
Nel pomeriggio del 26 novembre, nel settore musulmano del cimitero nord di Calais, città sulla riva francese della Manica, la tomba è già stata scavata. I compagni di Mohammed Khamisse Zakaria arrivano a piccoli gruppi, in anticipo sull’ora stabilita. Il giovane sudanese è morto il 19 novembre, nel tentativo di passare in Gran Bretagna.
Giovedì 19 novembre: sull’A16, l’autostrada che porta al tunnel sotto la Manica, c’è un ingorgo di camion. Mohammed vuole tentare di attraversare la frontiera arrampicandosi su uno dei tanti rimorchi. Mohammed ha lasciato la sua famiglia in Sudan, prigioniera in un campo di profughi del Darfour. Non intende chiedere asilo in Francia, paese che respinge i suoi compatrioti. La polizia comincia a lanciare bombe lacrimogene sull’autostrada. Mohammed scappa. È investito da un’auto che sorpassa un camion fermo.
Sono i suoi compagni ad annunciare la sua morte ai genitori, che lo piangono in Sudan come loro lo piangono qui, alla frontiera con il Regno unito. Tutti hanno lo stesso desiderio di vivere. I loro cuori, le loro coscienze urlano. Ecco l’eco degli esiliati di Calais: «Non sappiamo cosa fare. Vorremmo entrare legalmente nel Regno unito. Sogniamo una vita dignitosa, una vita da esseri umani. Le circostanze ci rendono deboli ma i nostri cuori sono forti e la speranza ci spinge ad attraversare le frontiere. Voi lo sapete, il nostro paese conosce la guerra e l’ingiustizia dei governi. Siamo qui per necessità, dopo essere passati per troppe sofferenze lungo il cammino… Perché darci la caccia sull’autostrada quando i rilevatori e gli agenti di sicurezza con i cani setacciano tutti i camion che entrano in Inghilterra?».
Mohammed Khamisse Zakaria aveva venti anni.
Fonte originale: helprefugees.org (traduzione di Giustiniano Rossi)
Che vergogna x un paese che dice di essere civile ma invece continua ad essere razzista come quando sfruttava a sangue le sue colonie!
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