
La narrazione del corpo racconta cose di noi. Ci dice che siamo piene di ferite, cicatrici con cui dobbiamo fare i conti. Il nostro corpo è segnato come la nostra esistenza.
Abbassa lo sguardo. L’impertinenza non ci è concessa, la timidezza nelle bambine appare una dote preziosa da perseguire e spingere, anticipazione dell’annullamento. E l’imbarazzo sulle gote così tramandato, diventa presto inadeguatezza che attraversa corpo e anima.
Se proviamo a parlare, alzano la mano più veloce di noi, ci coprono con la voce greve, i corpi più potenti, ci anticipano, ci interrompono. Serriamo presto le labbra, tratteniamo il fiato e i pensieri.
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Costringiamo il seno quando cresce e se lo desideriamo più grande, quel desiderio è confidato solo alla notte. Non c’è mai un modo giusto di possederlo, portarlo, averlo e mostrarlo. La pancia va ritratta, schiacciata, negata; può arrotondarsi per procreare, allora ci è concesso lo sfondamento.
Se siamo madri, se cuciniamo per la famiglia, se procuriamo piacere.
Siamo zoccole, troie, puttane, se desideriamo. Non c’è nulla che faccia più paura di una donna che desidera abbondanza di cibo e piacere. Così la cicatrice circonda le cosce e arriva al nostro clitoride. Al godimento negato. Questo non è che l’ultimo e il primo atto di una sottomissione.
Continua, perpetua, talmente intrinseca nel quotidiano che, alcune di noi, non sanno riconoscerla. Persino il sangue che scorre è vergogna, tabù, narrazione sospesa.
E quando lasciamo la nostra vita di prima, quando ci vediamo è perché finalmente siamo in grado di prenderci cura di quelle ferite, una ad una, con calma. Un batuffolo di pazienza e dedizione verso noi stesse, aspettando che le ferite smettano di sanguinare.
Prendiamo in mano il nostro corpo allo stesso modo dei vorticosi pensieri e non permettiamo all’impertinenza di farci paura. Siamo irriverenti, finalmente. Piene di cicatrici ci concediamo di esistere al di là degli sguardi su di noi. Ci diamo il permesso, del corpo e del sentire. Siamo le uniche a doverlo fare.
Chi di voi è indecisa, non tardi, trovi la strada per prendersi cura di sé. Sia irriverente, impertinente, cambiate la vostra storia, quella vostre bambine e delle vostre ragazze. Perché il desiderio non smetterà mai di angustiarvi, potrete nasconderlo, ridimensionarlo, metterlo in un angolo, ma non passerà. Passerete voi, invece, e la vostra esistenza.
Iniziate una nuova narrazione. Concedetevi l’abbondanza.
Cinzia Pennati (Penny) è insegnante, scrittrice e madre di due ragazze adolescenti, tra le quali Ludovica, l’autrice del disegno. Questo il suo blog sosdonne.com. Nelle librerie il suo romanzo Il matrimonio di mia sorella e Ai figli ci sono cose da dire. Ediz. illustrata.
Fin da piccola ho diffuso questo semplice concetto : non c’è nulla che mi possa essere imposto ma, tutto ciò che gradisco o che scelgo di gradire mi può essere attribuito!
In parole più povere non c’è dovere ma solo piacere !!