Milizie civili armate fino ai denti, il cartello narcos dei Cavalieri Templari, legioni di agenti di polizia e soldati dell’esercito federale. Tutti contro tutti, in una sfrenata esibizione di violenza che ricorda le fasi iniziali della mattanza colombiana, roba da trentamila morti l’anno. Dietro la nebbia creata soprattutto dai media, si percepiscono due realtà evidenti. La prima è un disegno che mira a “paramilitarizzare” il territorio modificando gli equilibri delle terre e delle forze in campo per modellare il business criminale in una forma manovrabile dallo Stato. La seconda è che in Messico (e altrove) siamo sprofondati in una melma sociale politica nella quale risulta impossibile distinguere fra il mondo del crimine e quello delle istituzioni
di Gustavo Esteva
“Non ci capisco più nulla”. Lo dice la gente comune come gli analisti e gli esperti. I media ripetono continuamente questo messaggio, anche quando provano a capirci qualcosa. In parte si tratta di una situazione incomprensibile. Gli apprendisti stregoni che in questi anni hanno occupato posizioni di governo hanno prodotto un groviglio che è sfuggito loro di mano. Zone dello Stato di Michoacán si trovano oggi nella peggiore situazione di guerra civile, mentre nessuno sa più contro chi sta lottando e le fazioni in lotta si fanno confuse. Sebbene le mani che ci hanno portato a questo punto siano state molte, così come è evidente che noialtri glielo abbiamo permesso, è indubbio che l’incompetenza e l’irresponsabilità criminale di Calderón siano state determinanti in una situazione in cui perfino gli stessi protagonisti principali sono confusi e perdono il loro carattere e la loro identità. Nessuno è ciò che sembra essere. Le “autodefensas” (gruppi di civili che autonomamente si armano per difendere le comunità, ndt) non sono la polizia comunitaria della tradizione indigena. Autorità, militari o polizia non sono in realtà più tali. E così tutti.
C’è tuttavia anche una nostra resistenza al comprendere. Il meccanismo freudiano della negazione può essere più forte di ogni evidenza.
Dentro e fuori al governo si proclama il desiderio di ristabilire lo stato di diritto. Si dice anche che esiste uno “stato di eccezione” non dichiarato, per cui sarebbe necessario eliminarlo oppure dichiararlo per ristabilire una qualche forma di normalità. Tutto questo, amplificato dai media, produce cortine di fumo che cercano di occultare il sole con un dito e impedire che si veda la nudità dell’imperatore.
Già da tempo ho affermato su queste pagine che siamo caduti in una specie di melma sociale e politica. Così come la melma non appartiene né al mondo terrestre né a quello acquatico perché sta in entrambi, noi viviamo in un regime in cui risulta impossibile distinguere con chiarezza fra il mondo del crimine e quello delle istituzioni. Questo fatto raccapricciante, che continuiamo a negare, è così pericolosamente evidente nel Michoacán che produce uno sforzo multiforme e frustrante di occultamento.
Quegli sforzi producono il contrario di quello che vogliono, perché l’ipotesi che sia impossibile liberarsi di questa melma ha sempre più fondamento. Le istituzioni sono state contaminate a tal punto dalla logica del crimine, il cui catalogo è senza fine, che l’unica opzione effettiva è smantellarle per costruirne altre. Questa è la conclusione a cui è giunto un numero crescente di persone. Per molta gente, però, specie nella classe politica, accettare questo fa più paura del violento scontro attualmente in atto, uno scontro che non arrivano a capire e ancor meno ad arginare e risolvere. Per questo rifiutano le prove dell’evidenza.
Come ci ha insegnato Agamben, lo stato di eccezione è un’espressione legale per definire l’illegalità: si usa la legge per cancellarne la vigenza. Per dichiararlo, è necessario che la legge sia vigente e che nella società in cui si dichiara lo stato di eccezione prevalga lo stato di diritto. Non è il nostro caso. Per molto difficile che sia accettare il fatto che in Messico si sia perduta questa condizione, sarebbe molto più difficile dimostrare che viviamo in un mondo di leggi e che fra noi vengano rispettate le norme e le condizioni che definiscono uno stato di diritto. È certo che il Messico non abbia mai potuto costruirsi in questo modo. Non abbiamo le attitudini e i comportamenti propri di uno stato di diritto. Qui non funziona correttamente la disobbedienza civile, perché suo requisito e pre-condizione è un’obbedienza civile di cui siamo carenti. Mai, tuttavia, eravamo giunti all’estremo livello attuale.
C’è qualcosa in più, di gravità ancor maggiore. Il progetto dello Stato-nazione ha attribuito al governo il monopolio della violenza legittima affidandogli il compito di proteggere la gente e di mantenere l’ordine sociale. Protego ergo obligo, diceva Hobbes. Il governo può imporre obblighi ed esigere obbedienza perché assolve il compito della protezione.
Non ci troviamo in questa situazione. Come è clamorosamente evidente nel Michoacán, il governo è carente sia del monopolio della violenza come della legittimità. Lungi dall’assolvere il compito della protezione, si è tramutato in imprenditore della violenza e genera una crescente incertezza. Il dispiegamento spettacolare di forza militare e poliziesca mostra la sua debolezza, l’estrema fragilità delle istituzioni di governo, la perdita di potere politico. Come diceva Napoleone, le baionette servono per molti scopi, ma non per sedervisi sopra. Non si può governare con l’esercito e la polizia.
Per trovare delle opzioni reali, è necessario cominciare col riconoscere ciò che rifiutiamo di vedere. Michoacán è uno specchio nel quale possiamo scrutare ciò che ci attende se non agiamo con chiara consapevolezza delle sfide che abbiamo di fronte.
Traduzione di Camminar domandando
Fonte: La Jornada
Gustavo Esteva vive a Oaxaca, in Messico. I suoi libri vengono pubblicati in diversi paesi del mondo. In Italia, sono stati tradotti: «Elogio dello zapatismo», Karma edizioni: «La Comune di Oaxaca», Carta; per l’editore Asterios gli ultimi tre: «Antistasis. L’insurrezione in corso»; «Torniamo alla Tavola» e «Senza Insegnanti». In Messico Esteva scrive regolarmente per il quotidiano La Jornada ma i suoi saggi vengono pubblicati anche in molti altri paesi. In Italia collabora con Comune.
Gli altri articoli di Gustavo Esteva su Comune-info li trovate qui.
Un commento alla foto di Aldo Zanchetta
Se quello che accade in Messico accadesse in Cina o in Unione Sovietica o a Cuba i nostri giornali riempirebbero paginate e il quartetto Renzi/Letta/Alfano/Berlusconi perderebbe un po’ della sua esclusiva mediatica. La guerra fra esercito, polizia e narcotrafficanti ha coinvolto uccidendoli alcune decine di migliaia di cittadini negli ultimi 4 anni trovatisi nel mezzo di una guerra dove non è chiaro da che parte sta la corrottissima polizia e oggi il corrotto esercito per cui oggi è difficile dire chi è contro chi, visti anche gli interessi dei governanti.
Non è un romanzo di fantascienza. E’ il Messico. Così in molte comunità la popolazione ha organizzato “grupos de autodefensa” per proteggersi dagli uni e dagli altri. In questi giorni la situazione è particolarmente grave nello stato di Michoacan dove i groupos de autodefensa si scontrano quotidianamente armi in mano con gli uomini della cosca dei “Caballeros Templares” con un certo numero di morti. Non dubitiamo che queste unità non usino mezze misure nella loro autodifesa, tanta è la loro esasperazione.
Non dimentichiamo che il Messico è il paese di Villa e Zapata, la prima grande rivoluzione sociale del XX secolo, anteriore a quella sovietica.
Da giorni i vari grupos de autodefensa stanno marciando verso la città di Apatzingán, ostacolati in tutti i modi dai Templares. E finalmente il governo sta inviando contingenti militari. A difesa di chi?
Questa foto di uno dei grupos de autodefensa vale più di ogni discorso.
DA LEGGERE
I gruppi di “autodifesa” del Michoacan non depongono le armi
L’esercito messicano si scontra con le milizie nello Stato del Michoacan
Michoacan, tra la manipolazione dello Stato e il crimine organizzato di Adazahira Chavez Desinforménos
DA VEDERE
José Manuel Mireles, leader de las “autodefensas” collabora con il governo
[youtube]https://www.youtube.com/watch?v=eMSAIj-kqq4[/youtube]
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El espejo michoacano (en castellano)
di Gustavo Esteva
Ya no entiendo nada. Lo dice la gente común lo mismo que los analistas y los expertos. Los medios reproducen continuamente este mensaje, incluso cuando pretenden entender algo.
Se trata en parte de una situación incomprensible. Los aprendices de brujo que en estos años ocuparon posiciones de gobierno produjeron un enredo que se escapó de sus manos. Porciones de Michoacán se encuentran ahora en el peor tipo de guerra civil, cuando nadie sabe ya contra quién está luchando y se desdibujan las facciones en pugna. Aunque muchas manos nos llevaron a este punto y nosotros lo permitimos, es indudable que la incompetencia e irresponsabilidad criminal de Calderón fueron determinantes en una situación en que hasta los principales protagonistas están confusos y pierden su carácter e identidad. Nadie es lo que parece ser. Las autodefensas no son policías comunitarias de la tradición indígena. Autoridades, militares o policías no lo son realmente. Y así todos.
Pero se trata también de nuestra resistencia a comprender. El mecanismo freudiano de la negación puede ser más fuerte que toda evidencia.
Dentro y fuera del gobierno se proclama el deseo de restablecer el estado de derecho. Se habla también de que existe un estado de excepción no declarado, por lo que importaría levantarlo o declararlo para restaurar alguna forma de normalidad. Todo esto, amplificado por los medios, forma cortinas de humo que intentan tapar el sol con un dedo e impedir que se vea la desnudez del emperador.
Desde hace tiempo he sugerido en este espacio que hemos caído en una forma de lodo social y político. Del mismo modo que el lodo no pertenece al mundo terrestre ni al acuático porque está en los dos, vivimos en un régimen en que resulta imposible distinguir con claridad entre el mundo del crimen y el de las instituciones. Este hecho espeluznante, que seguimos negando, es tan peligrosamente evidente en Michoacán que genera un esfuerzo múltiple y frustráneo de ocultamiento.
Esos empeños producen lo contrario de lo que buscan, porque tiene cada vez mayor fundamento la hipótesis de que se ha vuelto imposible deshacerse de ese lodo. Las instituciones han sido a tal grado contaminadas por la lógica del crimen, cuyo catálogo es interminable, que la única opción efectiva es desmantelarlas, construir otras. Tal es la conclusión a que ha estado llegado un número creciente de personas. Para mucha gente, empero, particularmente en las clases políticas, aceptar esto es más intimidante que el violento enredo actual que no logran entender y mucho menos encauzar y resolver. Por eso rechazan las pruebas de la evidencia.
Como nos ha estado enseñando Agamben, el estado de excepción es una fórmula legal para la ilegalidad: se usa la ley para suprimir su vigencia. Es requisito para declararlo que la ley esté vigente, que en la sociedad en que se declara el estado de excepción prevalezca el estado de derecho. No es nuestro caso. Por muy difícil que sea aceptar que en México se ha perdido esa condición, mucho más difícil sería demostrar que vivimos en un mundo de leyes y que se cumplen entre nosotros las normas y condiciones que definen un estado de derecho. Es cierto que México nunca pudo construirse de esa manera. No tenemos las actitudes y comportamientos propias de un estado de derecho. No funciona bien aquí la desobediencia civil, porque su requisito y precondición es una obediencia civil de la que carecemos. Pero nunca se había llegado al extremo actual.
Hay algo más, de mayor gravedad aún. El diseño del Estado-nación atribuyó al gobierno el monopolio de la violencia legítima al asignarle la función de proteger a la gente y mantener el orden social. Protego ergo obligo, decía Hobbes. El gobierno puede imponer obligaciones y exigir obediencia porque cumple la función de protección.
No estamos ahí. Como se hace espectacularmente evidente en Michoacán, el gobierno carece tanto del monopolio de la violencia como de legitimidad. Lejos de cumplir la función de protección, se ha convertido en empresario de la violencia y causa creciente incertidumbre. El despliegue espectacular de fuerza militar y policiaca exhibe su debilidad, la extrema fragilidad de las instituciones de gobierno, la pérdida de poder político. Como decía Napoleón, las bayonetas sirven para muchas cosas, pero no para sentarse en ellas. No se puede gobernar con el Ejército y la policía.
Para encontrar opciones reales, necesitamos empezar por reconocer lo que nos resistimos a ver. Michoacán es un espejo en que podemos ver lo que nos espera si no actuamos con conciencia clara de los desafíos que enfrentamos.
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