A proposito degli incendi che hanno devastato il paese durante una delle estati più calde del secolo e delle alternative (come quella sperimentata dal Parco dell’Aspromonte, che ha ridotto gli incendi del 90 per cento in un anno), segnaliamo questo articolo «Gli incendi fanno crescere il Pil».
Mentre la pioggia torna finalmente a bagnare Roma e il Lazio (nella foto, collina bruciata al Porto di Terracina-Tempio di Giove), si può, anzi si deve parlare di questa estate come di una stagione che ha visto il ritorno su tutta la regione del fuoco come assoluto protagonista. Un fuoco come sempre non casuale, in molti casi studiato a tavolino, in altri appiccato dalla mano di un uomo o di una donna con distratti. In entrambi i casi, il risultato è lo stesso: molti, troppi ettari sono bruciati completamente.
Certo fa molto più male la perdita di territorio boscato e di pregio naturalistico e ambientale, soprattutto quando colpisce aree protette e tutelate. Le conseguenze per la vegetazione e per la fauna sono sotto gli occhi di chi quei territori li abita e di chi li attraversa. Le conseguenze sociali invece sono meno evidenti, si percepiscono con il passare delle stagioni. I dati di luglio e agosto dicono che la regione brucia e noi non si riesce a bloccare il fenomeno, ma solo a circoscriverlo.
È formativo leggere il rapporto sulla campagna antincendi boschivi 2012 del Corpo forestale dello stato (Cfs). I roghi importanti divampati nel Lazio che hanno richiesto l’intervento del Cfs sono stati 563 (228 nel 2011) con 3.488,63 ettari di bosco andati in fumo (728,93 ettari nel 2011). Gli incendi divampati in aree non boschive sono stati invece 168 (85 nel 2011). Dividendo per province a Roma ci sono stanti 153 incendi per una superficie bruciata di 895,82 ettari (nel 2011 a roma 30 boschivi e 23 non boschivi); a Frosinone 133 eventi per una superficie di 979,85 ettari; a Latina 119 per una superficie bruciata di 674,32 ettari; a Viterbo 83 per una superficie bruciata di 524,39 ettari; a Rieti 76 eventi per una superficie bruciata di 414,25 ettari. La maggior parte degli incendi boschi è «riconducibile a comportamenti colposi dovuti a imprudenza, imperizia o al mancato rispetto di norme e regolamenti – si spiega nel rapporto – gli eventi dolosi sono spesso ascrivibili a contrasti esistenti all’interno nel mondo venatorio, alla presenza di pastori, a contrasti tra vicini ovvero sono il modo di manifestarsi di fenomeni di disagio sociale o di contrasto con l’autorità. Si sono anche verificati due casi di eventi riconducibili a cause naturali quali la caduta di fulmini in alta quota cui è seguito lo sviluppo di incendi che hanno interessato popolamenti forestali di pregio».
Il rapporto segnala anche quelle che sono le cause che favoriscono gli incendi: «oltre alla anomala e persistente ondata di caldo che sta colpendo le regioni centro meridionali del paese, vanno sicuramente annoverate gli esiti delle intense nevicate dell’inverno scorso che, a seguito degli schianti verificatisi – si legge sempre nel rapporto – hanno comportato l’accumulo di una grande quantità di combustibile all’interno dei nostri boschi e l’incuria del territorio che pone le premesse affinché il fuoco si propaghi con maggiore facilità e con effetti talvolta disastrosi».
E per il prossimo anno? E per gli anni a seguire? Sarà ancora più dura, visto il taglio drastico dei fondi già effettuato nel 2012 e quello che si profila per il 2013. La prossima estate ci saranno i finanziamenti necessari per far decollare i fondamentali aerei antincendio e a far intervenire le insostituibili pattuglie a terra con gli automezzi in piena efficienza? Il dubbio c’è, le risposte non ancora. Intanto si potrebbe fare molto anche già da adesso. ad esempio da parte dei comuni: secondo la legge 353 del 2000 «le zone boscate e i pascoli i cui soprassuoli siano stati percorsi dal fuoco non possono avere una destinazione diversa da quella preesistente all’incendio per almeno quindici anni», si tratta in sostanza di registrare sull’apposito catasto delle aree percorse dal fuoco tutte quelle aree che vengono bruciate. In questo modo, negli anni, si ha memoria di quanto accaduto, tutto viene registrato e può essere consultabile in qualsiasi momento. Una buona norma, quindi, che però nella maggior parte dei casi viene del tutto o quasi ignorata, un’«omissione di atti di ufficio» amara e difficile da comprendere, soprattutto perché l’aggiornamento di quel catasto potrebbe limitare gli intenti speculativi, che spessp sono alla base di chi appicca il fuoco, e contribuirebbe alla protezione delle aree di maggior pregio naturalistico.
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