Nello scenario sempre più tragico della guerra ai migranti un punto privilegiato di analisi è il Centro Studi e Ricerche IDOS che da vent’anni realizza uno dei dossier più importanti, l’Osservatorio sulle migrazioni a Roma e nel Lazio: dati e approfondimenti delle realtà che si occupano di migrazioni e di accoglienza diffusa ribaltano l’informazione mainstream sui migranti
26 ottobre 2023. Marjan Jamali, profuga iraniana, sbarcata a Roccella viene arrestata come scafista. Ha subito violenza sessuale durante il viaggio della speranza. Arresti domiciliari. Si è ricongiunta al suo bambino. Maysoon Majidi, attivista curda-iraniana, reporter e sceneggiatrice, detenuta dal 31 dicembre scorso nelle carceri calabre e ora a Reggio Calabria, è accusata di essere una scafista. Ha iniziato lo sciopero della fame e ha inviato una lettera al Quirinale in cui ribadisce la sua innocenza e invoca una forma di detenzione alternativa. Il giudizio è previsto il 24 luglio. «Sono solo una delle persone migranti e richiedenti asilo che fuggono da situazioni di acuta sofferenza» (In fuga dall’Iran trova l’inferno di Fulvio Vassallo Paleologo). Questi sono gli ultimi esempi della brutalità istituzionale dell’Europa e dell’Italia che inasprirà le politiche contro i migranti. D’altra parte Ursula von der Layen è stata rieletta con la promessa di un “commissario per il Mediterraneo” che assicuri un maggior impegno nei rimpatri. La proposta, che non è bastata ai conservatori dell’ECR e ha convinto verdi e socialisti, succede agli accordi con Tunisia, Libia e Egitto e al Patto su immigrazione e asilo che blinda i confini europei.
Frontex viene implementata da 10mila a 30mila unità con le più avanzate tecnologie di controllo, in coerenza con le politiche anti-migranti che hanno inaugurato la presidenza dell’Unione Europea. Si tratta di incentivare i rimpatri, «digitalizzare le situazioni e garantire che le decisioni di rimpatrio siano riconosciute in tutta Europa». Ciò significa siglare nuove intese con Tunisia, Sudan, Mali, Niger, Ciad, Nigeria e Etiopia, che però al summit di Tripoli della scorsa settimana hanno fatto sapere che in mancanza di garanzie non subiranno ricatti economici dall’Ue e da singoli stati e non permetteranno la costruzione di hub per il rimpatrio, cioè discariche umane in cui gettare corpi respinti dai paesi di origine.
Gli accordi siglati da Meloni con Tripoli dovrebbero infatti essere sospesi, come ha dichiarato il capo dei diritti umani dell’Onu, Volker Tuik. La cosiddetta guardia costiera libica è stata denunciata alla procura di Roma dalla Ong Mediterranea Saving Human per aver sparato il 4 aprile contro migranti e soccorsi nel mar Jonio. Intanto la Tunisia ha superato la Libia per numero di partenze e speronamenti volontari, accerchiamenti che causano onde alte e l’instabilità delle precarie imbarcazioni in ferro, lancio di lacrimogeni e pestaggi con bastoni e mazze d’acciaio. Nel corso degli anni Bruxelles e l’Italia hanno fornito mezzi e equipaggiamenti e tenuto corsi di formazione alla Garde Nationale tunisina.
Nello scenario sempre più tragico della guerra ai migranti un punto privilegiato di osservazione e di analisi è il Centro Studi e Ricerche IDOS che da quasi vent’anni in collaborazione con l’Istituto di Studi Politici “S. Pio V”, realizza uno dei dossier più importanti, l’Osservatorio sulle migrazioni a Roma e nel Lazio. Giunto alla 19° edizione, il rapporto fotografa con accuratezza e con ingente massa di dati e statistiche, la precaria condizione delle vittime delle frontiere: donne, uomini, ragazzi e bambini che, scampati alla morte in mare e in terra, alla detenzione e ai respingimenti, trovano supporto nelle uniche realtà che agiscono il diritto umanitario: associazioni laiche e religiose, ONG e organizzazioni sempre più criminalizzate e messe in condizione di “non nuocere”.
Curato con rigore e pazienza da Ginevra Demaio con il prezioso contributo di quasi un centinaio di redattori provenienti dall’associazionismo e dalle professioni, l’Osservatorio registra la condizione sociale, di vita, lavorativa ed educativa di “stranieri” residenti, e di emarginati, sfruttati, poveri, che diventano soggetti di accoglienza: studenti e studentesse, lavoratori e cooperanti; persone che contraddicono la perversa narrativa dell’immigrato criminale, stupratore e spacciatore, o prostituta e schiava, su cui le destre continuano a costruire consenso, aiutate in questo da una falsa, terrificante informazione.
Secondo Paolo De Nardis, presidente dell’Istituto “S. Pio V”, Roma e il Lazio sono un laboratorio di socialità orientato all’inclusione. Il dato cambia la percezione di un tessuto urbano difficile, all’interno del quale le realtà di accoglienza diffusa contestano l’informazione mainstream sui migranti considerati eterni stranieri, anche quando dopo anni hanno acquisito i diritti minimi. Parte dei nuovi residenti nel Lazio si sono stabilizzati e hanno acquisito la cittadinanza, ma la situazione è critica per i minori: al dicembre 2021 una minima percentuale dei 116mila stranieri ha la cittadinanza. D’altra parte il dato sui i flussi interni relativi ai residenti è negativo per la popolazione straniera (- 2703).
Dopo lo scoppio della guerra in Ucraina l’aumento dei profughi, registrato tramite il rilascio dei permessi di soggiorno, non ha trovato riscontro nelle registrazioni anagrafiche. C’è stato infatti un aumento complessivo dei permessi di asilo per motivi umanitari, per ricongiungimenti, per lavoro, per studio, per residenza elettiva, religione e salute, rilasciati con distribuzione di genere in prevalenza femminile.
Questa inedita realtà trova riscontro nelle pratiche di auto-aiuto femminista che, come scrivono Loretta Bondì, presidente di “Archivia” e l’antropologa Patrizia Sterpetti, rompono le barriere tra nazionalità. Le donne afghane, iraniane, palestinesi, ucraine che «vivono conflitti che non hanno provocato», trovano nel progetto “Diaspore Resistenti” con la Casa Internazionale delle Donne e Radio Bullett, voce, volto e corpi che fanno deflagrare l’isolamento delle singole diaspore.
Ma questi dati devono essere intersecati da quelli su homeless e poveri assoluti, una parte dei quali sono rubricati nel programma statistico di rilevazione della povertà estrema. Quasi il 60% dei senza dimora che vive a Roma è straniero; in ordine: rumeni, somali, maliani, eritrei, bangladesi, nigeriani, bosniaci, afghani, gambiani, etiopi. Il 44% dei senzatetto sono italiani minorenni; il 23% romeni. Gambiani e maliani per oltre il 70% hanno un’età compresa tra i 18 e i 34 anni.
L’aumento maggiore è dei minori stranieri non accompagnati che in Italia è passato dai 5mila circa del 2012 ai circa 23mila del 2023. Il grafico mostra l’impennata del diagramma dal 2020 con l’inversione repressiva e dei respingimenti a causa delle politiche dell’Unione Europea, mentre negli anni c’è stata una forte riduzione dell’arrivo di ragazze minorenni. L’accoglienza dei minori stranieri soprattutto nella Città metropolitana è diminuita dal 93% del 2012 al 60% del 2023 ed è significativo il dato che riguarda i minori egiziani titolari di permesso di soggiorno a termine: nessuno per necessità di integrazione. Il dato riverbera sulla frequenza scolastica che, complici le politiche governative degli ultimi dieci anni, ha reso sempre più arduo l’inserimento di bambini e ragazzi nel sistema di istruzione.
Lo dicono in maniera chiara Ginevra Demaio e Fabrizio Coresi. Il sistema di accoglienza in Italia e nel Lazio è fallito. La premessa è rilevante: non viviamo alcuna “invasione”. Nel 2023 nel Lazio sono state accolte circa 140mila persone (a fine 2022 erano lo 0,18% della popolazione residente). Il SAI, Sistema pubblico in capo ai comuni nel 2022 si conferma minoritario (36,7%) rispetto agli oltre 121mila posti complessivi; il resto è distribuito tra Centri di Accoglienza Straordinaria (59,7%) e centri di prima accoglienza (3,6%).
L’accoglienza viene in realtà scoraggiata dalle prefetture che hanno ridotto i bandi per la gestione dei progetti in rete seguendo le disposizioni dei “pacchetti sicurezza” varati dal 2018 ad oggi. I bandi vanno deserti, le modalità di assegnazione e di reperimento dei posti con l’applicazione di regole non sostenibili hanno creato il caos amministrativo, funzionale al taglio dei servizi e al ruolo sempre più centrale dei Centri di Accoglienza Straordinaria, tappa obbligata dal 2023 per chi chiede asilo.
Aumenta invece il ricorso agli affidamenti diretti, dal 35% nel 2020 al 66% dei primi mesi del 2023. Si tratta di importi per gare singole assegnati in assenza di pubblicità e di procedure trasparenti. Solo nei primi otto mesi del 2023 si è arrivati a oltre 83 milioni. Per ovviare alle difficoltà nel reperire i posti per i minori non accompagnati il governo ha ridotto ancora la qualità tagliando i servizi e introducendo un circuito prefettizio ancora più straordinario e procedendo così allo smantellamento del sistema.
Monica Cidda, coautrice con Claudio Tosi del saggio sul servizio civile con giovani migranti, lamenta le enormi difficoltà per il rilascio dei documenti di soggiorno. Ma alla violenta burocrazia istituzionale si oppongono vie di accompagnamento che mobilitano energie anche in assenza di risorse. É un “abbraccio silenzioso” che muove dalla disperazione alla cura e alla voglia di riscatto.
Barriere amministrative ed economiche sono state innalzate, come si sa, soprattutto per l’accesso alle cure per i migranti. Dalla sciagurata riforma del titolo V della Costituzione del 2001 che ha sancito la regionalizzazione della sanità, all’attuale autonomia differenziata, in venticinque anni di distruzione sistematica del Servizio Sanitario Nazionale, le possibilità di accesso alle cure per le persone socialmente più fragili si sono ridotte quasi a 0. Si incentiva sempre più la cosiddetta sanità integrativa, scrivono gli autori dell’articolo sulle Politiche per la salute, rispetto all’“appropriatezza prescrittiva” stretta da vincoli di efficienza standardizzata. Il de-finanziamento del SSN ha creato lunghe liste d’attesa, e la scomparsa dall’agenda italiana del PNRR delle Case di Comunità e della medicina di prossimità, ha aggravato la già insostenibile disuguaglianza di salute. Nonostante e contro questa condizione sempre più strutturale, gruppi, associazioni e organizzazioni hanno attivato risposte concrete: farmaci, visite di base e specialistiche, supporti psicologici, prestazioni diagnostiche non solo a migranti ma anche a cittadini fragili socialmente. Certo «gli ambulatori solidali sono benedetti, ma sono anche una sconfitta», dice un medico volontario. Ma le molteplici esperienze di sanità solidale sono comunque una risorsa utile nei quartieri, – considerando la necessità di costruire reti di scambio di esperienze e una collaborazione da parte di istituzioni sempre più sorde e cieche.
D’altra parte l’identità del migrante come criminale, fomentata in venticinque anni dalla politica mondiale è tra i motivi della più intensa discriminazione razziale. Eugenia Blasetti ne riporta il senso indicando la “naturalizzazione” del criminale connessa alla condizione di straniero. I processi di securizzazione indotti dall’informazione e gestiti dalle politiche governative hanno generato la figura dell’“irregolare”. Leggi e ordinanze criminogene, dalla “Bossi-Fini” ai “decreti sicurezza”, hanno assunto le gerarchie di “indesiderati” come dispositivi di governo della popolazione residente.
Uno degli esempi storici dell’infamia originaria è il CPR di Ponte Galeria, istituito con la legge Turco-Napolitano del 1998, grazie alla quale si costruivano i primi lager per migranti, divenuti centri di trattenimento e respingimento. Federica Borlizzi, avvocata, ne racconta la triste vicenda. I CPR stabiliscono uno stato d’eccezione permanente creando un sistema punitivo binario. Gli “stranieri irregolari” sono soggetti a modi di detenzione sanciti con regolamento ministeriale, a proroghe del trattenimento, a convalide in capo ai giudici di pace. Con la privatizzazione dei Centri e la gestione affidata a cooperative la situazione è peggiorata. Per le persone detenute senza aver commesso reati negli attuali Centri di permanenza per i rimpatri non valgono né le leggi dello stato, né i principi della Costituzione. Quasi nulla è l’assistenza legale e sanitaria, la gran parte dei detenuti sono tossicodipendenti psichiatrici, “curati” con dosi massicce di psicofarmaci.
A Ponte Galeria nel 2013 alcuni immigrati si cuciono la bocca per protestare contro le condizioni disumane di detenzione. A partire dalla fine del secondo decennio duemila la situazione si è aggravata: le gare d’appalto per la gestione dei centri è aperta alle multinazionali della detenzione che operano in Svizzera, Spagna e Germania. Tentati suicidi e autolesionismo continuano a verificarsi in tutti i centri, come di recente ha testimoniato Stefano Anastasia, Difensore Civico dei detenuti.
Il 4 febbraio scorso Ousmane Sylla, guineano di vent’anni si è tolto la vita nel CPR di Ponte Galeria. Trasferito da un CPR siciliano, gli era stata diagnosticata una grave forma di vulnerabilità psichica. Sia l’esperienza storica dei quarant’anni del Poliambulatorio della Caritas come le più recenti comunità sociali di accoglienza e le realtà di plurilinguismo scolastico, in pericolo per le truci politiche razziste territoriali, come le iniziative imprenditoriali autonome di immigrati e le microimprese, possono esprimere la massima potenzialità se alle pratiche di accoglienza segue la regolarizzazione dei migranti.
I gravissimi, volontari, ritardi della pubblica amministrazione, scrivono Francesco Portoghese di “A buon diritto” e Fabrizio Coresi di “Action Aid” indicano che «il modello italiano di gestione dei flussi in ingresso e di regolarizzazione è anacronistico, controproducente e criminogeno». Nel momento in cui le politiche repressive e criminogene si intensificano, è più che necessaria una lotta contro ogni luogo di detenzione. Anni fa le mobilitazioni portarono alla chiusura di molti CIE (Centri di identificazione ed espulsione). Oggi far finire la detenzione amministrativa è una delle condizioni affinché laboratori ed esperienze di accoglienza e condivisione continuino a vivere.
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