Da quelle segnate dal filo spinato e dalle armi puntate a quelle del mare salato, le frontiere del nostro tempo si moltiplicano. Ultime arrivate quelle del Covid, che tra gli Stati africani sono del tutto speciali ma funzionano a meraviglia. Almeno per chi ha denaro per corrompere e pagare in contanti chi le sorveglia, siano essi soldati, doganieri o gruppi armati. Il Covid-business coinvolge e inghiotte, nel suo particolare e manipolabile percorso, partecipazione democratica, insurrezioni, marce di protesta, assembramenti sospetti e attenta seriamente alla mobilità umana. Nel giorno che la Chiesa cattolica celebra dal 1914 per ricordare i migranti e i rifugiati, nel cimitero di Niamey si contano le croci di ferro e i nomi scritti a mano con la vernice bianca su fondo scuro delle persone ritornate alla sabbia solo per aver inseguito la speranza di una vita migliore. Mauro Armanino, missionario ligure che nella capitale nigerina vive e racconta le loro odissee, pensa alla guerra di tutti i governi e gli Stati del mondo contro chi li sfida provando ad affermare la libertà di movimento e ricorda i papaveri rossi di un’altra guerra cantata da Fabrizio De André

Sono le ultime arrivate. Come non bastassero quelle di sabbia, di filo spinato, elettroniche, d’acqua salata, di sassi, di parole, di carta, di classe, di razza e di portafoglio. Quelle del Covid sono del tutto speciali e funzionano a meraviglia da alcuni mesi senza destare sospetti. Bloccate le frontiere aeree e terrestri fin dagli inizi dell’epidemia, poi pandemia per diventare endemia che giustifica e promuove i regimi più corrotti, in Occidente come nell’Africa Occidentale. Le manifestazioni pubbliche dell’opposizione vietate, le multe per chi non indossa la maschera protettiva, i milioni che fioccano a decine per combattere il virus e le sue nefaste conseguenze, tutto questo e altro ancora contribuisce a creare un clima favorevole agli affari dei politici. Seguono le richieste per la cancellazione del debito contratto dal Paese, dovuto soprattutto a gestioni corrotte e a favoritismi partitico-affiliati. Le frontiere terrestri del Covid sono particolari perché, seppur chiuse, nella realtà sono attraversabili. Basta pagare in contanti le dogane, le polizie, i militari e alcuni gruppi armati che controllano il territorio per passare, ostacolo dopo ostacolo. Il Covid-business coinvolge e inghiotte, nel suo particolare e manipolabile percorso, partecipazione democratica, insurrezioni, marce di protesta, assembramenti sospetti e attenta seriamente alla mobilità umana.
Come non averci pensato prima? Bloccare i migranti, i rifugiati, i piccoli commercianti e i comuni viaggiatori era in definitiva una pura banalità. Grazie all’esempio dell’Occidente in preda al panico indotto dall’epidemia, e con l’avallo dell’ineffabile Organizzazione Mondiale della Sanità, si prolungano i mandati presidenziali, si modificano le costituzioni e si addomesticano le opposizioni. Ci scappa, è vero, qualche colpo di stato, come nel vicino Mali ma nell’insieme il sistema regge molto bene. I migranti sono espulsi, detenuti, controllati, esaminati, vagliati e infine detenuti o custoditi in appositi campi in attesa del ritorno al mittente. Ben venga dunque il Covid, fedele alleato dei regimi fascisti e di coloro che ad essi si ispirano, fiancheggiatore suo malgrado di un nuovo disordine mondiale fin troppo simile a quello che si pensava aver lasciato alle spalle. Nella storia e nella politica nulla si crea e nulla si distrugge ma ci si trasforma nella misura in cui si lascia spazio alla partecipazione dei poveri, all’unica rivoluzione che davvero conti. Si giustifica l’ingiustificabile e, con la scusa della minaccia del Covid, si incentiva la povertà, la perdita dei posti di lavoro e la repressione di ogni velleità libertaria, considerata incompatibile col sistema. Proprio il 27 settembre, Giornata mondiale dei migranti e rifugiati per la Chiesa Cattolica, si è fatto memoria dei migranti morti.
Amanda, Memé, Emmanuel, Toé, Zerzer, Benjamin, Junior, Bobby, Fabulus, Johnson, Prince, Sunny Boy, Camara e un altro Prince, sono stati ricordati perchè la maggior parte di loro è sepolta nel cimitero di Niamey. Una degna sepoltura, nella sabbia ma non per tutti. Uno di loro, Camara, è morto affogato in mare nel passato agosto cercando di raggiungere la Spagna. L’altro, Prince, è stato ucciso e poi in parte bruciato nell’auto mentre tornava dal Sudan dove era partito in cerca di fortuna. Occorrerebbe chiamare per nome i circa ventimila migranti scomparsi nel Mar Mediterraneo dal 2014. Sarebbe una lista aperta, perché da aggiornare ogni giorno e che, d’altronde, non prende in conto chi ha perso la vita nel deserto o sulle tante strade che si fermano a chi cerca di percorrere sentieri non battuti. Proprio quello che i migranti citati sopra hanno vissuto e passato. L’ultima frontiera è stata la loro compagna. Attorniati da qualche amico di avventura, dimenticati dalla patria e sepolti per sempre nel camposanto della capitale del Niger. Giusto una croce di ferro e il nome scritto a mano con la pittura bianca sul fondo scuro della tavoletta metallica saldata in alto. Torna strana alla mente in questo giorno, una canzone del secolo scorso di Fabrizio De André, ‘La guerra di Piero’…dormi sepolto in un campo di grano/ non è la rosa e non è il tulipano/ che ti fan veglia dall’ombra dei fossi/ Ma son mille papaveri rossi.
Niamey, 27 settembre 2020
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