Una della caratteristiche storiche delle città, almeno in Europa, era il ruolo destinato all’accoglienza degli stranieri, dei pellegrini, dei poveri, dei malati. L’età omerica come quella della “civiltà cristiana” hanno conosciuto il dovere dell’accoglienza, come mostrano ancora tanti luoghi antichi, spesso disegnati da grandi architetti. In epoca moderna, scrive Enzo Scandurra, assistiamo a un deciso ribaltamento di questo ruolo: cacciati o respinti i migranti, murate le città e sorvegliate le coste e i valichi di frontiera, la fortezza Europa mostra il suo volto più spietato e feroce, “oggi nelle città provvedimenti securitari allontanano i diversi dimenticando la memoria dell’ospitalità…”

Così la famigerata zona rossa dopo essere passata per Milano, si è fermata anche a Roma, nell’area che va dalla stazione Termini all’Equilino, quartiere multietnico per eccellenza. Qui non possono sostare personaggi ritenuti “sospetti” o “pericolosi” per altri. E così, ancora una volta, il Giubileo, detto eufemisticamente della Speranza, finisce col privatizzare altre parti della città innalzando barriere, muri tra un quartiere e l’altro; producendo sospetti e ansie tra la popolazione che immagina (indotta a immaginare) che tra quegli sbandati in circolazione possa nascondersi qualche lupo solitario in attesa di attentati.
Nonostante l’immaginario (di pericolo) prodotto dai nostri governi, a Roma, si è assistito, in questi giorni di festività, a un vero e vasto movimento di persone dirette al centro desiderose di vedere la “Roma che si trasforma”: da via Ottaviano, a piazza Risorgimento, a piazza Pia, fino al piazzale antistante la basilica di San Giovanni. Segno indiscutibile, questo, che il popolo romano, cinico e da sempre disincantato nel veder transitare poteri di ogni genere, non voleva perdere l’occasione di ammirare il nuovo volto di questa città voluto dall’amministrazione Gualtieri. E poca importanza ha se queste opere (le prime del Giubileo) fossero in parte carenti, realizzate con una certa sciatteria (a fronte dei molti soldi spesi) e, in gran parte non completate. Tutti, in coro, hanno gridato il famoso detto popolare: “A’nvedi che roba!”. Perfino i giovani borgatari provenienti dalle periferie hanno partecipato in massa a questo rito, dimenticando, per un giorno, le proprie pietose condizioni di vita lontano dalla città, in quei ghetti di emarginazione e disperazione dove le luci della ribalta non arrivano. “Odiatori seriali” sono stati definiti sui media coloro i quali, pur timidamente, hanno avuto qualche dubbio sull’efficacia effimera di questo evento, così come pure coloro i quali hanno avanzato critiche a queste prime realizzazioni. Gli odiatori sono stati immediatamente messi a tacere come nemici del popolo, insoddisfatti seriali, mai contenti neppure di fronte a tanto successo di pubblico.
Ma c’è un’altra narrazione rimossa dai media. In un solo anno Roma si è mangiata 124 ettari di terreno, l’equivalente di 180 campi di calcio! E questo a fronte degli obiettivi sbandierati di uno sviluppo sostenibile, il volto presentabile della santa crescita, ovvero l’accumulazione di capitale che esige lo sfruttamento della terra e degli esseri umani. La sostenibilità è il trucco che i governi usano per far credere che sia possibile continuare nella stessa direzione con qualche rattoppo. Sono in corso i lavori per la costruzione di alloggi di lusso a piazza dei Navigatori (la foresta romana) e di housing sociale nell’ex Fiera di Roma (la città della gioia). Continuano a imperversare le famose compensazioni nell’agro romano e la realizzazione dello stadio della Roma a Pietralata e del mostruoso porto crocieristico nei pressi dell’isola sacra a Fiumicino, oltre del termovalorizzatore nei pressi di Ciampino. È ancora presto per dire come si trasformerà Roma. Sorgono come funghi, spesso una accanto all’altra, nuove agenzie immobiliari per l’acquisto o l’affitto di case che sostituiscono le vecchie botteghe artigianali che, come le storiche cabine telefoniche, rimangono solo nella memoria delle vecchie generazioni. E salgono gli affitti, brevi naturalmente, così che a fine festeggiamenti molte persone si ritroveranno a risiedere in parti ancora più lontane dal centro, espulse per sfratti e morosità. Una fiera delle vanità Roma non la merita, come fosse una bella signora che s’incipria e s’imbelletta per far concorrenza a una giovine ragazza priva di carattere.
L’accoglienza ai migranti è inoltre il gran rimosso delle città: persone ingombranti turbano la vista dei turisti, i veri protagonisti dello spettacolo, e allora meglio spostarli da una parte all’altra come pacchi indesiderati che adombrerebbero lo sfavillio della città in festa. E ciò nonostante che il Piano degli interventi per il Giubileo 2025 si ponesse l’obiettivo di “accogliere al meglio le decine di milioni di pellegrini che si recheranno a Roma”.
Nell’età omerica i greci ritenevano che gli dèi si presentassero in incognito e, in veste di ospiti, distribuissero ricompense o punizioni in base al comportamento del padrone di casa; pertanto, presso le civiltà antiche, il rifiuto dell’accoglienza era atto sacrilego. Il dovere dell’ospitalità si tramanda nei secoli: con l’affermarsi della cristianità come religione di Stato, l’accoglienza dei poveri e bisognosi si configura come compito di civiltà. Essa rientra tra le opere di misericordia evangeliche cui il cristiano ha l’obbligo di dedicarsi durante la propria esistenza: il compenso (il contro dono) attiene alla vita ultraterrena.
Nelle città vengono erette architetture di accoglienza, come gli xenodochia, case d’accoglienza finanziate da laici o religiosi che dispensano gratuitamente vitto e alloggio a pellegrini, stranieri, poveri e malati. Xenodochia, hospitia e foresterie si sviluppano in Italia e Franca tra V e VII secolo entro le mura cittadine. A Roma, in quegli stessi secoli mèta dei pellegrinaggi al sepolcro di San Pietro, vengono istituite le scholae peregrinorum, ospizi situati presso i principali luoghi di culto. Le città comunali diventano la meta dei servi villatici che vi vedono un possibile miglioramento delle loro condizioni di vita (1): «Come ruscelli di montagna che inondano le pianure, fuggendo il duro gioco feudale, i miserabili vennero in città per cercare riparo dietro le sue mura di cinta dove la vendetta dei loro signori non poteva raggiungerli» (2). Da cui il famoso detto: “l’aria delle città rende liberi”.
Con il Rinascimento, nelle città italiane comincia a imporsi l’istituto ospedaliero in senso moderno, specializzato, laico, gestito dalle comunità civiche. L’Ospedale degli Innocenti a Firenze è fondato nel 1492 dall’Arte della Seta; sarà dedicato all’accoglienza degli orfani: i “nocentini”. L’architettura rinascimentale del portico, secondo l’interpretazione di Franco Farinelli, si rivela capace di «conferire pieni diritti di cittadinanza ai trovatelli che vengono depositati alla ruota collocata esattamente nel fuoco prospettico brunelleschiano» (3).
Una della caratteristiche storiche delle città, almeno in Europa, era il ruolo destinato all’accoglienza dei pellegrini, dei migranti, dei poveri, dei malati. Gli edifici loro destinati risiedevano dentro le mura della città o accanto a luoghi di culto, lungo i crocicchi delle vie dei pellegrinaggi. E la loro esecuzione affidata a grandi architetti (Brunelleschi a Firenze, Fuga a Napoli per il Real Albergo dei Poveri). In epoca moderna assistiamo a un deciso ribaltamento di questo ruolo: cacciati o respinti i migranti, murate le città e sorvegliate le coste e i valichi di frontiera, la fortezza Europa mostra il suo volto più spietato e feroce. Oggi nelle città provvedimenti securitari allontanano i diversi dimenticando la memoria dell’ospitalità. Una terra, una città non appartiene solo a chi in quel luogo è nato e cresciuto e la sente propria perché vi sono nati e cresciuti i propri genitori e i propri nonni, ma anche a chi vi atterra, vi transita, talvolta resta, lavora, vi fa nascere, crescere e studiare i propri figli, sperando che nessuno possa più chiamarli stranieri.
Note:
(1) I. Agostini, Per civica pietà. Architetture dell’accoglienza nella città medievale, in I. Agostini, G. Attili, L. Decandia, E. Scandurra, La città e l’accoglienza, manifesto libri, 2017, Roma
(2) G. Pardi, Disegno della storia demografica di Firenze, in Archivio storico italiano, 1916
(3) F. Farinelli, Da Marco Polo al web. Come cambiano gli spazi e i luoghi, intervento al Festival dell’Economia, Trento, 2016.
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Condivido quanto scrive l’amico di tante battaglie Enzo Scandurra.La nostra società in tutte le sue forme esclude.Che siano vecchi, poveri,deboli,disabili, non cambia l’approccio:il metodo è sempre quello della ghettizzazione,assai lontano dall’inclusione
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