Contrariamente alla vulgata che considera il razzismo come un epifenomeno delle società globali, il più che decennale lavoro di ricerca di Anna Curcio, L’Italia è un paese razzista, mostra come le varie forme di razzismo costituiscono il tessuto originario della modernità occidentale. Intanto negli ultimi si sono moltiplicati gli episodi di maxi-razzismo e di micro-razzismo quotidiano
Anna Curcio, formidabile ricercatrice indipendente e curatrice della collana “hic sunt leones” per DeriveApprodi ha raccolto un insieme di indagini genealogiche e tematiche in un volume importante, L’Italia è un paese razzista. Contrariamente alla vulgata che considera il razzismo come un epifenomeno delle società globali, il più che decennale lavoro di ricerca dell’autrice mostra come le varie forme di razzismo costituiscono il tessuto originario della modernità europea e occidentale, il cui ordito è il dispositivo di gestione delle popolazioni.
L’analisi di Anna Curcio, che ha firmato con Miguel Mellino diversi studi sull’emergenza postcoloniale dei razzismi, si dipana lungo tre linee direttrici: il razzismo è il dispositivo mondiale di governo delle popolazioni; ogni razzismo di “ritorno” è l’effetto di gerarchie storiche della razza; la razza non va mai da sola, ma è vigente in una genealogia e secondo linee di frattura sulla superficie storica della modernità.
Questa linea scorre e connette colonialismo-antropologia-guerra delle razze-razzismo di stato. È una linea di revoca e di produzione di sovranità; revoca il patto di cittadinanza e l’obbligazione giuridica quando la rivendicazione di diritti civili e sociali è agita da una minoranza, bianca, di calasse media che rappresenta l’intera popolazione. Sostiene la sovranità quando il dispositivo di sicurezza opera per tutta la popolazione.
LEGGI ANCHE QUESTO ARTICOLO DI ANNAMARIA RIVERA:
Nella nota articolazione del bio-potere definita da Michel Foucault, il dispositivo di promozione della vita investe corpi singoli e popolazione. Omnes et singulatim. Nelle società liberali la produzione e il consumo di libertà sono esercitate dalle razze. Razializzare è il modo specifico di articolare i rapporti tra classi, tra generi e tra i sessi attraverso le discriminazioni di ricchezza e diritti.
La storia delle razze dispone le differenze storiche dei razzismi: i selvaggi e gli indigeni; gli aborigeni, i neri e i mulatti; gli indigeni e i latinos; gli ebrei e i meridionali; le etnie di minoranza e di resistenza, gli arabi e gli islamici.
La politicizzazione della razza, nella Virginia prerivoluzionaria, nei massacri coloniali così come nell’esotismo illuminista e nella formazione dei mercati mondiali, proviene dall’invenzione della razza che a sua volta ha generato le teorie razziali.
Anna Curcio evidenzia come la razza abbia assunto significati diversi e assolva compiti distinti. Schiavismo e colonialismo; guerra tradizionale delle razze in Europa; razzismi regionali nella formazione degli stati nazionali; razzismi egemonici nelle transizioni dei cicli economici; razzismi etnici nell’epoca della globalizzazione; infine, soggettivazione della razza nella formazione delle élites finanziarie, nell’organizzazione del “capitale umano” e nel disciplinamento delle “risorse umane”, di fronte alle recenti lotte nel settore della logistica: in ogni epoca dell’occidente una tecnologia di governo della popolazione ha regolato la partizione gerarchica noi /altri in un dispositivo di inclusiva esclusione.
In questi ultimi anni la recrudescenza di episodi di maxi-razzismo ha scoperto il micro-razzismo quotidiano confermato dalla critica postcoloniale che, a partire dalla fine degli scorsi anni Ottanta, si è esercitata nell’elaborazione teorico-pratica di un sapere dei conflitti e nella destituzione del paradigma dell’integrazione.
Le lotte anticoloniali degli anni Sessanta hanno infatti strappato le maschere bianche dai volti di gesso di potenti aggressori democratici e reazionari, hanno provincializzato l’Europa e tutt’ora resistono alla criminalizzazione dei conflitti razziali e a quella che si può chiamare etnicizzazione della sicurezza, da cui ha preso avvio la terza o quarta o ennesima guerra mondiale. In Italia questa storia ha radici nelle imprese coloniali di fine XIX secolo e nei massacri della popolazione libica e della guerra d’Etiopia. La giustificazione biologista della guerra delle razze innescava le pulsioni imperiali del fascismo. Nel dopoguerra la razzializzazione dei contadini meridionali e quindi degli operai creava una forza-lavoro dequalificata ma al contempo accendeva focolai di conflitto sociale che dai margini della provincia italiana si estendevano alle grandi fabbriche del nord. Con la progressiva erosione dello stato sociale che accentuava le differenze tra nord e sud Italia, la razzializzazione diventa giustificazione politica dell’arretratezza e dello sfruttamento.
Oggi la ristrutturazione planetaria dell’economia comporta l’estrazione di risorse e l’impoverimento del “sud del mondo”, alimentato dai programmi neocoloniali di aggiustamento strutturale di FMI e Banca Mondiale che accrescono i flussi migratori verso il Nord e il conseguente esercizio di politiche securitarie contro le migrazioni.
L’autrice ricorda che la prima legge organica in materia fu al “legge Martelli” del 1990, seguente all’omicidio di Jerry Masslo a Villa Literno. Con la fine dei socialismi reali a est la massiccia immigrazione dai Balcani genera nuove gerarchie della razza. Nel marzo 1991 approdano in Puglia 27.000 albanesi che sono rinchiusi nel vecchio stadio di Brindisi.
Il discorso migrante cambia registro: le “vittime” dei regimi sovietici da proteggere si trasformano in pericolosi criminali: albanese=delinquente (in seguito sarà curdo, zingaro, arabo…). Nel 1996 nel canale di Otranto una corvetta della Guardia di Finanza sperona una nave carica di albanesi che affonda. I flussi migranti in tutti gli anni Novanta generano nuove figure del lavoro flessibile e precario impiegate nella cura (colf, badanti) con dispositivi legali di subordinazione.
Nel 1998 la legge Turco-Napolitano sancisce la criminalizzazione dei migranti introducendo i Centri di permanenza temporanea (Cpt) cioè carceri, e il permesso di soggiorno. Esclusione dalla cittadinanza, non riconoscimento dei titoli di studio, ghettizzazione stabiliscono la detenzione su base amministrativa abbassando fino a zero le misure di protezione.
Aggiungiamo che il laboratorio italiano contro le migrazioni viene assunto in Europa nel corso degli anni 2000, anche nei paesi di lunga immigrazione come Francia e Germania. In Italia la legislazione si inasprisce con la legge Bossi-Fini del 2002 che lega il permesso di soggiorno alla titolarità del contratto di lavoro.
I vari “pacchetti sicurezza”, nel 2009, con l’introduzione del reato di immigrazione clandestina, nel 2011, 2018 e 2019, hanno contribuito a rafforzare la “fortezza Europa”, mentre il “decreto Minniti” del 2017 ha esteso criminalizzazione e sgomberi ai luoghi di marginalità urbana e agli spazi sociali.
In questi ultimi anni gli episodi di razzismo diffuso non si contano; incendi, devastazioni e morte nei campi Rom, omicidi ed esecuzioni a Firenze, Torino, e prima, a Rosarno e a Castelvolturno, fino allo sgombero dell’enorme tendopoli di Calais (2016) con il blocco navale della Manica e del Mediterraneo voluto dall’Unione Europea dopo la crisi dei profughi siriani, incrementato sia dai governi di centro-sinistra che di destra con la trasformazione delle legislazione di “Mare Nostrum” in “Frontex” (2014).
Il nuovo regolamento europeo su migrazione e asilo approvato a dicembre 2023 dal Parlamento europeo non modifica il regolamento di Dublino (1990, 2003, 2013) e la delega a Italia, Grecia, Spagna, Malta e Cipro della decisione di asilo rende più ardua l’accoglienza. La normativa prevede controlli sulle persone che si presentano alle frontiere esterne della U.E. con impronte digitali e immagine del volto per l’eventuale respingimento. Le procedure di espulsione si accelerano con la detenzione massima a 12 settimane in hotspot e altre strutture (border procedure). Si fissa la capacità adeguata di accoglienza in 30.000 persone, valutata nel rapporto tra numero di “irregolari” e respingimenti in tre anni. Le procedure di asilo sono condizionate a negoziati internazionali. Le misure di espulsione limitano le richieste di asilo dai pesi considerati “sicuri” e rendono più rapido il trasferimento verso Tunisia, Libia e Turchia. A chi arriva è imposta la scelta tra ricollocazione o imprecisati contributi finanziari e misure alternative di “solidarietà”, mentre il sistema per il confronto delle impronte digitali che perfeziona le regole della banca dati con le prove biometriche dovrebbe evitare più richieste di asilo da parte della stessa persona.
In questo regolamento si innestano i divieti e le restrizioni alle ONG in operazioni di salvamento, l’imposizione di rotte verso “porti sicuri” e il memorandum Italia-Libia voluto dall’antirazzismo benpensante della “sinistra” che ha sancito gli accordi che hanno istituito le prigioni libiche. L’Italia considera sicuri Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Nigeria, Senegal, Serbia, Tunisia. Al momento molti di questi paesi sono in guerra, sono fortemente instabili ed esposti a corruzione e desertificazione.
La guerra ai migranti continua ad essere guerra delle razze con gli stessi mezzi.
Lascia un commento