Trump, Bolsonaro, Meloni, per citare solo alcuni casi eclatanti, ma la lista dei grandi successi politici dell’estrema destra nel mondo non potrebbe non comprendere almeno le forze politiche ungheresi, polacche, francesi, israeliane e adesso perfino svedesi. A partire dal sorprendente consenso che l’ex ufficiale dei paracadutisti ha confermato di avere nel primo turno del voto brasiliano (il secondo è fissato per il 30 ottobre), Raúl Zibechi sostiene che l’affermazione della destra politica che, quasi ovunque nel mondo, non ha più bisogno di simulare moderazione, non è un fenomeno tipico di un’alternanza temporanea ma ha messo oscure e inquietanti radici in società sempre più de-politicizzate. Diventa così più impellente, alla luce della disarticolazione del sistema internazionale degli Stati e delle loro alleanze generata dalla complessità delle crisi in corso, cominciare ad approfondire l’analisi e i denominatori comuni di quelle affermazioni non certo episodiche

Se qualcuno ha l’illusione che l’estrema destra sia un fenomeno passeggero, il primo turno delle elezioni brasiliane deve convincerci del contrario. È qui per restare, come accade in Italia, negli Stati Uniti, in Cile, in Colombia e sempre più in paesi come l’Argentina e l’Uruguay, dove non aveva una solida tradizione.
Il Partito Liberale (PL) di Jair Bolsonaro è diventato la principale forza politica del paese, aumentando notevolmente la sua rappresentanza alla Camera, dove ha ottenuto 99 deputati, così come al Senato, dove ha ottenuto 13 seggi. Il Partito dei lavoratori (PT) ha eletto 68 deputati, che insieme a quelli dei loro alleati (il Partito Verde [PT] e il Partito Comunista del Brasile [PcdoB]) arrivano a 80, e solo nove senatori.
Il Parlamento è di destra come lo è stato dalle elezioni del 2018 vinte da Bolsonaro. Aggiungendo quelli dei partiti alleati, Bolsonaro raggiunge 198 deputati, mentre Lula potrebbe arrivare a 223, se riuscirà a fare accordi con alcuni partiti di centrodestra. Rimangono 92 seggi su un totale di 513, che secondo il sondaggio di Folha de Sao Paulo possono andare a chi offre migliori opportunità o agevolazioni per fare affari.
Se il Parlamento sarà uno spazio spinoso che farà di Lula, se eletto, un presidente centrista, l’estrema destra ha preso il controllo della maggior parte dei governi degli Stati, che svolgono un ruolo chiave nella governance, poiché influenzano la camera federale e quelle statali.
Ciò che sembra insolito è che, dopo quattro anni di deterioramento dell’economia, di una pessima gestione della pandemia e di costanti atteggiamenti antidemocratici, Bolsonaro ottenga più di 50 milioni di voti che indicano un paese diviso a metà, una divisione che persisterà dopo il secondo turno del 30 ottobre.
Il forte radicamento dell’estrema destra, sia in Brasile che in altri paesi, dovrebbe farci riflettere sulle sue cause profonde, per agire in modo più efficace e cercare di fermare questa ondata.
La prima cosa da considerare è la crisi sistemica globale che sta disarticolando il sistema internazionale degli Stati e le alleanze tra di loro. In ogni regione e paese si generano tendenze all’ingovernabilità e al caos. La competizione tra la potenza in declino, gli Stati Uniti, e quella in ascesa, la Cina, è un fattore destabilizzante che favorisce la generalizzazione di guerre tra le nazioni.
In questo clima cresce la polarizzazione politica, sociale e culturale tra classi, colori della pelle, sessi e generazioni. La violenza dall’alto verso il basso è il modo in cui le classi dominanti cercano di rimodellare le società secondo i loro interessi, abbandonando sempre più ogni tendenza all’integrazione dei settori popolari e dei popoli originari. Si tratta di una sfida senza precedenti per le forze anti-sistemiche, e non stiamo riuscendo a discuterne e ad agire di conseguenza.
La seconda cosa da prendere in considerazione è la tremenda depoliticizzazione che si riscontra nelle società, nonché la notevole espansione del consumismo con il suo carico di alienazione e paralisi di fronte alle sfide rappresentate dalla crisi/tempesta in corso. Le nuove capacità di dominio attraverso le tecnologie più avanzate (reti sociali e cellulari fino all’intelligenza artificiale) non stanno trovando risposte all’altezza delle minacce che incombono sull’umanità.
È vero che su questo punto le sinistre hanno la loro parte di responsabilità per aver abbandonato ogni atteggiamento anti-sistemico. Ma se guardiamo meglio, scopriremo che in altri periodi le sinistre riflettevano le resistenze dal basso, ma non le creavano. Nessuno ha insegnato alle classi lavoratrici a neutralizzare il fordismo e il taylorismo, così come nessuno ha insegnato ai popoli indigeni e neri ad affrontare il colonialismo, né alle donne a contrastare il patriarcato.
Anche se vorrei sbagliarmi, credo che quella che oggi viene neutralizzata dalle classi dominanti sia la ribellione stessa, una caratteristica che si è sempre annidata nell’umanità povera e oggetto di violenza. Forse è un fenomeno limitato alle aree urbane, dove l’esposizione ai meccanismi di dominazione è considerevolmente maggiore. Forse per questo i nostri viaggi alla ricerca di spazi in resistenza sono per lo più verso aree rurali, lontane dal frastuono mediatico.
Infine, credo che le nostre analisi siano troppo sbilanciate verso le ideologie, come se queste fossero la chiave per spiegare il crescente radicamento dell’estrema destra. Ma gli esseri umani sono spinti a muoversi da questioni più legate alla vita reale, anche se non necessariamente da una razionalità strumentale. Le ideologie vengono dopo aver preso posizione, come un modo per giustificare e sostenere ciò che è già stato deciso.
La potente spiritualità che si ritrova nei popoli che resistono non può essere un caso. Condividere spazi e momenti di celebrazione è ciò che tiene unite le comunità: senza questa coesione emotiva e mistica non sarebbe possibile resistere o sognare un mondo diverso da quello che ci opprime. La spiritualità è l’elemento essenziale della vita; ma se non la sentiamo, naufraghiamo nella pura solitudine.
Fonte: “La ultraderecha arraigó en nuestras sociedades“, in La Jornada, 07/10/2022.
Traduzione a cura di Camminardomandando.
Trovo sempre lucide le analisi di ZIbechi, ma non sempre le condivido fino in fondo, forse perché tuttora faccio riferimento alla tradizione illuministica e laica pur scontando la coscienza di come la presunzione di dominio dell’uomo sulla Natura (e non solo la violenza del capitale e del potere) ci abbia portato fino a questo.
Detto ciò credo che il nocciolo del problema sia proprio nella difficoltà da parte di chi “sta in basso, ma non proprio in fondo” ad accettare la fine dei “sogni di gloria” della modernità consumistica. La “decrescita felice”, già dura da mandar giù (“al maiale abituato a mangiare mele è difficile dare di nuovo le ghiande”) non la sappiamo nemmeno articolare in termini concreti come proposta che coniughi drastica riduzione dei flussi di materie prime e miglioramento della qualità della vita, almeno per il 99% meno ricco del pianeta, senza strette autoritarie e indipendentemente dagli stili di vita desiderati, anche se la scienza e le statistiche ci dicono che è possibile (ovviamente è troppo lungo entrare nel merito). Così la gran parte di quel 99% si divide tra il “si salvi chi può” dell’estrema destra il “cerchiamo di salvare il sistema costi quel che costi” del così detto centro-sinistra. Le altre ipotesi sono ultraminoritarie salvo contesti particolari (Chiapas, Rojava…): E più il salvataggio del sistema si rivela per quel che è, la costruzione di buone scialuppe per lorsignori e solo per loro, più la sinistra vera (più o meno moderata) naufraga nell’impotenza, e più si ingrossano le fila dei fasci di ogni ordine e grado. Appare anche piuttosto logico.
La soluzione non ce l’ho, la spiritualità mi lascia freddino (l’unica “mistica” proponibile era per me l’amore per l’umanità e la biosfera), ma se proprio serve consiglierei di accoppiarla a soluzioni concretamente e tecnicamente realizzabili (la famosa “decrescita felice” non come vocazione ascetica ma come via d’uscita desiderabile fuori dalla trappola del consumo) per le quali lottare e chiamare alla lotta.
Per quanto riguarda la tradizione storica europea,la storia dice il contrario di quanto affermato da Zibecchi:
non c’è stata lotta che non sia stata fomentata ed organizzata da socialisti,anarchici o comunisti.
In Europa,perlomeno, non ci sono forze simili che attraversano la contemporaneità disposte, al sacrificio,alla rinuncia e al rischio.
E’ una constatazione non un giudizio.
“Bisogna avere dei buoni motivi per svegliarsi al mattino, battere i marciapiedi del lavoro salariato, rischiare la libertà … la vita”.
Si dei grandi ideali e
non abbiamo ancora trovato le parole per nominarli.