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L’officina non è vuota

Monica Di Sisto
26 Febbraio 2013
Gli operai occupanti della Rail Service Italia, ex Wagon Lits, abbracciati ai ragazzi del vicino centro sociale Strike, del Cinema Palazzo, del laboratorio urbano Reset, di tanti comitati di quartiere e non, hanno festeggiato il compleanno della loro occupazione nel centro sociale per ribadire che non se ne andranno

di Monica Di Sisto

«Siamo ancora qui, è passato un anno. E se fossimo rimasti da soli non credo saremmo durati tanto. Sono anche sicuro di una cosa: che se qualcuno si presentasse ai cancelli delle officine per buttarci fuori troverebbe tutto il quartiere, ma anche tantissime altre persone che difenderebbero questa esperienza».

L. ha sessant’anni, buona parte passati a lavorare nelle officine di Casalbertone (periferia est di Roma), dove la Rail Service Italia (Rsi), ex Wagon Lits, si occupava della manutenzione dei Treni notte. Il 20 febbraio 2012 Lorenzo e gli altri lavoratori in cassa integrazione hanno deciso di occupare, per impedire che un patrimonio tecnico, di esperienza e di lavoro di utilità pubblica venisse distrutto per far posto all’ennesima speculazione edilizia, in un quartiere già invaso dal cemento privato e senza servizi pubblici. Si perché la Costa Masnaga Sistemi Ferroviari – questo è oggi il nome della Rsi – che avrebbe dovuto risollevare le sorti dell’azienda, in realtà è in liquidazione volontaria d ha chiesto la messa in mobilità per tutti i lavoratori. Per questo il 20 febbraio di un anno fa le officine di via Umberto Partini da «ospedale dei treni» di Roma sono diventate il simbolo cittadino del massacro del sistema produttivo cittadino e della resistenza alla speculazione.

Lorenzo e gli altri operai occupanti, abbracciati dagli attivisti del vicino centro sociale Strike, del Cinema Palazzo, del laboratorio urbano Reset, di tanti comitati di quartiere e non, hanno festeggiato il 20 febbraio il compleanno della loro occupazione nel centro sociale per ribadire che non se ne andranno, non si arrenderanno a vedere l’ennesima azienda perfettamente funzionante mandata a perdere da un management irresponsabile e impunito. Dopo due anni in cassa integrazione, infatti, con i pagamenti arretrati di nove mesi, quando Trenitalia ha deciso di chiudere il servizio dei Treni notte, i lavoratori dell’ex Rsi si sono uniti alla protesta degli ottocento licenziati in tutta Italia che, da Milano a Palermo, protestavano contro le decisioni di Moretti e il silenzio del governo. La nuova proprietà (Barletta Srl) ha da tempo bloccato la produzione e vuole dismettere la fabbrica per realizzare – si vocifera – abitazioni, centri commerciali o forse un albergo.

Si cena insieme, guardando documentari sulle fabbriche recuperate argentine, in sottofondo le canzoni dei piqueteros, e si fa il punto della situazione, dopo un anno di proteste e manifestazioni al Comune, alla Regione, all’Inps. Il Comune di Roma, che aveva più volte ipotizzato, in accordi e incontri sindacali, una ricollocazione di tutti i lavoratori Rsi in Atac o in altre aziende del settore, al momento si è dato alla macchia. L’Inps, è la buona notizia, ha iniziato a pagare la cassa integrazione straordinaria, che continua però ad essere pagata con discontinuità a causa della mancata fornitura da parte dell’azienda della documentazione necessaria a norma di legge. La Regione Lazio, altra buona notizia, al termine delle cassa integrazione straordinaria, ha firmato un accordo per la cassa integrazione in deroga per tre mesi più quattro, che portano, dunque, la protezione sociale di questi lavoratori e delle loro famiglie fino ad aprile 2013.

«Questi parziali risultati li abbiamo ottenuti solo grazie all’attenzione mediatica e politica che la nostra mobilitazione ha creato e al sostegno sociale intorno a noi», hanno sottolineato i lavoratori, che hanno raccolto il supporto e la partecipazione attiva di un’ampia rete sociale a Casalbertone, a Roma e in giro per il mondo. A guardare dalle finestre la fabbrica vuota di treni da riparare, ma piena di progetti, tutto sembra logico tranne tornare a casa e rinunciare. «Davanti a me ne siete tanti di precari – dice per esempio F., cinquant’anni, un altro dei protagonisti dell’occupazione – e lavoratori d’esperienza come me vi potrebbero insegnare un mestiere che noi ci siamo costruiti prima a bottega, e poi qui nelle officine». Si perché alla Rsi i treni non li riparavano soltanto: se c’era bisogno si costruivano da capo, dai divani ai pannelli elettronici, dalla meccanica alle rifiniture. Tra le pieghe della cassa integrazione e dell’abbandono, però, tutto questo patrimonio di fatica e di competenza al momento è paralizzato, sprecato. «Io il mestiere di tappezziere l’ho imparato a bottega da mio padre – continua F. – e ancora prima da un calzolaio. Quando io cercavo di capire come faceva i tacchi, le suole, lui si nascondeva, aveva paura che gli rubassi il mestiere. Qui, invece, ci sarebbero le macchine, e tutta la nostra volontà di insegnare quello che sappiamo a chi di voi volesse impararlo. Perché con la crisi non esistono più i garantiti e i non garantiti. Siamo tutti nella stessa barca e ci dobbiamo unire e aiutare reciprocamente».

La serata si chiude dolce: un operaio ha fatto un corso di cake design e ha creato per l’occasione una torta a forma di vagone di treno (foto). Buonissima e perfetta, dettaglio per dettaglio. Come molto dettagliata la piattaforma dei prossimi mesi di lotta: pagamento della cassa integrazione e degli stipendi arretrati, reimpiego di tutti i lavoratori, ri-utilizzo produttivo delle officine per creare lavoro. Insieme al rinnovo della cassa integrazione bisogna impedire che l’azienda proceda con i piani di sgombero e vendita dell’area e costruire un piano alternativo e sostenibile di utilizzo produttivo delle officine. A Casalbertone le idee non mancano, a tutti noi la volontà di sostenerle.

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