Se la guerra torna a bussare dopo decenni alle porte dell’Europa dell’est c’è, probabilmente, chi ha più diritto di sorprendersi e chi ne ha molto meno. Difficile non includere nella seconda categoria i governi nazionali. Ad essi, d’altra parte, non si può certo rimproverare di non aver reagito con vigore al “sorprendente” colpo di mano putiniano. Con il rinnovato impegno a rinforzare il budget patriottico dell’industria delle armi, così come la fedeltà delle alleanze strategiche. Alleanze compattate dal repentino smarrimento di lungimiranza dell’amico e collega russo e condite dal rifiorire di una retorica bellica che si pensava in disuso. Quel che sorprende meno, invece, è la salda tenuta di un vero e proprio architrave della cultura politica del vecchio continente perfino di fronte alle impetuose raffiche di fenomeni di fatto impensabili come le pandemie e le occupazioni militari (a Kiev le armi avevano cominciato a cantare almeno dal 2014). Si tratta dell’inossidabile sistema-razzismo che, lo ricorda assai bene qui sotto Annamaria Rivera, non esita a discriminare l’accoglienza di chi fugge dai missili e dai tank russi in modo selettivo. Le persone ucraine hanno diritto alla precedenza nei valichi di frontiera con la Polonia come alla protezione temporanea in Italia. Le altre, quelle in fuga dalle città ucraine ma provenienti da oasi di pace – come per esempio il Sudan o la Siria – vengono immancabilmente respinte alla frontiera europea o comunque, nel caso riescano a farla franca, escluse dal Decreto “Ucraina” del governo italiano. C’è da scommettere, tuttavia, che anche questo “sorprendente” sopruso non desterà alcuno stupore nei media che contano, quelli sempre pronti a indossare l’elmetto, e tra i più

Né la pandemia e neppure l’invasione militare dell’Ucraina da parte della Russia sono riuscite ad intaccare il sistema-razzismo, come dimostra l’accoglienza selettiva di profughe/i provenienti dall’Ucraina, in base all’origine, al colore della pelle e così via. Tra l’altro, anche a svariate famiglie con bambini, di origine subsahariana, è stato impedito di varcare i confini in direzione dell’Europa.
Come sottolinea il Centro Studi e Ricerche IDOS, in tal modo resta bloccata in Ucraina, quindi esclusa dalla protezione europea, una parte ben rilevante dei circa 5 milioni di stranieri presenti nel Paese, tra studenti, lavoratori, richiedenti-asilo e categorie di migranti a breve termine.
E ciò a dispetto delle convenzioni internazionali: chiunque fugga da una situazione pericolosa ha il diritto, a prescindere dalle proprie origini, di poter varcare i confini e fare richiesta di asilo. Tra l’altro, la gran parte delle persone respinte non sono affatto delle marginali, bensì alquanto integrate: per esempio, tra loro non poche sono quelle iscritte a qualche università ucraina.
Solo il razzismo può spiegare perché mai paesi quali la Polonia, l’Ungheria, la Bulgaria, che notoriamente sono soliti praticare una politica di ostilità e rifiuto o di vero e proprio razzismo verso migranti e potenziali rifugiate/i, che cerchino di attraversare le loro frontiere, al contrario si siano rapidamente organizzati per accogliere le persone ucraine ab origine in fuga dalla guerra e dai suoi effetti drammatici. Si consideri, inoltre, che a una tale discriminazione sono solite partecipare anche le autorità ucraine, in particolare alla frontiera con la Polonia, selezionando tra i cittadine/i “ucraine/i” e quelle/i “non ucraine/i” e respingendo perfino famiglie con bambini, in quanto di origine subsahariana.
Quanto all’Europa e all’Italia, in particolare e paradossalmente, mentre di solito sono respinte/i, rifiutate/i, criminalizzate/i le/i profughe/i, soprattutto quelle/i provenienti da paesi subsahariani, asiatici, mediorientali, e ciò anche se giungono da situazioni drammatiche, questa volta una buona parte delle istituzioni e delle popolazioni mostra e pratica solidarietà e accoglienza verso le persone esiliate purché siano ucraine ab origine, per l’appunto.
A tal proposito, esemplare è la vicenda raccontata il 22 marzo scorso da Riccardo Bruno sul Corriere della Sera. Egli riporta la denuncia di una suora, che aveva accolto due universitari ventenni di origine nigeriana, fuggiti avventurosamente dall’Ucraina. Una donna le aveva promesso che li avrebbe ospitati lei nella sua seconda casa. Ma, allorché ha scoperto che erano nigeriani, ci ha ripensato, motivando il rifiuto esplicitamente: due profughi bianchi potevano andar bene, negri assolutamente no.
Certo, l’accoglienza di persone ucraine che fuggono dalla barbarie della guerra putiniana non può che essere considerata positivamente e incoraggiata. Nondimeno essa rivela l’ipocrisia – a dir poco – della politica europea e delle politiche dei singoli Stati dell’Ue: l’una e le altre praticano un’accoglienza discriminante, che distingue tra le persone rifugiate, perlopiù da accogliere o almeno da accettare, e quelle migranti, soprattutto se provenienti dal Sud del mondo.
Tuttavia, non si creda che siano esclusivamente il colore della pelle e/o l’origine nazionale a ispirare discriminazione, ripulsa e disprezzo verso le/gli altre/i. Come ho scritto più volte, chiunque può essere razzizzata/o, soprattutto se appartenente a una classe subalterna. Lo dimostra in modo esemplare la storia dell’immigrazione albanese in Italia, che esordì il 7 marzo del 1991, quando ben 27.000 migranti sbarcarono nel porto di Brindisi. Cinque mesi dopo, l’8 agosto del 1991, la nave mercantile Vlora, stipata da 20.000 migranti, attraccò nel porto di Bari. Da allora in poi, per non pochi anni le/gli albanesi divennero capro espiatorio esemplare e oggetto di discriminazioni e violenze razziste.
V’è da aggiungere che, mentre in Ucraina furoreggiava e furoreggia tuttora la guerra putiniana, nel Mediterraneo centrale si susseguivano le stragi di migranti. Gli ultimi novanta o forse cento, che hanno perso la vita alla fine di marzo e di cui si è saputo tardivamente, non sono stati ancora conteggiati. Ma alla data del 28 marzo, erano già 299 quelli morti o dispersi dall’inizio dell’anno nel tentativo di attraversare il Mediterraneo centrale. Di una tale tragedia i media hanno parlato/scritto alquanto poco, tutti presi com’erano dalla guerra in Ucraina.
Ottimo articolo. Grazie Annamaria
Tragedie che si sovrappongono a tragedie. Geografie, storie e corpi. C’è chi vale e c’è chi non vale. Diritti umani scritti.
Ma applicati in modo discontinuo. O ignorati. Cane non mangia cane, dicevano i miei antenati. La cultura delle armi e della guerra, un filo ininterrotto. Stanno vincendo i patriarchi armati. Fare la guerra è naturale. Schiacciare il nemico, anche. Il razzismo, una variante nel e del disprezzo per chi non fa parte di NOI…
Si possono fare gerarchie fra tragedie, fra orrori, fra violazione dei diritti? Escludere invece che includere? Anche questa è una forma di guerra che nel razzismo trova una delle sue più inaccettabili espressioni. Grazie Annamaria.
Un grande articolo lucido e coerente
Grazie Annamaria, lucida e hiara,come sempre.
Ma perché? Perché no… Anzi, perché nero. Perché la verità non sia vittima della guerra, bisogna sentire il dovere della testimonianza.
“L’accoglienza selettiva” ha la forza della dinamite: l’ossimoro che rivela la verità e lo scandalo. Il “sistema razzismo” conta su silenzi e paure e così può continuare con arroganza e coerenza il suo lavoro sporco: discriminare e selezionare, decidendo chi sommergere e chi salvare. La misura non è la situazione storica determinata, ma la categoria della “condizione umana” ab ovo. Non basta che tu stia in Ucraina per maturare il diritto di tentare una via di fuga; se “ucraino” non lo sei dall’origine, e anzi sei nero (anzi, negro) il tuo posto è sotto le bombe. La verifica, in coerenza con i canoni della beffa, è affidata a un paese – la Polonia – da cui per vicende storiche antiche e recenti, vorrei dire per una certa cifra tragica della sua storia, ci si aspetterebbe ben altri distinguo. Ma il “sistema razzismo” sa fare business in ogni circostanza, potendo contare su indecenze e complicità molteplici.
Ma se… ecco l’inciampo. Se spunta un testimone che testimonia secondo coscienza, la verità viene affermata e l’esito è ancor più clamoroso.
Ecco, lo scritto di Annamaria è una testimonianza di verità, scompiglia le carte, un bouleversement – direbbero i francesi. Come al solito. A nulla possono i protocolli della retorica e della propaganda.
Un testimone scomodo, che non solo rende perentoriamente onore alla verità, ma poi per così dire “si dilunga” a spiegare logiche e leggi del groviglio e a dipanare la questione di fronte a chi non abbia biechi interessi. E così, ancora una volta, ne viene fuori una limpida lezione: un’altra finestra sul nostro tempo e sul nostro mondo. Annamaria lo fa con la sua “solita” scrittura: argomentativa e “spietatamente” chiara, oggettiva, soprattutto nei passaggi in cui “le pretese” della situazione contingente parrebbero più mobilitate a far scattare l’imboscata dell’autocensura o della reticenza. Una spiegazione nella quale riconosco e sento agire la storia di un impegno lunga tutta una vita. Dove l’indignazione non cede mai alle tentazioni (che pure sarebbero più che legittime) dell’irritazione verso i tanti imbonitori e impiegati della propaganda.
Ho sempre pensato che i suoi “interventi” andrebbero raccolti e proposti , come si dice, a un pubblico più ampio. Penso (forse per deformazione… deontologica) soprattutto alle scuole, a docenti e a giovani, i quali in questo momento avrebbero proprio bisogno di ben altre armi. “L’accoglienza selettiva” mi conferma e mi rafforza in questa valutazione e mi fa sentire verso Annamaria una profonda gratitudine. “Niente altro che la verità”. Di questi testimoni e di queste testimonianze c’è bisogno.
Ancora una volta grata ad Annamaria x le sue analisi e argomentazioni corrette e circostanziate nonché controcorrente, mi sento meno sola.
E sì, concordo che sarebbe importante x non dire necessario raccogliere articoli e documenti di Annamaria e di altre ‘anime giuste’ (passatemi le parole un po’altisonanti) x farne argomento di incontro e scambio soprattutto con i giovani
Sono stata licenziata, per fine contratto e fine appalto, dalla cooperativa dove lavoravo perché li ho convinti io a non partecipare ai bandi della prefettura dopo la legge salvini, mai seriamente cambiata dalla Lamorgese, perché con le donne vittime di tratta e i loro bambini. Poi ho visto le ai profughi ucraini, e mi è salita la bestia. Ho scritto ad una delle principali reti di accoglienza italiane perché sul loro sito si parlava appunto dell’accoglienza degli ucraini, che dovrebbero invece venire fermati in Polonia, quale primo paese di frontiera, così come accade in Italia, secondo gli accordi di Dublino. Ragionare come ragiona questo e altri governi è accendere una miccia vicino ad un bidone di benzina. Prima o poi la pagheranno.