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La storia scomoda di Riace

Roberta Ferruti
02 Gennaio 2020

Siamo abituati a raccontare la straordinaria storia di Riace partendo da quello che riacesi e migranti hanno saputo fare insieme. Si potrebbe però partire dalle ferite di quel territorio, come molti altri nelle mani della più potente organizzazione mafiosa del mondo, la ‘Ndrangheta. Sono numerose le aggressioni ignote e gli atti vandalici che quella comunità ha subito. Nei giorni scorsi è stato distrutto l’”angolo del pescivendolo”, voluto dalla giunta Lucano presso la Porta dell’Acqua. Sono in tanti a voler cancellare la storia scomoda di un paese che tutto, insieme al suo sindaco, si è ribellato al proprio destino di spopolamento ma soprattutto alle logiche mafiose

Fino agli anni Ottanta l’acqua nel borgo di Riace bisognava andarla a prendere alla fontana, nelle case non arrivava. Nel centro storico, distante sette chilometri dalla Marina e dalla Statale Jonica, la vita sembrava ferma al dopoguerra. Le giornate erano scandite dal vociare degli ambulanti che si alternavano per vendere ai pochi cittadini rimasti pesce fresco, pane, utensili per la casa, tessuti. A parte la messa domenicale, a Riace non c’erano molti altri momenti di incontro.

Si è parlato tanto in questi ultimi anni del “modello Riace” e della rinascita di questo borgo che, come molti – troppi comuni italiani, era destinato a morte certa se non fosse per l’arrivo dei migranti accolti nelle case disabitate e abbandonate dai riacesi emigrati all’estero. Domenico Lucano, sindaco dal 2004 al 2018, la sua giunta e l’associazione Città Futura hanno operato una vera rivoluzione in una zona aspra e impervia come la Locride dove la ‘Ndrangheta, la mafia più potente al mondo, spadroneggiava da sempre.

Alla fine del secolo scorso e fino a pochi anni fa, da quelle parti la lupara dettava ancora legge e quando Lucano ha iniziato a realizzare il suo progetto di accoglienza, si è fatta subito sentire: due colpi sparati alla porta della Taverna Rosa nel cuore del paese, sulla piazza dell’ex municipio e poi al portone di Palazzo Pinnarò, sede dell’associazione Città futura che curava l’accoglienza. Ancora non si era capito che non era questa la strada per fermare Lucano, ci arriveranno anni dopo. Gli uccidono il cane, danno fuoco alla sua auto. Niente, si va avanti come se niente fosse: l’accoglienza diffusa a Riace riporta la vita, la gente del borgo sente finalmente che la desolazione, l’abbandono e i lunghi e dolorosi addii, stanno lasciando il posto alle risa dei bimbetti per le strade del borgo, riapre la scuola, piccole attività commerciali hanno finalmente una ragion d’essere. Alcuni giovani rientrano a Riace, altri decidono di non partire. Quasi un centinaio di persone trovano impiego grazie all’accoglienza. Ma tutto questo è ormai storia nota, c’è un processo in corso, un altro forse in arrivo. Domenico Lucano e Riace sono stati passati attraverso una lente d’ingrandimento che assomiglia a un tritacarne.

Oggi resta poco di quel periodo magico di forte energia che diffondeva Riace a chi vi arrivava: le luci, i colori, gli odori, le voci non ci sono più. I murales sono scrostati, l’anfiteatro multicolore è in stato di abbandono e un sindaco (su cui pende un’accusa di ineleggibilità) che si sta distinguendo sempre più per la sua inconsistenza e per l’azione demolitoria di quanto ha fatto l’amministrazione Lucano. Eppure grazie all’accoglienza e all’integrazione riuscita con gli abitanti riacesi originari è stato possibile recuperare pezzi di storia, investire nei giovani per raccontare l’orgoglio calabrese di una vita fatta di sacrifici e stenti. Tra le prime cose che Lucano e la sua giunta hanno recuperato c’è infatti il sentiero di Sara chiamato così per celebrare l’ultima portatrice che ignara dei suoi anni, si è spaccata la schiena su e giù per quel sentiero scosceso per prendere e portare acqua nelle case dei signori. Un sentiero che è una bella passeggiata fino a una fonte inserita in una cornice suggestiva di calanchi, ma oggi il cartello che segnava l’inizio del sentiero di Sara è stato rimosso e il viale sta per essere inghiottito dalla vegetazione.

Non sono stati levati quindi soltanto i cartelli con su scritto “Riace paese dell’accoglienza” che hanno indignato i tanti, tantissimi che conoscono la bellezza dell’accoglienza a Riace, si sta attuando un’operazione grossolana di rimozione della memoria, di cancellazione di un’epoca che ha avuto la caratteristica di rompere degli schemi, rifiutare la rassegnazione. I riacesi debbono piegarsi al loro destino, ritornare a essere inghiottiti in una logica, tipica della cultura mafiosa, di apatia. Del resto, segnali ne abbiamo avuti tanti in passato. Nel dicembre 2016 quando Lucano ha indetto un consiglio comunale per discutere le sue dimissioni in seguito a delle intercettazioni telefoniche a dir poco sospette, qualche ignoto facinoroso ha allagato la mediateca, luogo adibito a quest’importante assemblea. Non si è mai saputo chi sia stato il responsabile di questa azione, certo è che almeno allora non ha ottenuto l’effetto desiderato: da tutta Italia sono arrivati in tanti e nella piccola sala del Consiglio Comunale si spingeva fino alla piazza della Pignara, sotto la pigna centenaria davanti a un maxi schermo. Era un segnale inquietante, uno dei tanti che non lasciava presagire niente di buono.

La Porta dell’acqua a Riace è stata vandalizzata. Era uno dei simboli voluti da Mimmo Lucano in difesa dell’acqua pubblica. Leggi: Ciavula

Nonostante Riace abbia dimostrato negli anni dell’amministrazione Lucano di poter essere un paese “che varca i confini” che “accoglie i cittadini del mondo” dove ognuno si è sentito a casa, oggi sembrerebbe che lo si voglia riportare ad essere soprattutto un paese in terra di ‘Ndrangheta. Vandali ignoti si aggirano indisturbati e senza che nessuno abbia visto niente distruggono qui e lì le tracce di un’epoca d’oro, le opere realizzate da Mimmo Lucano una a una subiscono atti vandalici, incuria, abbandono. L’ultima azione in ordine di tempo è stata la distruzione dell’”angolo del pescivendolo” ricavato presso la Porta dell’Acqua nel luogo dove il pescatore usava vendere il pesce quando saliva al borgo. A chi giova quest’azione? Sono gli stessi che nel 2016 hanno allagato la mediateca? E ancora… Perché la nuova amministrazione lascia in completo abbandono e degrado il borgo? Politicamente non è un’azione lungimirante dato che è evidente a tutti quanto sia controproducente chiudere un ambulatorio medico che erogava servizi professionali gratuiti, oppure lasciare al proprio destino il sentiero di Sara, senza manutenzione di meravigliosi murales e l’anfiteatro e altro ancora. Questa politica si spiega solo con la necessità di cancellare a qualsiasi costo una storia scomoda di un paese che tutto, insieme al suo sindaco, si è ribellato al proprio destino di inevitabile spopolamento ma soprattutto alle logiche mafiose.

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LEGGI ANCHE:

Prendersi cura di Riace [È stato il vento]

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