Il Consiglio dell’Accordo sugli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale (Trips) del Wto ha ripreso a discutere sulla strategia di gestione globale del Covid-19. Sulla proposta di India e Sudafrica, che prevede la deroga di alcuni diritti di proprietà intellettuale per condividere la ricerca medica esistente ed espandere la produzione di ciò che serve a contenere il contagio (proposta sponsorizzata da due terzi dei paesi membri del Wto), la divisione interna resta nettissima. Lo sanno tutti che le regole internazionali sugli incentivi alla ricerca e sulla protezione della proprietà intellettuale dei farmaci sono in diretta collisione con il diritto alla salute
L’11 marzo 2020 l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) dichiarava formalmente la pandemia da Sars-CoV-2. Con puntiglioso tempismo, per non perdere il sotto-testo simbolico di coincidenze con cui la pandemia parla al mondo dall’inizio, il Consiglio Trips del Wto si è ritrovato il 10 e 11 marzo a riprendere il discorso, dove si era fermato qualche giorno fa, su una questione tanto gigantesca quanto decisiva per la strategia di gestione globale di Covid-19.
Se accogliere la proposta della deroga di alcuni di diritti di proprietà intellettuale, avanzata da India e Sudafrica il 2 ottobre scorso e sponsorizzata da due terzi dei paesi membri del Wto, per sospendere il regime brevettuale che regola la produzione della conoscenza e condividere la ricerca medica esistente, espandere la produzione di ciò che serve a contenere il contagio, così da divincolarsi quanto prima dal laccio della pandemia.
Se invece lasciare le cose come stanno, puntare sui monopoli ventennali dei brevetti, e fare affidamento semmai sul rilascio di licenze volontarie da parte delle industrie farmaceutiche coinvolte nella ricerca e produzione di vaccini, diagnostici e farmaci contro Covid, per pluralizzare la scena produttiva sotto il loro controllo.
Un dilemma che racchiude due visioni sul mondo. Il bivio diplomatico è destinato a darci inoppugnabili indicazioni sul senso di marcia della comunità internazionale, a un anno dalla pandemia che ha tolto il respiro a un mondo già da tempo in asfissia.
Da ottobre a oggi, il Consiglio dei Trips ha discusso la proposta di India e Sudafrica ben otto volte, in modalità formale e con consultazioni informali.
Il tema è stato abbondantemente sviscerato e approfondito con richieste di ulteriori chiarificazioni, prove di ragionevolezza, confluite in un poderoso rapporto che è stato presentato il 1 marzo al Consiglio Generale del Wto, alla nuova direttrice generale Okonjo-Iweala.
La spaccatura resta netta. Statica. Da una parte si oppongono alla deroga dei brevetti Svizzera, Unione europea, Stati uniti, Gran Bretagna, Canada, Australia, Singapore, Giappone e Brasile, la sola nazione del sud globale con una posizione contraria, in netto contrasto con anni di battaglie pionieristiche sulla proprietà intellettuale al Wto e all’Oms.
Dall’altra, il resto del mondo non si arrende. La due giorni appena conclusa con un nulla di fatto sarà seguita da altri incontri, da altre richieste. Quella dell’Australia di mappare le competenze produttive inutilizzate nel mondo. Quella del Canada di identificare i siti atti alla produzione dei vaccini, e quelli pronti a ricevere la concessione dei brevetti su licenza da parte delle aziende.
La Cina, da parte sua, valuta positivamente la proposta indo-sudafricana, per discutere delle misure commerciali d’emergenza in risposta alla pandemia, e usa la scena del Wto per annunciare il suo piano di donazioni di vaccini a 69 paesi con bisogni urgenti, e la collaborazione di ricerca e produzione di vaccini in corso con oltre 10 paesi.
Dunque il negoziato va avanti ancora. Nella estenuante dilazione del processo, nel tedioso attendismo che non cede di un passo alle ragioni di nuove soluzioni – «non può essere come prima, occorre uscire dall’incastro delle continue domande per produrre risultati: senza voler sensazionalizzare il tema, qui è questione di vita o di morte», aveva detto la direttrice generale del Wto al suo debutto, sulla proposta di sospensione – si sedimenta invece la trappola del mantenimento dell’ordine delle cose sotto le spoglie della cosiddetta «terza via».
Lanciata dalla stessa Okonjo-Iweala, si tratta della cooperazione nel quadro del Wto per assicurare l’aumento della produzione dei vaccini, soprattutto nelle economie emergenti e nei paesi in via di sviluppo.
Portando la produzione in diverse parti del mondo, le aziende darebbero così il segnale della loro azione a favore dell’accesso, come del resto succede già in India con la licenza di produzione del vaccino di AstraZeneca.
Si consolida lo schema americano ed europeo delle partnership con le industrie farmaceutiche, in linea con Covax. Più licenze volontarie e più Wto: questo il topolino partorito dopo tanta mobilitazione diplomatica.
Si sono mosse le opinioni pubbliche di tutto il mondo sulla questione dei brevetti e dell’accesso ai farmaci essenziali in tempo di Covid. Nelle ultime settimane sembra di riavvolgere la pellicola della storia agli anni ’90, quando l’epidemia da Hiv divorava l’intero continente africano senza che nessun governo riuscisse a farvi fronte.
Allora era facile comunicare la tensione fra diritto alla vita o al profitto, come è tornato ad esserlo in questi giorni.
Lo sanno tutti che le regole internazionali sugli incentivi alla ricerca e sulla protezione della proprietà intellettuale dei farmaci sono in diretta collisione con il diritto alla salute.
Ma intanto il mondo che detiene le tecnologie e il controllo della scienza medica – per paradosso, colpito più duramente da Covid-19 – potrà proseguire con l’ipocrita retorica del vaccino bene comune, pur di non condividere nessuna conoscenza. Ovvero, dettando le condizioni severe di ogni condivisione.
Articolo pubblicato anche su il Manifesto
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