di Emanuele Greco*
E’ trascorso ormai parecchio tempo da quando nel 2012 due fucilieri della marina italiana, a seguito della presunta uccisione di due pescatori indiani a largo della costa del Kerala, sono stati arrestati e trattenuti dalle autorità di questo Stato con l’accusa di omicidio, motivo per cui l’Italia è, tuttora, impegnata nella risoluzione di una delle crisi diplomatiche più difficili che abbiano mai coinvolto il bel paese.
L’episodio ha avuto una risonanza mediatica notevole ed è stato accompagnato da un crescente nazionalismo che trasversalmente è stato esibito da autorità politiche, istituzionali e della società civile attraverso la pretesa, in prima istanza, dell’immediata liberazione dei propri compatrioti e, in subordine, attraverso la rivendicazione di migliori garanzie processuali.
Seppur sia certamente legittimo e doveroso adoperarsi per la tutela dei propri concittadini all’estero in ogni circostanza, specie se servitori dello Stato, bisogna evidenziare come la vicenda sia la conseguenza di un modus operandi tutto ‘italiano’, che alla prevenzione delle crisi e all’efficienza del sistema paese, preferisce l’approssimazione delle soluzioni; che di fronte ai problemi che da questa scaturiscono, abbandona l’obbiettività e la coerenza a favore di reazioni scomposte e contrastanti.
Molto è già stato detto, sia sugli eventi sia sulle eventuali conseguenze cui andranno incontro i due militari, tant’è che appare superfluo un’ulteriore disamina dei fatti. Più utile, invece, è fare un passo indietro nel tempo e chiedersi il perché i militari fossero presenti a bordo di una nave mercantile privata in quel particolare spazio di mare, ma soprattutto chiedersi: tale situazione era prevedibile oppure si sarebbe potuta evitare?
Nel fare ciò l’Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo di Roma ha condotto una ricerca sulla normativa che prevede la possibilità di destinare Nuclei Militari di Protezione a bordo delle navi mercantili italiane in funzione anti-pirateria, spiegandone le ragioni, i limiti e le modalità d’impiego.
Dall’analisi, piuttosto articolata ed effettuata attraverso un metodo tecnico e puramente descrittivo, emergono, tuttavia, alcune considerazioni e perplessità, che dal punto di vista giornalistico non possono essere ignorate. Innanzi tutto, è sconcertante constatare come il caso dell’Enrica Lexie abbia fatto emergere dal silenzio dei mass media italiani un argomento di cui, fin dall’iter parlamentare di approvazione delle leggi che lo riguardano, si è parlato pochissimo e che, ancora una volta, testimonia il poco interesse dell’opinione pubblica e degli operatori dei media verso le problematiche internazionali.
Evidentemente la pochezza di dibattito sull’argomento ha permesso di adottare provvedimenti normativi che, se non nell’intenzione, contengono molti elementi di superficialità o, in altre parole, di miopia strategica, che espongono il Paese a rischi e conseguenze legali che il caso Enrica Lexie esemplifica in tutta la sua gravità. La contemporanea presenza a bordo di una nave civile di funzionari con ruoli diversi, seppur ben definiti (il Comandante della nave e il Comandante degli NMP), poteva quantomeno lasciar presagire in sede parlamentare che potessero nascere sovrapposizioni in ordine alle decisioni circa le operazioni da effettuare nel caso di incidente o di attacco pirata e dalle quali avrebbero potuto verificarsi vere e proprie crisi di governo.
Il comandante dell’Enrica Lexie, infatti, decidendo di rientrare nel porto di Kochi, pur essendo legalmente legittimato a fare questa manovra, avrebbe di fatto interferito con operazioni che riguardano la sfera militare, permettendo alle autorità indiane di arrestare i due marò. Peraltro l’arresto, obiettivamente, appare essere né totalmente corretto né totalmente scorretto, poiché, secondo la ricerca citata, le parti in causa hanno esibito, a sostegno della legittimità delle proprie azioni, ragioni di diritto internazionale che seppure contrapposte sembrerebbero ugualmente valide a causa della mancanza di accordi specifici che evitino preliminarmente conflitti di giurisdizione tra paesi. Ancora una volta la strumentalizzazione in Italia dei fatti e delle azioni delle autorità indiane lascia totalmente perplessi. Come al solito, è sempre meglio accusare gli altri che analizzare i propri errori. Forse sarebbe più corretto affermare che quei militari sulla nave italiana non avrebbero dovuto esserci, o meglio, che avrebbero dovuto esserci a condizioni diverse.
L’impiego dei militari sui mercantili, infatti, oltre che un efficace deterrente e strumento di contrasto del fenomeno della pirateria, costituisce per il Ministero della Difesa un profittevole business, poiché avviene a spese degli armatori. Il guadagno, infatti, è circa 500 euro per marò imbarcato per ogni giorno di navigazione. Una miseria che, però, in tempo di crisi e spending review può risultare una vera boccata di ossigeno per le tasche del Ministero.
In via sussidiaria, per la protezione del mercantile sarebbe previsto l’impiego di guardie private. L’armatore che volesse avvalersi di tali professionalità, però, è costretto a rivolgersi in prima battuta alla Marina e, se questa declinasse l’offerta o non avesse militari da impiegare, solo allora potrebbe firmare un contratto con società private specializzate nel settore. Quindi la Marina Militare, organo dello Stato, agirebbe sul mercato della sicurezza navale in un sostanziale regime di monopolio.
In Europa, oltre all’Italia, sono pochi i paesi che hanno accordato la presenza a bordo di Nuclei Militari di Protezione, trai i quali il Belgio e la Francia, ma imponendo condizioni di utilizzo molto ristrette. Pertanto l’Italia è l’unico Paese ad aver legalizzato un uso così esteso delle proprie Forze Armate a bordo di mercantili privati.
Detto ciò, non si vuole certamente demonizzare il loro uso a favore della sicurezza privata, certamente meno qualificata, per difendere gli interessi economici marittimi italiani dall’orrendo crimine della pirateria. Certamente, però, vi è la volontà di stimolare un dibattito politico più approfondito, non viziato da priorità di carattere economico, sull’opportunità o meno di cambiare e/o migliorare le condizioni del loro impiego.
Se ciò non dovesse avvenire, così come nel precedente dell’Enrica Lexie, certamente ci sorprenderemo nuovamente di fronte al prossimo episodio che vedrà coinvolta l’Italia in un conflitto di giurisdizione. Ci sorprenderemo di fronte al fatto che da leggi votate in fretta e furia per interessi diversi da quelli apparenti, possano scaturire delle crisi diplomatiche. Ma nonostante ciò andremo avanti al grido “Viva l’Italia”, girando le spalle ai nostri errori e alle nostre responsabilità.
Lascia un commento