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La vita a Casa Simonetta

Francesco Festini
15 Giugno 2021

Questo articolo fa parte del dossier Raccontare la Toscana che cambia

L’intuizione dell’Associazione Casa Simonetta nasce dall’incrocio fra amici che condividevano un percorso incentrato – fra l’altro – sull’attenzione agli ultimi ed i più fragili della nostra società e un evento economico fortuito. Una somma di denaro ottenuta come ristoro di un mobbing subito da uno dei fondatori da parte della sua azienda, nello specifico una banca.

L’idea era quella di convertire quella somma, proveniente da un periodo percepito come doloroso e ingiusto, in qualcosa che avrebbe potuto gettare semi di accoglienza e umanità. È stato così acquistato e ristrutturato un appartamento in zona Campo di Marte a Firenze per l’accoglienza gratuita temporanea di fino a sei giovani internazionali.

L’avventura nasce dunque così, nel 2019, da un’occasione di comune idealità e poca, pochissima professionalità. Un gruppo spontaneo ed eterogeneo si addensa intorno all’idea di un’accoglienza gratuita temporanea per favorire l’inserimento lavorativo e l’autonomia di vita di giovani sradicati dal loro ambiente e coraggiosamente protesi verso il futuro. Si decide di partire, come gruppo di fatto, e di costruire le regole di comportamento e convivenza in seguito, nel lavoro comune e sfruttando le capacità esperienziali del gruppo, oltre al metodo del consenso.

Pochissime sono le regole iniziali: durata dell’accoglienza di circa un anno, gratuità dell’ospitalità (salvo un libero contributo da chi stia lavorando), reciproca responsabilità nell’uso della casa – sia verso l’esterno (il condominio), sia verso gli altri ospiti che possono avere cultura ed abitudini differenti, sia verso la struttura stessa che li ospita. 

Ne nasce un esperimento sociale, un crogiuolo esperienziale che – fra errori, difficoltà (sopratutto per il periodo di isolamento per il Covid) e inciampi per inesperienza ha portato il gruppo a costituirsi in associazione e a gestire, a oggi, una decina di ragazzi di cui alcuni usciti per raggiunta indipendenza. Abbiamo quindi iniziato a scrivere regole più stringenti, da addensare in un vero regolamento, ci siamo ispirati e confrontati con altre esperienze simili, abbiamo cercato di interagire con il mondo del volontariato e con quello del lavoro per creare vere e proprie occasioni di indipendenza. L’ultimo passo è stato quello di una convenzione privata con un’importante cooperativa sociale fiorentina per riuscire a intercettare occasioni di lavoro per i nostri ospiti.

Stiamo al momento lavorando per consolidare i piccoli risultati positivi e progredire nella consapevolezza reciproca che chiunque può fare qualcosa, soprattutto nella condivisione della responsabilità. Non è ancora il momento, credo, di enumerare i successi o gli insuccessi del nostro tentativo di ricostruire una umanità comune più giusta e a misura di tutti, principalmente dei più fragili. Ad oggi direi che si tratta sopratutto di un percorso, non facile ma entusiasmante, nella direzione della corresponsabilità politica e sociale di piccole scelte di accoglienza.

Solo un messaggio mi sentirei di lanciare, alla luce del cammino fin qui compiuto, ovvero che – un po’ come quando si mette su una famiglia – per iniziare un percorso socialmente orientato all’accoglienza non è richiesta la perfezione dei mezzi e degli strumenti e neppure una volontà o professionalità sovrumana, ma solo la voglia di percorrere quel cammino e la possibilità di condividere la responsabilità in modo reciproco e costruttivo. Sto dicendo che – al netto degli errori e delle correzioni passate e future – la sensazione di aver provato a creare un luogo di crescita e di indipendenza per giovani che hanno rischiato tanto per raggiungere un futuro dignitoso è particolarmente soddisfacente e, ne sono convinto, alla portata di molti.


Francesco Festini, presidente dell’Associazione Casa Simonetta


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