Richiedenti asilo e migranti rischiano spesso di restare categorie astratte. Per questo servono ricerche, meglio ancora se legate a territori. Ma c’è bisogno anche della capacità di tanti operatori sociali di far emergere da quelle ricerche punti di vista critici, domande e pratiche. Cosa significa diritto all’abitare per i migranti in una terra di spopolamento come il Molise, segnato da mille altre cicatrici? Perché i ragazzi di origine straniera a scuola hanno percentuali di bocciatura altissime? Come evitare di trasformare i centri per l’istruzione degli adulti in ghetti? È possibile opporsi alla diffusione di un modello aziendalista di gestione dell’accoglienza? Quali forme di accoglienza di comunità sappiamo immaginare e creare? Appunti di un operatore sociale di una regione poco raccontata

Il lavoro che segue è una riflessione a partire da Migranti e inclusione sociale nel territorio molisano, il testo di Daniela Grignoli e Gianluca Tramontano, frutto di una ricerca condotta tra marzo e luglio 2019, che si è proposta di «comprendere il livello di integrazione dei beneficiari della Rete SAI all’interno del territorio molisano attraverso il tema dell’accesso ai servizi sociali territoriali e alla loro capacità di risposta, e al ruolo sia del terzo settore che della scuola»1. La ricerca ha coinvolto testimoni privilegiati, dirigenti scolastici, operatori e coordinatori di progetti, responsabili di politiche sociali con la somministrazione di questionari, interviste e la realizzazione di focus group. La Rete SAI è un’accoglienza di secondo livello2, integrata e diffusa: «il Molise, per la sua conformazione territoriale, le dimensioni e le caratteristiche delle sue comunità, dovrebbe garantire migliori chances di riuscita dei processi di integrazione degli immigrati, presentando maggiori possibilità per il radicamento della persona per la prossimità dei servizi, la presenza di tessuti associativi e la minore tensione del mercato abitativo»3. Va presto detto che tali ipotesi di ricerca iniziali «sono state in gran parte smontate dalle risultanze della ricerca condotta»4.
Il Molise è soggetto a processi di spopolamento allarmanti: secondo Istat solo nel 2020 la Regione ha perso oltre 6.000 abitanti e i residenti al 31 dicembre 2020 sono poco più di 294.000. Nel grande esodo sono fuggiti via dalla Regione anche gli stranieri, nel solo 2020 calati del 3,7 per cento (al 31 dicembre 2020 sono 12.290). Molti sono, in effetti, gli ostacoli all’inclusione.
Per molti migranti il problema dell’accesso alla casa è un ostacolo insormontabile» sia per la difficoltà a pagare «affitti e utenze che per la diffidenza nutrita dai locatori, nonché per l’assenza di politiche abitative inclusive tout court»5. Le possibilità di accesso alla casa si differenziano su base geografica, ma la tendenza comune è che «non si affitta agli immigrati, in quanto i proprietari delle abitazioni nutrono sfiducia sia nei confronti di questa categoria di persone, ritenute “potenzialmente morose”, e sia rispetto agli enti che li affiancano»6. Un’altra criticità riguarda il rapporto dei SAI con gli altri soggetti del territorio: gli Enti Locali, titolari dei progetti di accoglienza, in molti casi delegano tutta la gestione al Terzo Settore. Il SAI sembrerebbe isolato dalle altre dimensioni della protezione sociale: «questa condizione di isolamento è stata lamentata da tutti i soggetti coinvolti nella ricerca sul campo, i quali hanno anche descritto la situazione di impotenza che vivono, soprattutto nella fase della post-accoglienza». A ciò si aggiunga lo scarso coordinamento tra i progetti SAI molisani.
Ci sono problematiche legate al mondo dell’istruzione e della formazione, a partire dalla frequenza dei nidi e delle sezioni primavera, spesso per la mancanza di posti disponibili. Inoltre, c’è una «“distanza culturale-linguistica” tra i genitori dei bambini e il sistema di istruzione pre-scuola», che si riscontra anche nella scuola dell’obbligo, sebbene in misura minore. Colpisce che, nonostante il Molise faccia registrare una percentuale di alunni stranieri molto al di sotto della media nazionale, le loro bocciature sono, «proporzionalmente, da 30 a 60 volte superiori ai compagni italiani7».
Dai dirigenti emergono difficoltà per la «carenza di personale dedicato all’insegnamento della lingua L2»8 e problemi legati al disagio sociale di molte famiglie, che dopo il SAI «si ritrovano senza alcun tipo di supporto»9. Il supporto degli Enti Locali e del Terzo Settore alle scuole è in molti casi «assente, o poco incisivo»10, mentre dalla scuola «emerge chiaramente un bisogno formativo specifico per i docenti»11. Il sistema educativo rischia di deviare nel suo opposto: «l’educazione formale può riprodurre diseguaglianze quando alcune forme di discriminazione perpetuate nel gruppo classe conducono al conseguimento di risultati scolastici diversi nei gruppi di minoranze»12. Com’è, appunto, il caso del Molise.
Un rischio analogo è riscontrabile nel CPIA: deputato alla formazione di tutte le persone adulte, straniere o italiane, esso viene percepito come la “scuola degli altri, degli stranieri”. Il tema «ha a che fare con l’isolamento che vivono gli immigrati frequentanti i CPIA, una sorta di ghettizzazione involontaria»13. I CPIA sono talvolta difficilmente raggiungibili per i limiti nella mobilità su strada e molte «donne con figli molto piccoli non possono frequentare perché non hanno possibilità di collocare i propri bambini in strutture dedicate o portarli con sé nelle sedi dei corsi»14; alcuni problemi emergono anche rispetto ai contenuti dei corsi. Un discorso a parte sulla formazione professionale: l’offerta formativa regionale non risponde «minimamente alle richieste provenienti dal mondo produttivo in termini di professionalità richieste»15. A ciò si aggiunga la difficoltà nel riconoscimento dei titoli di studio acquisiti all’estero per mancanza della documentazione ufficiale, «che rappresenta una fonte di grave discriminazione»16.
Ampi e strutturali sono i problemi legati al mondo del lavoro: in Italia si sta diffondendo il lavoro povero e precario. Molte donne e uomini stranieri fanno lavori considerati di serie B da alcuni italiani, spesso guadagnano meno di loro e in molti casi sono vittime di sfruttamento lavorativo, di caporalato o subiscono il ricatto legato alla necessità del rinnovo del Permesso. Può capitare che finiscano in uno dei grandi e piccoli ghetti che popolano la Penisola. Anche il Molise non è esente da fenomeni di questo tipo, tutt’altro: la difficoltà di trovare un lavoro in Regione spinge ad emigrare fuori, con il risultato che «tutto il lavoro realizzato dagli operatori dei centri e il relativo investimento prodotto, anche economico, molto spesso non ha ricadute positive sul territorio, causando un ulteriore impoverimento del tessuto produttivo, oltre a uno spreco di risorse»17.
Tenendo presenti le proposte per migliorare la Rete SAI molisana emerse dalla ricerca18, risulta qui essenziale, partendo dal contesto delineato, «comprendere meglio se e fino a che punto le comunità locali possono essere realmente considerate come quei luoghi democratici dell’accoglienza e della responsabilità sociale capaci di essere inclusivi nei confronti degli immigranti, ma anche rispetto a tutte le tipologie di persone»19. La sfida sta nel passare dall’accoglienza, che è un’idea unidirezionale (da una parte “gli accoglienti”, dall’altra “gli accolti”) a un’idea di comunità basata sulla convivenza tra diversi. Dall’integrazione alle buone interazioni.
Abbiamo innanzi, a mio avviso, alcune sfide. In primo luogo superare l’idea del SAI come segmento separato del welfare e intrecciare i progetti nel welfare locale. La scommessa sta nel tessere, a partire dal quotidiano dei progetti di accoglienza, comunità democratiche e inclusive, spazi di sicurezza sociale e di possibilità di futuro per tutte le persone che rischiano di rimanere indietro.
In secondo luogo: strutturare coordinamenti tra Enti Locali, titolari dei SAI ed Enti gestori del Terzo Settore. Coordinamenti permanenti aperti su diversi livelli (regionale, di Ambito Territoriale, di singola municipalità), luoghi plurali e partecipati in cui ideare, definire e dare concretezza alle politiche sociali per l’inclusione. Centrale risulta poi promuovere forme di terza accoglienza: il nodo è particolarmente problematico, poiché il Molise, in definitiva, rischia di non saper più accogliere neppure i propri figli. Con la terza accoglienza degli ex-ospiti in uscita dai progetti prenderebbe forma una accoglienza di comunità, una possibilità per diverse persone di restare.
Favorire inoltre il protagonismo dei beneficiari attraverso l’associazionismo migrante, supportandone lo sviluppo in ogni modo. Che le persone migranti esprimano bisogni, critiche e desideri rispetto all’accoglienza e ai processi di inclusione sarebbe fondamentale per migliorare le politiche e le prassi.
Una sfida ulteriore sta nel contrastare l’aziendalizzazione del lavoro e mettere al centro la questione sindacale: c’è in Molise il rischio che si diffonda un modello aziendalista di gestione del SAI. L’equipe stessa del progetto di Termoli, ad esempio, nel cambio di gestione ad ottobre 2021 ha subito una ristrutturazione, che ha costretto noi lavoratori a un part-time involontario. La condizione di chi lavora nel sociale (troppo sottaciuta) va affrontata a partire dal protagonismo dei lavoratori stessi: sono loro che generano, tra mille ostacoli, dal basso e spesso in solitudine, interventi e politiche per l’inclusione e l’accoglienza, la convivenza e le interazioni con le comunità.
Infine la sfida starà nel riscoprire l’anima politica del lavoro sociale: essere consapevoli che accogliere e integrare non sono azioni neutrali, ma profondamente politiche. Non è possibile generare buona accoglienza se non si parteggia per i diritti degli ultimi, a fronte di un sistema globale che produce morte e umanità di scarto. Il lavoro sociale, e il lavoro sociale con le persone migranti, assume forza trasformativa se si interroga sul come generare cambiamenti nella società volti a ridurre i divari e a promuovere più inclusione e benessere per tutte le persone in difficoltà, nel contempo agendo sulle cause strutturali delle disuguaglianze, verso un’idea di società basata sulla cura di sé, degli altri, dell’ecosistema.
Note
1 Grignoli D. Tramontano G. Migranti e inclusione sociale nel territorio molisano. Riflessioni e buone pratiche dell’accoglienza, Carocci ed., Roma 2021, p.91
2 Per approfondire: https://www.retesai.it/
3 Ibidem
4 Ibidem, p.143
5 Ibidem, p.119
6 Ibidem, p.115
7 Ibidem, p.137
8 Ibidem, p.138
9 Ibidem
10 Ibidem, p.140
11 Ibidem
12 Ibidem, p.135
13 Ibidem, p.127
14 Ibidem, p.126
15 Ibidem, p.128
16 Ibidem, p.127
17 Ibidem, p.129
18 Ibidem, p.129-135-142
19 Ibidem, p.91
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