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L’accoglienza di prossimità

Forum per Cambiare l’Ordine delle Cose
01 Novembre 2020

Ci vogliono relazioni sociali solide, tempo e immersioni nella vita di ogni giorno per dissipare paure e ampliare gli sguardi. Lo dimostra anche l’esperienza di accoglienza diffusa promossa nella provincia di Bolzano, tra non poche difficoltà, e ora raccontata anche in un docu-film

Tratta da pixabay.com

Jamal, Marcello, Mohammad, Alessandro, Diouf, Gianluca, Simon, Johann. Sono i nomi di alcuni dei protagonisti di Capaci di volere, docu-film a firma di Paolo Vinati e Roberta Dapunt, che in questo lavoro raccontano l’esperienza di un progetto di accoglienza Sprar – Siproimi nella provincia di Bolzano, in Alto Adige.

Un’esperienza che, nonostante la sua buona riuscita, non si ripeterà: così hanno deciso le amministrazioni dei comuni. Il progetto nato nel 2018 si chiuderà infatti al termine di quest’anno, rispettando i tre anni previsti ma non andando oltre. La decisione di non proseguire appare puramente politica: Capaci di volere mostra infatti come le sfide messe in campo dal progetto siano state ampiamente vinte, nonostante gli ostacoli iniziali. “La popolazione molto spesso aveva paura. Ho imparato a rispettare questa paura: paura non significa discriminazione. E le persone molto spesso si sono ricredute sul pregiudizio che avevano inizialmente”. A parlare è Gianluca Da Col, responsabile del progetto, che prosegue: “Io penso che una parte importante del nostro lavoro sia riconoscere le paure della popolazione, accettarle, e incanalarle verso qualcosa che sia l’opposto della discriminazione”.  È proprio questo l’approccio che ha mosso Johann Rubatscher, assessore di La Valle, un comune di 1.300 abitanti coinvolto nel progetto Sprar. Inizialmente nel paese sarebbe dovuto sorgere un Cas (Centro di Accoglienza Straordinaria) per venticinque persone. “Il 2 agosto 2016 il Comune ha fatto una riunione con la popolazione, e la risposta non è stata positiva. A dire la verità ci siamo spaventati della reazione, in particolare della gente più giovane. Ho constatato che c’è molta disinformazione”. Proprio per avere informazioni dirette, il Comune si è allora confrontato con alcune realtà della Val Di Fassa, dove erano già attivi alcuni progetti Sprar. Da questo incontro è stato avviato il progetto anche nei comuni di La Valle, San Virgilio di Marebbe, Rasun/Anterselva, Predoi, Valle Aurina e Gais, gestito dalla Comunità Comprensoriale Valle Pusteria.


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Paolo Vinati, il regista del docu-film, era presente al primo incontro tra il Comune e gli abitanti, ed è da lì che ha iniziato a seguire, accompagnato dalle parole di Roberta Dapunt, una storia che coinvolge gli abitanti dei paesi, i lavoratori e le lavoratrici impiegati nei centri Sprar – Siprioimi, gli uomini migranti accolti nel progetto: maliani, iracheni, palestinesi, che dopo percorsi migratori e di vita si trovano ora in una realtà piccola, caratterizzata da propri ritmi e consuetudini. “Suscitiamo curiosità tra i passanti. Inizialmente non si dimostrano aperti e comunicativi, e questo dipende un po’ dalla nostra cultura”, spiega in tedesco Marcello Cont, referente del progetto, evidenziando: “Hanno bisogno di tempo, e noi glielo diamo. Ci siamo accorti da piccoli gesti che i paesani cercano il contatto con noi”.

Secondo Cont l’esperienza dello Sprar rappresenta “un progetto formativo: si possono trarre parallele tra il mondo esterno e i piccoli paesi.  In televisione vediamo il cambiamento a livello mondiale, e di punto in bianco questo mondo si presenta nel mio paese. Se incontro questa persona non incontro il rifugiato, bensì una persona che guardo negli occhi”. È proprio questo uno dei valori dei progetti Sprar – Siproimi, riassunti da Cont: se ben fatti, aderenti ai territori e seguiti da professionisti preparati, tali esperienze permettono di mettere in relazione le persone, di ampliare gli sguardi, in una parola di conoscere. Ed è proprio la conoscenza alla base del superamento della paura, per arrivare invece a una valorizzazione delle differenze, che arricchisca le realtà in cui queste si vanno a inserire.

Sessanta le persone accolte nel progetto nato nel 2018. Di queste, cinquantacinque hanno trovato un lavoro nell’area: un dato concreto che testimonia la validità dei progetti di qualità, che puntano sul lavoro di prossimità, sui territori, sul sostegno alle persone e alla loro autodeterminazione. “Nell’accoglienza straordinaria fatta di grandi centri l’integrazione è più difficile e le sistemazioni più precarie. Il valore aggiunto dello Sprar è quello di responsabilizzare i piccoli enti locali sul territorio, e accogliere piccoli gruppi di persone, aggiungendo a questo la professionalità delle persone che lavorano”, spiega Da Col. “In Alto Adige si dovrebbe continuare con questo progetto”, conclude Cont.

Le storie, le immagini, le parole trasmesse da Vinati e Dapunt in Capaci di volere lo palesano. La scelta del titolo del resto non è casuale: pensare alle persone non come “problemi da gestire”, ma come soggetti con desideri, necessità, fragilità e punti di forza, è la base da cui partire. O meglio ri-partire: perché l’approccio seguito dall’Italia almeno negli ultimi dieci anni ha lasciato sempre più spazio ai grandi centri, relegando a un ruolo decisamente marginale i progetti Sprar con l’accoglienza di piccoli gruppi di persone in appartamenti. Eppure è questo il modello da seguire: perché i grandi centri non aiutano nell’inclusione, al contrario ne ostacolano il processo.

Medici per i diritti umani in una recente ricerca scientifica li ha definiti “luoghi ri-traumatizzanti” . Sul piano dell’inclusione, è evidente che strutture enormi, spesso lontane dai centri cittadini, abitate da moltissime persone (anche centinaia) cui vengono forniti solo i servizi di base (non di rado di pessima qualità, sulla base del principio del minor costo), non possono che avere una ricaduta negativa per i migranti residenti al loro interno, per la popolazione che assiste alla creazione istituzionale di quelli che di fatto possono essere visti come ghetti, e per le persone che lavorano all’interno di queste strutture. Occorre piuttosto puntare sull’accoglienza di prossimità, sull’impegno degli enti locali, sui territori e sul lavoro di rete. “La politica deve prendere atto che il mondo è ormai meticciato, globalizzato, circolare”, dice  Fernando Biague, psicologo e operatore sociale. È proprio questo il nodo: le responsabilità della politica, che si deve impegnare nel governare al meglio l’esistente piuttosto che preferire una facile ma improduttiva propaganda.

Come Forum per cambiare l’ordine delle cose insistiamo sul piano dell’accoglienza e sull’urgenza di cambiare approccio: lo diciamo da tempo, anche insieme ad altri soggetti e realtà su tutto il territorio nazionale, e lo abbiamo sollecitato recentemente a seguito delle modifiche ai Decreti Sicurezza. Capaci di volere entra nel vivo della questione e lo fa mostrando da vicino un modello efficace e virtuoso, per tutta la società. “Si dovrebbe continuare”, afferma il referente intervistato nel docu-film. Ci associamo alla sua sollecitazione, ampliando lo sguardo a un livello nazionale ed europeo.


Fonte: Per cambiare l’ordine delle cose


Comments

  1. Sandra Cangemi says

    1 Novembre 2020 at 16:00

    Io sarei interessata al documentario, anche per usarlo in ambito educativo. Come si fa?
    Grazie

    Rispondi

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