Per capire ciò che accade a Lampedusa e nel Mediterraneo e per non smettere di cercare vie d’uscita dal razzismo istituzionale abbiamo bisogno di ripartire dalla passato, dalla forza distruttiva del dominio coloniale, che si fondava su una diversa condizione di cittadinanza riservata agli abitanti della metropoli e a quelli delle colonie. Oggi le conseguenze dei processi di colonizzazione nelle istituzioni, a cominciare dall’idea di stato, ma anche nell’immaginario delle persone comuni sono numerose e capaci di retroagire in profondità

Quanto sta accadendo nel Mediterraneo e a Lampedusa in particolare in questi giorni e negli ultimi mesi non può non stimolare riflessioni e preoccupazione. A fronte di promesse e slogan elargiti a piene mani dal governo, tutta la drammaticità della situazione sta mettendo in evidenza quanto le semplificazioni dettate da necessità propagandistiche siano assolutamente inadatte a comprendere e a gestire quella che resta una delle sfide fondamentali per il nostro presente e per il nostro futuro, le migrazioni e i rapporti con il mondo extra europeo e occidentale.
In questo contesto una riflessione a partire dal passato può che aiutare forse a orientarsi e dare una chiave di lettura sul presente. Il passato al quale cui mi riferisco è quello di cui mi occupo come studioso: il passato coloniale. Non voglio né dare risposte né verità ma provare a dare un modestissimo contribuito per una riflessione su quanto sta accadendo.
La più avvertita storiografia ispirata ai postcolonial studies ha evidenziato come il diritto coloniale fosse concepito quale diritto di eccezione rispetto alla concezione di diritto universale e razionale emerso dall’Illuminismo in poi. Come sottolinea bene Olindo De Napoli:
«si poneva, insomma, la questione se l’ordinamento dovesse informarsi a un modello universalista, oppure al sistema del diritto differenziale»1. In qualche modo «la borghesia europea sviluppò e abbracciò l’idea di cittadinanza, ma anche il senso che la cittadinanza era una “facoltà da essere appresa e un privilegio da essere guadagnato”»2.
Insomma, il dominio coloniale, tra i suoi vari aspetti, si fondava su una diversa condizione di cittadinanza riservata agli abitanti della metropoli e a quelli delle colonie. Diversità (appunto per questo differenziale) che faceva sì che i diritti garantiti ai cittadini non fossero gli stessi di quelli che erano chiamati “sudditi coloniali” (e già solo l’utilizzo del concetto di sudditanza evidenzia quanto si è detto).
Ora è chiaro che, con la fine del dominio diretto, tutto questo è venuto meno. Nessuno potrebbe più affermare che la giurisprudenza è fonte di diritto o che, visto lo stato di minorità delle popolazioni africane, certezza del diritto e della pena non vadano applicate come avveniva nelle colonie italiane e in particolare in Africa Orientale. Come però già evidenziava a suo tempo Michel Foucault, gli effetti di ritorno dei processi di colonizzazione «sui meccanismi di potere in Occidente, sugli apparati, le istituzioni e le tecniche di potere»3 sono numerosi e retroagiscono ancora sull’oggi e, probabilmente, anche sull’immaginario e sulle rappresentazioni che abbiamo delle popolazioni extra europee. Perché è stato giustamente notato come proprio queste retroazioni del passato coloniale «abbiano contribuito a costruire il profilo dello Stato nazionale»4
D’altronde anche qui gli studiosi più attenti hanno messo in evidenza che
«fenomeni attuali come lo stato di eccezione o di emergenza, la discrezionalità, l’implicita o esplicita differenziazione di trattamento giuridico dei soggetti nello stesso territorio in conseguenza delle nuove immigrazioni, il discorso ambiguo sulla cittadinanza, sembrano costituire una ripresa concettuale e di pratiche sperimentate in questa storia coloniale»5.
Quel che stiamo vedendo negli ultimi anni con reticolati costruiti ai confini della UE, lager e torture in Libia per bloccare gli imbarchi verso l’Europa nella più totale indifferenza delle istituzioni deputate a garantire il rispetto dei diritti umani, dispositivi giuridici quali quello riguardante i porti di approdo per i salvataggi in mare, le misure più cervellotiche per impedire gli stessi salvataggi come il sequestro dei materiali, tutto questo, non è la riproposizione di un’applicazione differenziale dei più basilari diritti umani?
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Aveva ragione Aimé Césaire, il cantore della negritudine, quando scriveva che
«è questo il grande rimprovero che rivolgo allo pseudo umanesimo, e cioè di aver, per troppo tempo, sminuito i diritti dell’uomo e di averne avuto, e di averne ancora, una concezione ristretta e limitante, parziale ed esclusiva e, tutto sommato, odiosamente razzista»6.
Iniziare a conoscere e riflettere sul nostro passato potrà aiutarci a superare quelle tare che ci portiamo spesso come fardello (questo sì fardello dell’uomo bianco, per ribaltare la prospettiva di Kipling) spesso senza esserne coscienti. Solo così le facili narrazioni e le rappresentazioni votate all’odio e alla reificazione dell’altro potranno essere superate e potremo così avvicinarci all’auspicio di Fanon:
«la nascita di un mondo umano, ovvero di un mondo di riconoscimenti reciproci»7
nel quale affrontare l’incontro con chi è diverso da noi guardando innanzitutto alla sua umanità.
Note
1O. De Napoli, La prova della razza: cultura giuridica e razzismo in Italia negli anni Trenta, Firenze, Le Monnier 2009, p. 27.
2A. L. Stoler – F. Cooper, Between Metropole and Colony. Rethinking a Research Agenda, in A. L. Stoler – F. Cooper (eds.), Tensions of Empire. Colonial Cultures in a Burgeois World, Berkeler-Los Angeles-London, University of California Press 1997, p. 3.
3M. Foucault, Bisogna difendere la società. Corso al Collège de France 1975-76, Milano, Feltrinelli 2010, p. 91.
4G. Ruocco, Per un approccio storiografico contrappuntistico, in G. Bascherini – G. Ruocco (a cura di), Lontano vicino. Metropoli e colonie nella costruzione dello Stato nazionale italiano, Napoli, Jovene editore 2016, p. 18.
5G. Dore, L’etnologia giuridica italiana tra dibattito teorico e prassi coloniale, in V. Deplano – A. Pes (a cura di), Quel che resta dell’impero. La cultura coloniale degli italiani, Milano, Mimesis edizioni 2014, p. 61.
6A. Césaire, Discorso sul colonialismo seguito da Discorso sulla negritudine, Verona, Ombre Corte 2014, p. 55.
7F. Fanon, Pelle nera, maschere bianche, traduzione di Silvia Chiletti, introduzione di Vinzia Fiorino, Pisa, ETS 2015, p. 196.
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