Dopo secoli di colonialismo c’è oggi chi grida all’invasione perché donne e uomini premono ai confini della fortezza in cerca di una vita migliore. Trieste è da sempre una città in cui questo processo e le sue contraddizioni si rendono più evidenti. Tuttavia in quella città, i lettori di Comune lo sanno bene, esiste una “Piazza del mondo” (così Piazza della libertà viene rinominata da chi la vive ogni giorno) nella quale alcune persone incontrano donne e uomini della cosiddetta Rotta balcanica. Da quell’incontro nasce uno straordinario manifesto-appello: quella Piazza ha cominciato a essere e potrebbe diventarlo sempre di più, un luogo di apprendimento e di pensiero critico, dove si impara partecipando con il corpo e con la mente; dove diradare la nebbia in cui si muovono le nostre vite quotidiane, soprattutto quelle dei più giovani; dove fare esperienza dell’offesa alla vita ma anche del desiderio di vivere; dove scoprire il senso della cura reciproca; dove sperimentare percorsi comunitari tutt’altro che astratti. Ci sembra una prospettiva fondamentale che potrebbe trovare in altri territori e anche in tante scuole risonanze per percorsi inediti ricchi di senso
La Piazza del Mondo è un luogo in cui si manifesta la radicale offesa della vita, oggi in atto. A noi cittadini europei appare invece qualcosa di remoto, indifferente, ai margini della nostra normalità di abitanti nella parte ricca del mondo: anche la povertà e la sofferenza, che pur esistono in Italia, in Europa e che anzi tendono a crescere, sono rese poco visibili, marginali.
In altri periodi storici, come ai tempi del fascismo, del nazismo, la violenza veniva esibita come un valore per cui era più visibile e, in qualche modo, era possibile reagire o almeno tentare. Oggi, agisce molta più violenza di allora. Oltre alle “tradizionali” violenze sociali e fra Stati (non pochi muniti dell’arma atomica), è comparso un elemento nuovo: un inesorabile processo di crisi radicale dei processi vitali. Nella nostra epoca, infatti, agiscono due dinamiche diverse e complementari: un’offesa capillare alla vita in tutte le sue dimensioni al punto da metterne in crisi l’equilibrio costitutivo, che ha permesso lo sviluppo dell’essere umano. Il suo nascondimento altrettanto capillare nella normalità della vita quotidiana e pubblica mediante la forma dominante di socializzazione chiamata “economia di mercato”, in cui l’elemento determinante delle relazioni sociali è il denaro.
Nella Piazza del mondo, invece, questa offesa alla vita, invisibile come l’aria che respiriamo, si può manifestare a partire dall’incontro con i profughi della cosiddetta Rotta balcanica, se riusciamo ad afferrare l’essenziale messaggio storico di cui i loro corpi offesi sono i portatori e gli annunciatori inconsapevoli. Sono infatti profughi ed esuli dalla terra offesa, primi annunciatori della catastrofe della vita.
È necessario, allora, comprendere il significato storico e antropologico di questo tipo di migrazioni dal mondo che fu per trecent’anni colonia dell’Occidente, diverse da ogni precedente tipo di migrazioni. Queste migrazioni – per ora molto contenute: circa 16.000 gli arrivi a Trieste nel 2023 – sono di chi cerca di sopravvivere perché nei suoi paesi non riesce a farlo: per questo arriva in condizioni fisiche non di rado gravi e – non bisogna mai finire di dirlo – molti, moltissimi muoiono! Spesso senza che se ne sappia nulla – ovunque: in mare, nei Balcani, nel Sahara, in Libia, in Tunisia. Muoiono per responsabilità anche nostra: di noi cittadini del nostro Stato e dell’Unione Europea. Muoiono infatti a causa della politica di violenza dell’Unione europea nei loro confronti.
In questa Piazza possiamo fare esperienza dell’indifferenza nei confronti della vita che caratterizza il nostro tempo, la cultura in cui ci troviamo a vivere: l’indifferenza per la violenza omicida degli Stati europei, ma anche degli Stati Uniti nei confronti delle migrazioni dal Sud al Nordamerica e dell’Australia – dell’”Occidente”, insomma.
Fare esperienza dell’offesa alla vita ma anche del desiderio di vivere
Queste migrazioni sono solo lo scricchiolio dell’immenso mondo già colonizzato dall’occidente per tre, quattro secoli, con violenza schiavistica e genocidaria. Sono soltanto la modesta avanguardia di un fenomeno che, secondo le previsioni di un organismo istituzionale come l’Organizzazione internazionale per le migrazioni delle Nazioni Unite (IOM), “già nei prossimi trent’anni potrebbero esserci fino a 1,5 miliardi solo di profughi o migranti climatici” e arrivare a più del doppio alla fine del secolo. L’attuale fenomeno migratorio è quindi il primo inizio di un futuro antropologico e terrestre catastrofico che l’attuale cultura dominante non può, ma soprattutto non vuole vedere, perché si basa proprio sulla trasformazione della vita in merce e quindi sul consumo della terra come se fosse solo un magazzino di merci pronte per essere vendute.
Per usare una metafora ovvia ma efficace, queste migrazioni, che per l’Europa riguardano uno spazio che va dall’Africa al Medioriente e a tutto il Sud asiatico, sono i primi scricchiolii del crollo sociale e ambientale dell’immenso territorio delle ex colonie, che finirà con l’avvolgere tutta la terra. Dovrebbe essere quindi evidente l’importanza del messaggio inscritto in questi corpi in cammino, inconsapevoli annunciatori della catastrofe terrestre.
Diradare la nebbia in cui si muovono le nostre vite
Per tutto questo, la Piazza del Mondo è un luogo nel quale si può imparare a diradare un poco la densa nebbia in cui si muovono le nostre vite normali: normalizzate, normate. La Piazza del Mondo può essere un luogo di formazione per tutti: una vera scuola di vita – proprio quello che oggi manca – soprattutto ai giovani e ai giovanissimi.
Si impara a vivere solo vivendo. Questo vale per tutti, giovani e non giovani. Ma vale con un‘intensità particolare soprattutto per i ragazzi e le ragazze. Tradizionalmente, la scuola è separata dalla vita, perché è un luogo di formazione subordinato ai rapporti di potere in atto che non possono educare a vivere pienamente, ma devono educare ad accettare chi comanda. Devono, perciò, separare l’istruzione dalla formazione alla vita perché devono nascondere il modo in cui la vita viene gestita: nell’interesse di una ristrettissima minoranza al comando. Oggi, inoltre, in Italia, è in atto un gravissimo deterioramento della condizione scolastica con una serie di provvedimenti che tendono a rendere ancora più separato il regime dell’istruzione dagli autentici problemi della vita.
Viviamo, dunque, una condizione storica in cui agisce capillarmente una costante produzione di indifferenza nei confronti di processi di distruzione che riguardano ormai la vita intera: la vita umana, la vita dei viventi non umani, l’equilibrio vivente in cui siamo tutti immersi come pesci nel mare. Siamo però immersi anche in un mare di informazione che di fatto impedisce di cogliere la gravità di quello che succede, perché tutto viene messo sullo stesso piano: un evento sportivo come la morte in mare di cinquanta migranti o – al culmine – un genocidio come quello in atto a Gaza.
La cultura dominante – l’economia di mercato – ha prodotto e continua a produrre costantemente un’offesa radicale alla vita, che tende irresistibilmente a trasformare in valore di scambio: in denaro. Il denaro nella nostra cultura è il valore supremo: una persona vale nella precisa misura in cui ha denaro. Di conseguenza, la cultura dominante – e quindi gli Stati, che gestiscono l’istruzione – deve impedire di fare esperienza di come la vita effettivamente è – soprattutto per chi si sta formando. Una formazione alla vita, così come realmente accade oggi – la presa di coscienza del suo attualmente inesorabile processo di impoverimento -, è diventata difficilissima perché in pieno contrasto con tutte le attuali forme di governo della vita, economiche, sociali, culturali e politiche.
Se è ovvio che da sempre il potere dominante in una società ha cercato di impedire atteggiamenti critici nei suoi confronti, oggi questo è diventato un fenomeno capillare come mai prima, attraverso l’immensa diffusione dei media elettronici (pensiamo al cellulare) che coincide con il comune modo di vivere – soprattutto nei paesi cosiddetti occidentali.
Fare esperienza dell’offesa alla vita ma anche del desiderio di vivere
La Piazza del Mondo, invece è un luogo in cui si è aperta la possibilità di fare esperienza dell’offesa radicale alla vita. Ma non è un evento immediato – tutt’altro – non basta andarci: ci si può andare per far quattro chiacchiere o portare un pacco di biscotti e tornare a casa soddisfatti. La Piazza del Mondo è, appunto, un microcosmo: non è un luogo idilliaco. C’è dolore, disperazione. Ci può essere anche violenza tra i migranti: vengono da condizioni sociali terribili in cui bisogna imparare a difendersi e ad arrangiarsi. Anche questo fa parte dell’offesa alla vita. Ma c’è anche e soprattutto – lo posso dire dopo quattro anni – un grande desiderio di vivere in persone che hanno rischiato molte volte la vita nel game, – così i migranti chiamano il loro viaggio nell’evidente significato di mettere in gioco la vita – desiderio che noi “occidentali” non abbiamo più. Alla fine è questo che prevale.
Occorre, come sempre, un impegno, un’apertura emotiva e mentale: la capacità di incontrare veramente l’altro, cioè la cura dell’altro – un “altro” che, in questo caso, viene anche da “culture” diverse dalla nostra. Per quel che ci riguarda, è necessario ritrovare il nostro corpo, di cui siamo privati sin dall’infanzia da innumerevoli meccanismi sociali di gestione, attraverso il rapporto non più con i consumi, cioè con le merci, con il denaro, ma con i bisogni vitali, con il tessuto primario della vita: curare, nutrire, vestire, curarsi della vita dell’altro per curarsi della propria: questo è il messaggio radicale della Piazza del Mondo.
Scoprire il senso della cura reciproca
Attraverso il gesto fondamentale della relazione che cerca di dar vita, che rimanda a una dimensione sociale alternativa – una dimensione comunitaria – in cui ci si cura l’uno dell’altro, estraendo dal fondo di ciascuno di noi la condizione intrinsecamente relazionale dell’essere umano, fondata appunto nella cura reciproca, invece che nell’indifferenza, nell’estraneità, o nell’ostilità, nella violenza, proprie di una società del denaro (pensiamo anche al continuo aumento fra di noi dei cosiddetti femminicidi e dei morti sul lavoro).
In questa Piazza i giovani e i giovanissimi possono toccare letteralmente con mano quella dimensione fondativa della vita propriamente umana che è la cura reciproca, che potrebbe e dovrebbe rovesciarsi anche al di fuori dell’umanità nei confronti delle altre forme viventi, della vita tutta che è un unico insieme. L’essere umano, nel suo lungo percorso di crescita, ha molto più bisogno di cura in confronto a ogni altro vivente. Potrebbe, dovrebbe farne un elemento attivo nei confronti degli altri viventi, della vita intera. Ha invece sviluppato oltre ogni misura l’elemento predatorio che anche è nella vita, diventando il predatore assoluto: predatore della vita.
Nella Piazza del Mondo si può fare esperienza della vita come cura reciproca: capire, toccando con mano, che è l’unica possibilità di vita, in una cultura dominante che sembra ormai avviata alla predazione della terra, della vita.
Sperimentare percorsi comunitari
In questa Piazza si può fare esperienza di comunità e si può iniziare a elaborare un pensiero in termini comunitari.
Per far questo è necessario anche discutere, riflettere e – perché no? – studiare… Se la Piazza potesse diventare un punto di riferimento, un luogo di form-azione, cui far convergere e da cui far partire diverse esperienze relazionali, politiche, culturali… È solo un’esigenza, certo, quasi soltanto di chi scrive queste righe o di pochi altri, ma potrebbe diventare l’avvio di un cammino…
Gian Andrea Franchi ha aderito alla campagna di sostegno di Comune: Partire dalla speranza e non dalla paura. Nell’archivio i suoi articoli sono leggibili qui
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