messico Esteva scrive regolarmente per il quotidiano La Jornada ma i suoi saggi vengono pubblicati anche in molti altri paesi. In Italia collabora con Comune-info.
Tutti gli altri articoli di Gustavo Esteva usciti su Comune-info sono qui
Un piccolo nucleo di amici italiani di Esteva, autodenominatosi “camminar domandando”, nei mesi scorsi ha stampato il testo della conversazione tenuta da Esteva a Bologna nell’aprile 2012 (i temi in parte sono gli stessi degli incontri tenutisi nell’occasione a Lucca, in Val di Susa, Torino, Milano, Venezia, Padova, Firenze e Roma): “Crisi sociale e alternative dal basso. Difesa del territorio, beni comuni, convivialità”. (chi vuole, può scaricarlo su www.camminardomandando.wordpress.com).
Flora Colacurcio dice
Evolviamo il termine “militanza” in “milidanza”!
Chi continua a militare, rimane lì, su quel vecchio binario della “solita storia” che si ripete……
Chi invece si ritrova in “milidanza”, ha deragliato da quel triste binario, e ha cominciato a “godersi” il panorama e a “danzare” con la realtà…..
Le parole sono importanti.
Esse sono ciò che resta dei “vissuti collettivi”; sono “distillati di memoria” che sintetizzano dinamiche, producono “mappe” e ci conducono nei “mondi” da cui sono nate.
Se vogliamo un mondo nuovo, dobbiamo creare nuove parole……
Flora Colacurcio
maomao comune dice
bellissimo “milidanza”, grande Flora! Chissà se piace a Esteva? Glielo faremo sapere.
Hai ragione da vendere: le parole sono importanti, per esempio tradurre “gozo” con goia è certo giusto ma purtroppo un po’ limitante. E non è certo colpa del gruppo di ottimi traduttori che lavora sul testo di Esteva.
Dobbiamo proprio creare nuove parole e nuove grammatiche, e dobbiamo essere anche un po’ rigorosi. “Milidanza”, per esempio, non “evolve” da militanza ma nega la sua radice (militare) e la oltrepassa, io direi forse che da militanza, quella non triste, non riesce a essere contenuta, quindi “sboccia”…
Abrazos
Flora Colacurcio dice
E se la milidanza fosse poesia?
Ho sfruttato l’assonanza che esiste tra “danza” e “militanza”, per coniare “milidanza”, in cui quel “mili” è quella parte della parola che per sonorità, e non per significato, connette la “danza” alla “militanza”, e rende possibile “iimmaginare ” o “intuire” il senso della parola “milidanza”, ma non definirne il reale significato, che per ovvie ragioni non esiste.
Per questi motivi la “milidanza” è una licenza poetica che ci permette di andare oltre le regole ferree della logica, per rendere plausibile almeno per una volta ciò che gli itinerari della ragione portano a definire impossibile…….
“La poesia salverà il mondo Ohimè! O Vita! ”
( Poesia di Walt Whitman)
aldo zanchetta dice
“Militanza” o “milidanza”? L’interrogativo è nato a Flora Colacurcio dall’ultimo editoriale di Gustavo Esteva pubblicato da Comune-info, dal titolo “Militanze”.
Flora non ha dubbi: “Milidanza”! Le ragioni? <>.
Giro la questione a Gustavo Esteva perché dica la sua, come parte in causa, per sapere come la vede. Del resto lo stesso Gustavo apre il suo scritto ponendo in dubbio l’adeguatezza della parola al contenuto illustrato.
Provo intanto a dire la mia. La parola militanza non mi piace. Già Frei Betto in un testo brillante di alcuni anni fa sottolineava l’ambiguità della parola in molti casi: militante o militonto? Poneva il dito sulla piaga di tanti militanti che sono in molte circostanze…militonti. Ovvero che non sanno guardare al di là del proprio naso, teleguidati da una rigida impalcatura mentale precostruita alla quale vorrebbero piegare la realtà, anziché “camminar domandando”, ovvero procedendo in un collimare permanente di idee e speranze con gli apporti dell’esperienza e dell’”incontro con l’altro”, che come diceva Illich è sempre pieno di sorprese, e quindi di nuovi apporti. Ovvero, secondo Flora, “milidanzando”.
Le parole sono importanti, dice Flora, ed è vero. Su questo anche Gustavo si è espresso molte volte. Concordo, la parola militanza è un po’ obsoleta. Ma non ciò che le sta dietro: quella volontà permanente di lotta che Gustavo evidenzia. Parole nuove che però nascano da un vissuto comune, cioè abbiano un significato condiviso per descrivere un aspetto della realtà. “Milidanza”, nel caso specifico? Non so, non mi ci ritrovo. Forse perché in gioventù sono stato un pessimo ballerino.
Vediamo cosa dice la platea. Chi sa se un giorno la parola, visto l’uso ormai affermato, verrà accolta dall’Accademia della Crusca, il nostro equivalente della Real Academia Española.
Aldo Zanchetta
aldo zanchetta dice
Ricevo e metto a disposizione di tutti via il nuovo intervento di Gustavo Esteva che ho ricevuto via mail dopo avergli spedito il commento di Flora e gli altri seguiti alla traduzione in italiano del suo articolo
Caro Aldo
Grazie per avere condiviso questi commenti.
Ci sono alcune cose sulle quali siamo interamente d’accordo.
1.Le parole sono importanti: esse sono le porte e le finestre della percezione. A seconda delle parole che usiamo, sperimentiamo il mondo. Nella peggiore delle nostre crisi, quella dell’immaginazione, le parole di ieri, comprese alcune di quelle che sono state molto utili e apprezzate in passato, si trasformano in un ostacolo. Impediscono, di fatto, di comprendere quello che sta avvenendo e di costruire qualcosa di nuovo.
2. Non mi piace la parola militanza, per le ragioni dette nel mio articolo, che poi coincidono con quelle di Flora Colacurcio e con le tue. Ve ne sono molte altre. Non è molto utile ampliare la lista, però è sicuro che il motivo principale è che la parola si è logorata in molteplici militanze “tristi” e controproducenti.
3. Prima di abbandonarla, tuttavia, dobbiamo ben riflettere. Non si tratta di una divagazione erudita, secondo la quale un’etimologia possibile di “militanza” sarebbe quella di renderci parte della gente comune, quella che oggi non guida i cambiamenti, le rivoluzioni. Militanza sarebbe pertanto un termine antielitario. Potremmo proporci il rinnovamento della parola, come ci ha insegnato Ivan Illich, riscattandone un vecchio significato o dandogliene uno nuovo, ad esempio sulla linea di quella etimologia. Prima di farlo, o di cercare un’altra parola, tuttavia, pensiamo bene ciò che vogliamo dire. E il senso profondo al quale io penso è la necessità altrettanto profonda che abbiamo di coinvolgerci nel cambiamento. Non possiamo vivere senza lottare, cioè, come ho scritto seguendo gli zapatisti, senza sognare. E questo impegno per il cambiamento, attraverso la lotta, non è una questione personale nella quale ciascuno assume la propria lotta, ma si definisce come impegno comune, assieme agli altri. Cerchiamo il modo di dire tutto ciò con efficacia, con le parole vecchie o con le nuove.
Tutto questo si perde nella bella parola milidanza. Certo che amiamo la danza. Però milidanza può significare solo un millesimo di una danza, così come il milligrammo è il millesimo del grammo o millimetro il millesimo del metro. Noi non vogliamo una riduzione della danza, bensì il suo ampliamento. E vogliamo che la parola parli della lotta e dell’impegno, non solo del piacere (Gustavo usa la parola “gozo” sul cui significato intraducibile già è stato detto nella traduzione del testo che apre questa pagina).
Dovrò dedicare il mio articolo di lunedì prossimo alla gravissima aggressione patita questa settimana dagli zapatisti. Non è stata, come i media hanno riportato in un’interpretazione estremamente pericolosa e disinformata, uno scontro fra gruppi diversi (cosa che fu detta in un primo tempo anche per la strage di Acteal). E’ stata un’aggressione criminale. E’ una cosa estremamente delicata che dovrò commentare lunedì.
Nel successivo articolo della mia rubrica su La Jornada, fra quindici giorni, riprenderò il tema della militanza, che merita tutta la nostra attenzione.
Un abbraccio
Gustavo
Nota mia: la diversità della scrittura di “milligrammo” che in spagnolo diventa “miligramo” a mio parere forza un po’ il senso dell’osservazione di Gustavo.
Aldo
Maria Manno dice
Condivido in pieno!
Rosaria Gasparro dice
Suggestiva ma non vorrei perdermi tutto quello che c’e’ nella “t”
Alexandra T dice
La cultura imperialista ci insegna a rifiutare tutto ciò che ci spaventa e ci minaccia. Soprattutto le verità scomode. Per costruire il nuovo mondo occorre lottare. La lotta non è intrattenimento. La gioia, semmai, ce la godremo dopo.
Flora Colacurcio dice
Alessandra T, la Storia ci insegna che la lotta come forma di “militanza”, non fa altro che configurarsi in un ruolo tipico, facente parte del sistema “imperialista”.
La “militanza” fa parte del sistema “imperialista” tanto quanto l’imperialismo stesso, perché porta in sé lo stesso schema di pensiero!
La vera lotta oggi è uscire dalle “gabbie degli stereotipi”, e creare altro!
Rimettere in moto la nostra creatività, “ribellarsi facendo”, riprenderci il potere di creare altre realtà che “parlano lingue diverse” da quella che siamo abituati a parlare e ad ascoltare. Dobbiamo imparare a “danzare” con ciò che la realtà ci porta; dobbiamo imparare a reinventarci con quello che abbiamo a disposizione in ogni momento, senza cristallizzarci in forme di pensiero che ci impediscono di vedere percorsi alternativi, precludendoci la possibilità e la gioia di esercitare la nostra creatività e con essa la nostra libertà!
Quando la gioia nasce dal sapersi calare nella realtà e interagire con essa in una pluralità di forme che scaturiscono da una creatività che con entusiasmo risponde alle esigenze del momento, è rivoluzionaria, e non è “intrattenimento”.
Daniela Cavallo dice
Concordo nell’analisi di Flora. E poi dietro la leggerezza di un passo di danza, c’è non solo creatività ma anche impegno, passione, cuore
Virginia Benvenuti dice
La lotta senza gioia non costruisce alcun “dopo”, Alexandra, in cui poter godere la gioia… serve solo a sostituire un potere con un altro potere. “Il nemico vince quando ti costringe a combatterlo con le sue stesse armi”, perché vuol dire che ti ha reso uguale a lui.
Flora Colacurcio dice
È’ proprio come dici tu, Daniela, c’è l’impegno, la passione e il cuore.
C’è anche la capacità di entrare in sintonia con l’altro e l’ambiente in cui ci si muove, rispettandolo e includendolo nella coreografia; per questo la danza è anche “ecologia”. Il bello della danza è che non è mai “a prescindere”: sono proprio i limiti posti dalle circostanze che rendono la danza una coreografia meravigliosa!
Flora Colacurcio dice
Grande Virginia! Non avrei saputo spiegarlo meglio!
È proprio questo il punto: sostituire un potere con un altro potere significa perpetuare la stessa dinamica, che porta sempre alle stesse conclusioni.
E’ vero: “la lotta senza gioia non costruisce altro…
Alexandra T dice
Ciao a tutti, esordisco col dire che per me vige il principio del libero arbitrio. La libertà di pensiero è inviolabile, pertanto rispetto la vostra opinione ma esercito anche il diritto alla mia. Viviamo in una parte del mondo che conosce poco il concetto di Lotta, la milidanza o militanza gioiosa semplicemente non mi appartengono e non trovo necessario dover coniare una nuova parola per descrivere il proprio impegno.
Pratico giornalmente la mia personale forma di ribellione, dal primo passo che faccio alla mattina all’ultimo della sera. Mi ribello facendo ogni giorno. Non c’è nulla di triste nella seria lotta per un ideale. Il discorso sarebbe lungo e sinceramente facebook (questa discussione è stata avviata nella pagina facebook di Comune-info, ndr) non mi sembra il luogo più appropriato. Comunque ad ognuno la sua. Buona serata a tutti.
Gianluca Carmosino dice
Nel saggio “L’insurrezione in corso”, Gustavo Esteva, richiamando Foucault, a proposito di innovazioni politiche radicali spiega come pezzi di società in movimento e piccoli gruppi di cittadini, negli ultimi anni in tutto il mondo abbiano imparato a “commuovere”: “Con-muovere è una bella parola, suppone di muoversi con l’altro, come in una danza, e farlo con tutto, con il cuore e lo stomaco e l’intero essere, non solo con la testa, e la conmocion agisce per contagio”. Illuminante, no?