Come le donne che lottano e non lasciano la loro liberazione per un domani che può o meno arrivare, gli zapatisti non aspettano che “la rivoluzione” superi il capitalismo, e proprio in un momento di grande oscurità per tutti i movimenti del mondo propongono qualcosa di nuovo, il “comune”, come via d’uscita da questa difficile situazione. Scrive Raúl Zibechi “Credo che si tratti di una proposta e di una realtà profondamente rivoluzionarie, di una portata che non possiamo ancora misurare, perché non esiste nulla di simile nei movimenti rivoluzionari conosciuti nel corso della storia”

Il recente incontro convocato dall’EZLN, “Incontri Internazionali di Resistenza e Ribellione”, ci ha permesso di conoscere più a fondo e in modo più dettagliato la proposta del “comune”, che avevano già avanzato un anno fa. Per quelli di noi che non hanno potuto partecipare all’incontro, è stato importante ascoltare i comandanti del Comitato Indigeno Rivoluzionario Clandestino (CCRI) e diverse autorità delle assemblee collettive dei governi autonomi zapatisti, nonché il subcomandante Moisés che hanno spiegato la genealogia dei “comune zapatista”.
Nello stesso incontro hanno riaffermato molto chiaramente il loro rifiuto della guerra. “Non vogliamo la guerra che fa il sistema capitalista”, ha detto Moisés, sottolineando ciò che stanno costruendo nei territori zapatisti. La frase “il sistema capitalista non ci costringerà a fare la guerra” insegna non solo il rifiuto di seguire l’agenda del sistema, ma mostra anche che hanno un proprio calendario dal quale non si discosteranno.
Vorrei approfondire un aspetto del “comune”. Non intendo spiegare di cosa si tratta, poiché buona parte dell’incontro è ruotato attorno ad esso, e credo che le spiegazioni fornite rendano superflua ogni precisazione. La questione che mi sembra rilevante è che lo zapatismo propone qualcosa di così radicale e così profondo, così contrario a ciò che fanno i movimenti, che sorprende positivamente e induce alcune riflessioni.
È evidente che il settore antisistemico, anticapitalista ed emancipatore sta attraversando un periodo oscuro di guerre, catastrofi e repressioni. È uno dei momenti peggiori per le lotte di quelli che sono in basso, poiché non ci sono cambiamenti fondamentali all’orizzonte, ma piuttosto nuove tormente. In tempi come quello attuale, la prassi è il ritiro più o meno ordinato delle forze ribelli.
In America Latina abbiamo visto che quando la destra è avanzata, i rivoluzionari si ritirano, abbandonano la lotta, intraprendono “negoziati di pace” e si limitano ad avventurarsi solo in quei campi accettati dai vertici, come ad esempio il gioco elettorale nel quale non viene chiarito nulla di importante. Coloro che già puntavano sull’aspetto giuridico/elettorale, si girano sempre più a destra, mantengono un discorso apparentemente di sinistra ma portano avanti la politica che conviene al capitale, cioè contribuiscono al saccheggio. Ciò è avvenuto con la guerriglia centroamericana e colombiana, ma anche con il progressismo. Ecco perché il panorama attuale è così desolante, al punto che la maggior parte dei movimenti si limita a sostenere governi e partiti progressisti.
L’EZLN, al contrario, non si tira indietro, non abbandona i suoi principi e non entra nel gioco del sistema. Tutt’altro, pur avendo tutto contro, sta facendo un enorme passo avanti promuovendo il “comune”, non come orizzonte, ma come pratica viva e concreta nei territori dove vivono e resistono le basi di appoggio. Nel momento di più grande oscurità, quando la stragrande maggioranza ha perso ogni speranza, lanciano una sfida fenomenale, superano non solo la proprietà privata, ma anche la proprietà comunale, cioè ogni idea di proprietà.
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Com’è possibile che una forza politica sferri un’offensiva profonda, proprio nel momento in cui si sta registrando il più grande avanzamento del sistema? A prima lettura sembra una contraddizione. Si tratta però di coerenza etica e politica. Proprio come le donne che lottano e non lasciano la loro liberazione per un domani che può o meno arrivare, gli zapatisti non aspettano che “la Rivoluzione” superi il capitalismo, proponendo il “comune” come via d’uscita da questa difficile situazione.
È l’etica che li ha portati a sciogliere strutture come le Giunte di buon governo, anche se erano di loro creazione, perché sono giunti alla conclusione che non erano più utili per raggiungere gli obiettivi prefissati. Potrebbero accontentarsi del nuovo mondo che stanno costruendo, con cliniche, scuole, ospedali e altri spazi. Tuttavia, si preparano ad affrontare la tormenta approfondendo ciò che già sono: ribelli che resistono al capitalismo mentre costruiscono il nuovo.
Se per resistere alla tormenta era necessario tagliare la “dannata piramide”, come disse Moisés un anno fa, per continuare a costruire il nuovo sembrava necessario cominciare a lavorare sul “comune”. Credo che si tratti di una proposta e di una realtà profondamente rivoluzionarie, di una portata che non possiamo ancora misurare, perché non esiste nulla di simile nei movimenti rivoluzionari conosciuti nel corso della storia.
Con questa proposta, lo Zapatismo continua il suo processo di trasformazione, di continuazione dei cambiamenti, un processo senza fine, come indica la storia del vecchio Antonio secondo cui la lotta è come un cerchio, che comincia in un punto ma non finisce mai. Credo che nel corso degli anni valuteremo il “comune” come una profonda svolta anticapitalista, come l’inizio di una nuova costruzione a lungo termine sulla base delle creazioni precedenti.
Pubblicato su La Jornada e qui con l’autorizzazione dell’autore. Traduzione di Comune. Raúl Zibechi ha aderito alla campagna Partire dalla speranza e non dalla paura.
Sarebbe importante che il movimento zapatista si agganciasse al Confederalismo Democratico del Nord Est della Siria che è anti sistema in modo radicale ( contro il capitalismo, per l’ecologia e la liberazione delle donne) e che in questo momento è sotto pesante attacco da parte del governo turco nell’indifferenza/ approvazione di tutto l’Occidente.