di Elettra Wave*
Il mio appartamento è sito in un palazzone, un condominio emiliano in semiperiferia, abitato dalla sofferenza: operai, disoccupati, tante famiglie di migranti. Le donne portano i segni di una fatica annosa spesa nella cura di bambini, anziani, compagni e mariti con storie di estrema difficoltà. A volte urlano, litigano, non si capiscono, non si accorgono che si assomigliano tutte.
Sono stata per ospedali per tanti anni per i miei genitori, ho provato tanto dolore, tuttavia l’essere circondata dai volti segnati da questo popolo avvilito e senza speranze, mi fa agire. Vado e vengo con le mie sportone di maestra sempre colme di libri, quaderni, errori di ortografia, frasi poetiche e frasi sconclusionate, astucci, penne e colori, documenti senza senso… e ogni giorno incontro le donne del mio palazzone che trascinano stancamente i trolley della spesa e camminano barcollando sotto il peso di ciò che le attende al ritorno a casa. Gli uomini spesso si siedono sulle sedie all’entrata del condominio. I disoccupati a testa bassa, umiliati; gli altri raccontano degli ultimi salvataggi di aziende al prezzo di ritmi di lavoro insostenibili.
Mi piace fermarmi a parlare con loro e imparo tante cose che nessun giornale, nessuno scritto, nessuna trasmissione televisiva racconta: qualche giorno fa ho incontrato la moglie non vecchia eppure già nonna di un operaio che da ben dieci mesi lotta per un’ernia al disco che l’ha reso paraplegico e dipendente da un respiratore. Mi sono vergognata perché non lo sapevo. La salutavo con simpatia, ma non mi ero mai resa conto che fosse ormai totalmente sola ad affrontare la quotidianità da sola, senza un soldo, con la stessa tuta nera di felpa in estate e in inverno. Mi ha sorriso e mi ha detto: “questa è la vita”. Poi mentre io entravo in auto, lei, a testa bassa, col suo borsone, ha proseguito il suo cammino verso il supermercato. L’ho osservata dallo specchietto retrovisore: ciondolava stancamente la testa quasi calva, ma proseguiva per la sua strada con determinazione: “la vita è questa e si deve andare avanti”.
Politica e grandi media hanno altre priorità, intanto la massa palazzoni come il mio muore ogni giorno di lavoro, di mancanza di lavoro, di schiene rotte, di indigenza…
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*maestra
Carolina dice
Ultima speranza
Ti sono accanto,
tranquilla, così è la vita
mi hai detto, è vero,
tu lo sai, l’hai toccata
e compresa.
Quanto è grande dentro te,
quanto è semplice, quanto è vera,
nomade madre, dal cuore ferito.
Inconsapevole architrave,
di un’ultima speranza
custodita nel rigonfio ventre,
accantonata ai bordi di una cadente chiesa.
Padre Santo proteggetela.