La fase di disgregazione delle nostre società, dei legami tra quelli che stanno in basso e interi popoli, sta entrando in una fase acuta colpendo anche le comunità rurali che, in precedenza, sembravano quasi immuni da questi modi distruttivi e violenti del capitale e degli Stati, che lavorano fianco a fianco per raggiungere quegli obiettivi. Siamo di fronte a caratteristiche strutturali e sistemiche del capitalismo, non a deviazioni sporadiche. Raúl Zibechi, conclusa la fase acuta della pandemia, ha ripreso a viaggiare intensamente in questi mesi in tutta l’América latina e ci ha inviato diversi reportage (li trovate cliccando qui sopra sul suo nome) sulle resistenze e le ribellioni alla tempesta sistemica, aggravata dal caos climatico e dal collasso degli Stati-nazione. Da tempo si interroga e sollecita una discussione in profondità su come affrontare la nuova fase della guerra che piove addosso dall’alto. Qui, intanto, fa qualche considerazione sulla resistenza civile pacifica degli zapatisti e il ruolo delle avanguardie

Ho viaggiato per mesi attraverso il continente: Messico, Colombia, Rio de Janeiro, Ecuador, Bolivia, Argentina. Dovunque si osservano direttamente situazioni simili, che si aggiungono ai dati che arrivano attraverso altri canali. In generale: disarticolazione e degrado delle relazioni sociali; violenza statale, para-statale e legata al narcotraffico; grandi difficoltà per i movimenti e i popoli che cercano di portare avanti la loro opera di costruzione.
Forse questo sgretolamento è il modo in cui ci si presenta la tempesta sistemica, aggravata dal caos climatico e dal collasso degli Stati-nazione. Non è facile stabilire una narrazione esaustiva, ma ci sono situazioni comuni al di là delle differenze fra le diverse aree geografiche.
I motivi per cui le nostre società si stanno disgregando sono diversi, e includono sia l’aspetto materiale che quello spirituale.
La povertà cresce in modo permanente e costante, come conseguenza della maggior concentrazione del capitale, la cui voracità porta la popolazione a situazioni di vita insostenibili. Nel frattempo, i governi gestiscono la povertà solo con politiche sociali che cercano di ‘addomesticare’ le classi popolari e le popolazioni indigene e nere.
L’accumulazione per espropriazione/quarta guerra mondiale contro i popoli fa parte di questo modello di impoverimento ma, soprattutto, permette di spiegare le violenze, gli spostamenti forzati, i furti di terre e l’occupazione di territori da parte di bande armate che, con le loro aggressioni violente, favoriscono i piani del capitale.
Il narcotraffico è una delle forme che assume il crollo del sistema, ma dobbiamo essere consapevoli del fatto che viene utilizzato dai potenti contro qualsiasi movimento organizzato, come dimostrano le esperienze di Colombia e Messico. Il fenomeno del narcotraffico non è stato creato direttamente dal capitale e dagli Stati, che tuttavia hanno presto imparato a dirigerlo contro le nostre organizzazioni.
I governi progressisti che hanno gestito tutti i paesi che sto visitando, e che ora lo stanno facendo in Colombia, hanno accelerato il degrado intensificando l’estrattivismo e nello stesso tempo disorganizzando i movimenti. L’hanno fatto in due modi: appropriandosi del loro linguaggio e dei loro modi di fare, e lanciando bande armate contro gli stessi popoli e settori sociali che cercano di ammorbidire con le politiche sociali.
Entrambe le politiche sono complementari e mirano a facilitare l’ingresso del capitale speculativo nei territori dei popoli, al fine di trasformare la vita in merce.
La fase di disgregazione delle nostre società, dei legami tra quelli che stanno in basso e interi popoli, sta entrando in una fase acuta colpendo anche le comunità rurali che in precedenza sembravano quasi immuni da questi modi distruttivi e violenti del capitale e degli Stati, che lavorano fianco a fianco per raggiungere quegli obiettivi. Siamo di fronte a caratteristiche strutturali e sistemiche del capitalismo, non a deviazioni sporadiche.
Nella misura in cui si tratta di processi relativamente recenti, i popoli e i settori sociali interessati non hanno ancora trovato il modo di arrestare e invertire la distruzione. Su questo punto vorrei fare alcune considerazioni.

In primo luogo dobbiamo constatare la gravità della situazione, l’alto grado di decomposizione non solo delle organizzazioni, ma anche delle basi sociali a cui fanno riferimento e in cui sono radicate. Il quadro generale infatti si può riassumere nel modo seguente: società e comunità in decomposizione e organizzazioni minacciate o cooptate dal sistema. Entrambe le cose sono enormemente distruttive.
La seconda riflessione riguarda le vie da percorrere per continuare ad essere ciò che siamo: popoli e settori sociali che resistono e costruiscono. L’EZLN [Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale] ha adottato la resistenza civile pacifica per affrontare le bande armate e continuare a costruire il mondo nuovo. È un percorso molto difficile, che richiede volontà e disciplina, perseveranza e capacità di affrontare la violenza e i crimini senza cadere in atteggiamenti individualistici.
Credo che le modalità adottate dallo zapatismo, sicuramente concordate e decise dalle basi di appoggio, possano essere un punto di riferimento per noi in tutta l’America Latina, perché ci troviamo di fronte a problemi simili e perché dobbiamo trarre le debite conclusioni dalle guerre decise dalle avanguardie, che sono costate la vita a centinaia di migliaia di persone tra indigeni, neri, contadini e settori popolari.
Non ripetere gli errori è saggezza. In vari interventi, l’EZLN ha portato come esempio le guerre in Guatemala e in El Salvador. In quelle guerre (questo lo aggiungo io), le avanguardie hanno assunto un atteggiamento che non è andato a vantaggio dei popoli, che hanno pagato con migliaia di morti decisioni che non avevano preso, e poi hanno avviato processi di pace senza consultarli, ma salvaguardando gli interessi dei propri dirigenti e funzionari.
Ritengo che in questi tempi difficili noi che stiamo in basso abbiamo bisogno di un dibattito che vada in profondità sui modi di affrontare la guerra condotta dall’alto. Senza arrenderci e senza svenderci, ma prendendo le strade che permettano di evitare la guerra e di continuare a costruire, senza cedere alle provocazioni.
Fonte: “Movimientos en la pospandemia”, in La Jornada, 12/08/2022.
Traduzione a cura di Camminardomandando.
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