
Nei giorni scorsi il ministro dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti, ha pubblicato il Documento programmatico di bilancio per il 2023 (DPB) inviato alla Commissione europea e al Parlamento italiano. Il testo della manovra, composto da 155 articoli, è arrivato alla Camera il 28 novembre. L’iter di approvazione dovrebbe concludersi entro il 31 dicembre per evitare l’esercizio provvisorio. Nella bozza preliminare della legge di Bilancio 2023 è stato inserito un fondo di oltre 40 milioni di euro per l’ampliamento della rete dei Centri di permanenza per il rimpatrio, i così detti Cpr ex Cie (centri di identificazione ed espulsione).
All’articolo 120 (rubricato “Ampliamento della rete dei centri di permanenza per il rimpatrio – C.P.R.”) si legge infatti che per «assicurare la più efficace esecuzione dei decreti di espulsione dello straniero» il ministero dell’Interno è autorizzato ad ampliare la rete dei centri di permanenza per i rimpatri e quindi «le risorse iscritte nello stato di previsione del ministero dell’Interno relative alle spese per la costruzione, l’acquisizione, il completamento, l’adeguamento e la ristrutturazione di immobili e infrastrutture destinati a centri di trattenimento e di accoglienza sono incrementate di euro 5.397.360 per l’anno 2023, di euro 14.392.960 per l’anno 2024, di euro 16.192.080 per l’anno 2025». A questi vanno aggiunte, per ulteriori spese di gestione, «le risorse iscritte nello stato di previsione del ministero dell’interno relative alle spese per l’attivazione, la locazione, la gestione dei centri di trattenimento e di accoglienza i fondi sono incrementati di euro 260.544 per il 2023, di euro 1.730.352 per l’anno 2024 e di euro 4.072.643 per il 2025».
Già nel febbraio 2017, con il cosiddetto decreto Minniti, si era deciso che i “nuovi” Cpr sarebbero stati costruiti uno per regione per un totale di 1.600 posti e tra il 2018 e il 2021 sono stati spesi dallo Stato, secondo l’inchiesta della Cild (Coalizione Italiana Libertà e diritti civili) I buchi neri, 43.964.512,00 euro – Iva esclusa – per la gestione da parte di soggetti privati dei dieci Centri per il rimpatrio dei migranti (Cpr) attivi in Italia. Centri, lo ricordiamo, dove gli stranieri in attesa di espulsione vengono trattenuti. Insomma, una discreta somma che lievita in modo considerevole se si includono anche i costi del personale di polizia, quelli relativi alla manutenzione delle strutture e alle ristrutturazioni necessarie a ogni rivolta dei trattenuti, e i soldi per i rimpatri. Denaro pubblico speso per finanziare veri e propri luoghi di detenzione, umilianti e alienanti dove le persone vengono trattenute coattivamente.
Dalla ricerca della Cild è emerso anche che la struttura più onerosa è quella di Roma (quasi nove milioni di euro per 250 posti), seguita da quelle di Torino (sette milioni e mezzo per 180 posti) e San Gervasio, in provincia di Bergamo (sei milioni per 150 posti). La media di spesa al giorno per trattenere meno di 400 persone è di oltre 40mila euro. Un fiume di denaro in mano ad enti gestori privati non sempre di specchiata trasparenza e integrità.
La storia della cooperativa sociale di Padova Edeco ad esempio, è arrivata alle cronache nazionali a seguito di inchieste giudiziarie e interrogazioni parlamentari, dopo che nel gennaio 2017 una richiedente asilo della Costa d’Avorio di venticinque anni è morta per problemi di salute all’interno del Cpr di Gradisca d’Isonzo. La cooperativa che lo gestiva ha cambiato nome più volte negli anni: Eco-officina, poi Edeco e ancora Per voi cooperativa sociale e infine nel 2019, Tuendelee. Intestazioni diverse ma stessi dirigenti e gestori. È sempre Edeco che ha gestito il centro per l’accoglienza dei migranti di Cona, nell’ex base militare in provincia di Venezia presso la frazione di Conetta. Lì, tra il 2015 e il 2018, sono stati ammassati, in condizioni disumane e senza assistenza, fino a 1.600 persone. Nel giugno 2019 vengono rinviati a giudizio due viceprefetti, una funzionaria della prefettura di Padova e i vertici di Edeco per i “reati di turbativa d’asta, frode nelle pubbliche forniture, corruzione, abuso d’ufficio, rivelazione del segreto d’ufficio, falso”. Nello specifico i gestori sono accusati di aver certificato il falso sul numero di operatori e personale sanitario in servizio, violando gli obblighi contrattuali e procurandosi un ingiusto profitto per oltre 200 mila euro, e di aver concordato con l’ex prefetto Cuttaia e i funzionari le visite al centro, per dimostrare che tutto veniva svolto secondo il regolamento.
La vicenda emblematica di Edeco non è purtroppo l’unica nel settore della gestione dei Cpr. La vicenda di Moussa Balde, ventitré anni, morto suicida nel Cpr di Torino nel maggio 2021, ha squarciato il velo sulle condizioni in cui vivono gli “ospiti” dei centri. Il ragazzo, dopo un atroce pestaggio era stato stato portato in ospedale, poi in commissariato a Ventimiglia, in Questura ad Imperia e infine gli fu notificato il decreto di espulsione e trattenimento. Smarrito, malconcio e disorientato, Moussa arrivò quindi nel Cpr di Corso Brunelleschi a Torino. Dopo pochi giorni, il 23 maggio, Moussa si tolse la vita all’interno del cosiddetto “Ospedaletto”, l’area di “isolamento” del Cpr di Torino. Il 14 giugno il Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà denunciò come degradante e inumano l’alloggiamento all’interno delle celle dell’Ospedaletto e ne richiese l’immediata chiusura. La Procura di Torino ha aperto un’indagine, che è ancora in corso, sul funzionamento del Centro per il rimpatrio del capoluogo piemontese. Sempre nell’Ospedaletto, nel luglio 2019 è morto Faisal Hussein dopo diversi mesi di isolamento. Il suo “reato” come quello di molti altri ospiti di questi lager è stato soltanto quello di essere un migrante senza documenti.
La gestione privata dei Cpr è ovunque altamente rischiosa e problematica. Condizioni igieniche terribili, assistenza medica spesso assente o insufficiente, utilizzo massiccio di psicofarmaci, cibo insufficiente e scadente, portano a episodi di autolesionismo e forte alienazione. «La realizzazione di altri centri non farà che perpetrare lo sperpero di soldi e la sistematica violazione dei diritti umani, senza garantire in alcun modo una gestione del fenomeno migratorio efficace e pragmatica…» conclude la Cild.
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I DATI SUI CPR Attualmente risultano attivi dieci Centri di Permanenza per i Rimpatri (Milano, Torino, Gradisca d’Isonzo, Roma, Palazzo San Gervasio, Macomer, Brindisi-Restinco, Bari-Palese, TrapaniMilo, Caltanissetta-Pian del Lago), con una capienza di circa 1.100 posti. Nel 2021 sono transitati all’interno dei centri attivi in Italia circa 5mila persone e ne sono state espulse meno del 50% (2.519). Un dato che è rimasto costante nel corso degli anni nel 2019 il 48,3%, nel 2020 il 50,9%. Nel dossier sui Cpr della Cild (pdf) si evidenzia che tra il 2018 e il 2021 sono stati spesi 44 milioni di euro per sostenere una gestione privata della detenzione amministrativa che “ha ampiamente dimostrato la sua inefficacia ed improduttività in termini di effettivi rimpatri eseguiti (meno del 50% dei trattenuti) e che non garantisce i diritti fondamentali dei trattenuti”. Una media giornaliera di spesa pari a 40.150 euro per detenere mediamente meno di 400 persone al giorno (dalle 192 persone presenti al 22 maggio 2020 alle 455 presenti al 20 novembre 2020) per poi constatare che soltanto nel 50% dei casi si realizza lo scopo della detenzione senza reato.
RIMPATRI FORZATI Nel 2021 il rapporto del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale (Gnpl) ha fornito i dati sui rimpatri forzati che a settembre 2021 sono stati 2.226, più della metà verso la Tunisia (1.159). Gli altri principali Paesi di destinazione sono stati l’Albania (462) e l’Egitto (252). Il 61,2% dei rimpatri sono stati operati tramite voli charter con scorta a bordo, il 12,3% con voli commerciali con scorta e il 26,5% con voli commerciali senza scorta (al 58% verso l’Albania). Per quanto riguarda i 71 voli charter per 1.362 persone, 1.105 sono state quelle rimpatriate in Tunisia, 227 in Egitto, e 30 in Georgia. Bisogna considerare che per ogni volo i costi sono altissimi: secondo il report “per ogni charter vengono imbarcati 30 immigrati, più due agenti di scorta per ciascuno, altre 60 persone. Oltre al capo-scorta, al medico, al rappresentante del Garante. Circa 110 persone, più il costo dell’affitto dell’aereo” (pdf). EuroMed Rights – un network che rappresenta 65 organizzazioni per i diritti umani presenti in trenta paesi del Mediterraneo – ha stilato un rapport nel 2021 dal titolo emblematico: “L’ossessione dei rimpatri. Mappatura di politiche e pratiche nella regione Euro-Mediterranea” dove si evidenzia come proprio dal 2020 l’Europa abbia iniziato un percorso pericoloso verso una strategia di respingimenti su diversi fronti. Con il pretesto del Covid-19, la UE ha rafforzato le politiche di rimpatrio e limitato la libertà di movimento. Lo studio rileva che nel Nuovo Patto UE sull’Asilo e la Migrazione presentato a settembre 2020 dalla Commissione Europea, viene introdotta la pericolosa proposta della “sponsorizzazione dei ritorni” presentata come forma di solidarietà europea, e vengono esaltati il concetto di “paesi terzi sicuri” e il ruolo di Frontex. Tra i paesi considerati sicuri dalla maggior parte degli stati membri UE ci sono Marocco e Tunisia anche se nessuno dei due ha una legge sull’asilo né protegge veramente i migranti, richiedenti asilo e rifugiati. Il numero crescente di rimpatriati negli accordi di riammissione, sia per la Tunisia che per il Marocco, evidenziano la mancata considerazione dei bisogni individuali e delle possibili vulnerabilità. Allo stesso tempo, nel codice dei visti si invita a collegare la concessione del visto alla cooperazione sulle riammissioni di un paese terzo. Il che significa molto semplicemente che la circolazione dei cittadini potrebbe dipendere dalla disponibilità o meno del loro paese di origine di riaccoglierli qualora si verificassero le condizioni di espulsione in Ue. Dalle testimonianze raccolte non sembra esistere alcun tipo di assistenza ai rimpatriati e in stati quali la Siria e l’Egitto il rischio di essere perseguitati, arrestati, detenuti, torturati e/o scomparsi al ritorno è altissimo e ovviamente ben noto.
Si.. è proprio come avete scritto voi, questi centri sono come delle prigioni…
Capisco che accogliere i migranti è difficile ed inutile, visto che sono troppi, ed è difficile l’integrazione per tutti…