Intervista a Matteo Saudino
Una campagna elettorale può essere l’inizio di un progetto politico più complesso in grado di far camminare insieme esperienze sociali e politiche diverse e, prima di tutto, di mettere al centro “la vita individuale e collettiva delle persone rispetto alla dittatura del mercato e alla violenza delle tante guerre”. Lo pensa Matteo Saudino, insegnante di storia e filosofia a Torino (qui alcuni suoi articoli), secondo il quale è questa la strada intrapresa da Potere al popolo, di cui è candidato alla camera in Piemonte. Abbiamo rivolto a Matteo alcune domande (altri articoli sulle elezioni sono su Prima e dopo il 4 marzo).
In quale scenario arriva il voto?
Si va alle urne in uno scenario culturale per molti aspetti desolanti. Le molteplici destre del Paese hanno condotta una campagna elettorale all’insegna dell’odio e della violenza, verbale e non solo, nei confronti degli stranieri, dei diversi e dei marginale, sventolando le bandiere del nazionalismo, dello stato forte e dei confini. Dall’altro il centro moderato liberale e liberista si è proposto come garante di una continuità all’interno delle politiche europee di austerità e di pareggio di bilancio, presentando tale via come l’unica responsabile, praticabile e in grado di tenere a freno avventure politiche improvvisate e destabilizzanti.
La lotta all’immigrazione è uno dei punti chiave delle destre…
Penso che siamo in presenza del classico circolo vizioso, del cane impazzito che si morde la coda. Molti però contribuiscono volontariamente e ipocritamente a far impazzire il cane. Vent’anni di medicine liberiste somministrate dall’Europa e dai governi di centrosinistra e centrodestra hanno avvelenato la società europea ed italiana. L’aumento della povertà, della disoccupazione, della precarietà delle vita ha generato un malcontento popolare e un’insicurezza della classe media che trova un risposta facile e immediate nella rabbia contro i migranti. Le destre xenofobe soffiano sulla guerra tra poveri, in modo da ottenere consenso. Cercano di ricomporre le fratture sociali, generato da un capitalismo aggressivo e armato, proponendo un ritorno alle patrie, allo stato autoritario e identitario. In questo clima il centro sinistra ha giocato la carta Minniti, l’uomo forte tutto di un pezzo, apprezzato anche a destra, nel tentativo di rassicurare l’elettorato. La svolta securitaria è un processo lungo ormai decenni: il capitalismo frammenta, atomizza, rende la comunità insicura. Ma chi governa non mette in discussione lo sviluppo economico, anzi ci induce a perdere libertà e uguaglianza in nome di una sicurezza misera e cieca.
La guerra, il cambiamento climatico e la crisi ecologica non sono al centro delle attenzioni. Nel caso fossi eletto quale percorso su questi temi vorresti contribuire ad avviare?
La mia storia parla chiaro, per fortuna. Sono un obiettore di coscienza da sempre impegnato per la riduzione delle spese militari e per sostenere politiche di disarmo. La battaglia è al limite dell’impossibile vista la forza politica e ideologica dei produttori di morte e dei governi ad essi alleati. Serve dare vita a una soggettività globale che si batta per una vera pace, una vera sicurezza la quale si fonda sui diritti: lavoro, reddito, casa, istruzione, sanità e ambiente. Senza una inversione di rotta, figlia della ragione e della volontà, sarà una Hiroshima ecologica a determinare la svolta.
La riemersione del movimento delle donne nelle sue diverse sfumature, è di certo una delle novità che ovunque mostra la capacità della società di ripensare se stessa in profondità, pur tra enormi difficoltà.
La rivoluzione femminista e femminile è stata ed è la più profonda rivoluzione avvenuta nella storia dell’umanità. Come tutte le rivoluzioni, anch’essa è soggetta a lungi periodi di reazione. Negli ultimi anni nuove soggettività hanno riproposto con forza il tema della liberazione della donna dal dominio maschile, il quale dominio proprio perché sempre più in crisi presenta terribili colpi di coda, che si manifestano soprattutto nelle violenza domestica e privata. L’emancipazione femminile però deve collegarsi ad un più ampio percorso di emancipazione umana, che passa a mio avviso per la messa in discussione della proprietà privata dei mezzi di produzione, la fonte primaria dell’alienazione e dello sfruttamento dei pochi sui molti. La lotta delle donne non può essere la lotte delle donne borghesi, ma la lotta delle donne con gli altri soggetti deboli all’interno dei rapporti di forza economici, sociali, giuridici e culturali.
Indicaci cinque-sei proposte con cui ripensare sul serio la scuola, universo che conosci bene.
Le proposte partono da una radicale inversione di rotta rispetto all’impianto della legge 107, la tristemente nota Buona Scuola. La prima proposta riguarda la messa in sicurezza di tutti gli edifici scolastici. Serve un vero piano nazionale di investimenti pubblici. In secondo luogo cancellerei immediatamente l’alternanza scuola-lavoro, la quale impoverisce la formazione degli studenti e offre lavoro gratuito alle imprese. Poi ridurrei ad un massimo di venti allievi per la scuola primaria e di venticinque allievi per la scuola secondaria, il numero di studenti per classe. Sarebbe un primo passo per fare della scuola una comunità di apprendimento realmente inclusiva. Inoltre, proporrei un piano di assunzioni per chi è nelle graduatorie ad esaurimento. Infine, inserirei nella scuola secondaria l’ora curriculare di Educazione alla Costituzione, in modo da costruire percorsi di cittadinanza attiva critica, primo strumento contro la barbarie.
Infine: cosa ti spinge a chiedere un voto per farti entrare per la prima volta in parlamento? Non si tratterà di “braccia” sottratte alla scuola come si diceva una volta per i contadini?
Questa è la domanda più difficile. I miei studenti sperano non venga eletto (visto la mia appartenenza politica non vi è pericolo di elezione) e ciò mi trasmette grande gioia e soddisfazione. Insegnare Storia e Filosofia è il mestiere più bello del mondo, attraverso cui penso si possa costruire una parte di emancipazione umana. I tempi di profonda ingiustizia sociale mi hanno però spinto ad accettare la sfida di costruire un progetto politico che metta al centro la vita individuale e collettiva delle persone rispetto alla dittatura del mercato e alla violenza delle tante guerre.
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