Il dominio sul mondo di un modo di vivere e organizzare la società basato essenzialmente sull’accumulazione, con l’avidità immorale e irresponsabile che gli è propria e la complicità di tutti i governi statali che ne curano gli interessi, ha causato una distruzione senza precedenti di piante, animali e persone, come anche di suoli e acque. Si tratta di un gigantesco crimine quotidiano, spinto fino all’autodistruzione che minaccia di estinzione molte specie del pianeta, un disastro che va molto oltre gli effetti della pandemia. I sintomi di questa catastrofe ambientale sono evidenti, sebbene si continui a negarli. Ancor più si nega la catastrofe del mondo sociopolitico, nel quale i crimini sono anche più gravi ma non altrettanto evidenti. Quando un regime muore, i suoi rituali, le sue illusioni e i suoi simboli permangono per secoli e generano l’impressione (e l’illusione) che ciò che è morto continui ad esserci. Il mondo nuovo si presenta sotto due forme antagoniste. Una è addirittura peggiore di quella precedente. Si basa ancora sull’accumulazione senza precedenti di ricchezze in poche mani, sulla rapina distruttiva generalizzata e sull’instaurazione di una società del controllo, sperimentata col pretesto del virus. Distrugge senza distinzione natura e cultura, tessuto sociale e capacità autonome. Già genera fame, angoscia e dolore in milioni di persone, i suoi danni saranno sempre più gravi, la violenza mafiosa, corrotta e crescente è la sua forma normale di esistenza. L’altra forma del mondo nuovo riflette un insegnamento secolare sui modi di vivere la condizione umana. Non è utopia né dottrina, ma un mondo fatto di molti mondi, come dicono gli zapatisti. Milioni di persone, in diversi contesti urbani e rurali, hanno cominciato a costruire molti modi di vivere diversi, che rispettano natura, cultura e la dignità di tutti. Si impegnano a livello di base nel loro spazio concreto, il solo nel quale possiamo agire politicamente nel vero senso della parola, ma non li anima uno spirito localista e cercano di mettersi in relazione con altre e altri che in molti luoghi agiscono in modo analogo. In questo modo resistono agli orrori che ci opprimono e riparano i danni che abbiamo prodotto in tutte le dimensioni della realtà. Reinventarsi in modo creativo, oggi, è una condizione di sopravvivenza

Non è solo la fine dell’anno. Termina un ciclo, un’era, un’epoca. Non è la situazione difficile di cui parla Gramsci, quando il vecchio non finisce di morire e il nuovo non termina di nascere. Sono le situazioni difficili della morte del vecchio e delle forme del nuovo.
Per prima cosa, dobbiamo riconoscere ciò che abbiamo fatto: un terricidio. Abbiamo liquidato il clima che avevamo. La distruzione di esseri viventi e inanimati, di piante, animali e persone, come anche di suoli e di acque, è tanto atroce quanto inconcepibile. L’avidità immorale e irresponsabile di corporation e di governi ha causato questa distruzione e creato forme di assuefazione che ci rendono complici del crimine quotidiano, perché persistono modelli di consumo e modi di vivere che possono rendere le nuove condizioni climatiche incompatibili con la vita umana. È un comportamento nel medesimo tempo suicida e criminale.
I sintomi di questa catastrofe sono evidenti, sebbene si continui a negarli. Si nega ancor di più la catastrofe del mondo sociopolitico, nel quale i crimini sono anche più gravi ma dove non è altrettanto evidente la liquidazione del vecchio. Quando un regime muore, i suoi rituali, le sue illusioni e i suoi simboli permangono per secoli e generano l’impressione che ciò che è morto continui ad esserci. Esistono ancora re e regine, e con loro la mentalità monarchica, sebbene quel regime sia terminato da molto tempo. Coloro che vogliono alimentare l’illusione che tutto continui ad essere uguale a prima, ora si preoccupano di predisporre i soliti rituali affinché la gente agisca come se il cadavere fosse vivo.
Ad esempio, pratichiamo ancora gli esercizi elettorali. Non sono mai stati autenticamente democratici. È triste vedere che continuiamo a considerare il voto come la nostra azione politica più importante, ed è triste pensare che il voto, anche quando funzionava, produceva solo governi della maggioranza; non ha mai espresso la volontà collettiva. Deve preoccuparci il fatto che molte persone continuino a credere in questi esercizi, sempre più ridicoli e inutili; che non comprendano che in questo modo contribuiscono all’esercizio autoritario, a dargli una misera apparenza di legittimità.

Vi sono aspetti più complessi che non è facile percepire. L’individuo, una delle creazioni dell’era moderna, fu la base dell’impresa capitalista e della sua configurazione politica nella forma dello Stato-nazione. Questa costruzione sociale ha perso forza e vitalità, e si affievolisce ad ogni passo. Le persone si riconoscono sempre di più come nodi di reti di relazioni e le cellule che costituiscono l’esistenza sociale cessano di essere individuali. L’ossessione del governo messicano attuale di dare forma individuale a tutti i programmi sociali, accantonando tutte le forme collettive o comunitarie di esistenza, è un ulteriore sintomo del suo radicamento in forme obsolete di agire. È particolarmente pericoloso il suo disegno di distruggere e vendere il sudest (regione oggetto di grandi progetti neoliberisti, Ndt) in nome dello sviluppo e del progresso, con dispositivi sempre più autoritari. Così come apre la frontiera a rifiuti tossici che la Cina ha rigettato, allo stesso modo tenta di dare spazio a rifiuti economici, sociali e politici in aperta decadenza.
Il mondo nuovo si presenta sotto due forme antagoniste. Una è addirittura peggiore di quella del mondo che è morto. Si basa sull’accumulazione senza precedenti di ricchezze in poche mani, sulla rapina distruttiva generalizzata e sull’instaurazione di una società del controllo, sperimentata col pretesto del virus. Orwell non è arrivato fino a quello che incombeva su di noi. È una dominazione atroce, esercitata in modo folle da un’élite immorale e irresponsabile sempre più cinica. Distrugge senza distinzione natura e cultura, il tessuto sociale come quanto resta delle capacità autonome. Già genera fame, angoscia e dolore in milioni di persone, e i suoi danni saranno sempre più gravi, in mezzo alla violenza mafiosa, corrotta e crescente che è la sua forma normale di esistenza.

L’altra forma del mondo nuovo riflette un insegnamento secolare sui modi di vivere la condizione umana. Non è utopia né dottrina, ma un mondo fatto di molti mondi, come dicono gli zapatisti. Milioni di persone, in molti diversi contesti urbani e rurali, hanno cominciato a costruire innumerevoli modi degni di vivere, che rispettano nello stesso tempo natura e cultura. Si impegnano a livello di base nel loro spazio immediato, concreto, che è l’unico nel quale possiamo agire politicamente nel vero senso della parola. Ma non li anima uno spirito localista. Contemporaneamente si pongono in relazione con altre e altri che in molti luoghi agiscono in modo analogo. In questo modo resistono agli orrori che ci opprimono e riparano i danni che abbiamo prodotto in tutte le dimensioni della realtà.
Sarebbe ridicolo o stupido anticipare i risultati e cantare vittoria. Abbiamo di fronte orrori di ogni specie. Incombono fame, sofferenza e dolore per molti milioni di persone. Sarà impossibile impedire molti aspetti della distruzione in atto. È tempo di disobbedienza e di lotta, lotta incessante, quotidiana, lotta come modo di vivere. Però dobbiamo riconoscere che è anche tempo di celebrazione. Avremo un anno realmente nuovo. Reinventarci creativamente è diventato una condizione generale di sopravvivenza. Siamo obbligate e obbligati a farlo. Così potremo generare la forza necessaria, con il coraggio e le capacità che ci vogliono per affrontare le sfide che ci attendono.
Fonte: “Fin de ciclo”, in La Jornada, 28/12/2020.
Traduzione a cura di Camminardomandando.
Ho paura e fiducia nello stesso tempo dopo aver letto e visto in TV gli ultimi accadimenti. In pratica tutto e’ da reiniziare ma insieme a nuove semplici e povere idee giuste il pianeta c’è la fara’ vorrei vivere ancora anni per assistere al cambiamento
Io e tante mie amiche resistiamo quotidianamente e anche se sembra sempre troppo poco pensiamo che sia la cosa che potra salvare il mondo pur con una lentezza a volte insopportabile.Troppa gente soffre troppo e nessuno di noi sta troppo bene.
Nonostante i miei settantun anni d’età anagrafica creo occasioni di dialogo con comunità ecologiste, tipo Lumen di Piacenza che, però non posso concretamente raggiungere, onde da vicino sperimentarne di persona le soluzioni .
A Napoli tali iniziative non si sono ancora formate ma, nutro speranze in tal senso, per ciò attendo e incoraggio chiunque possa contattarmi per tali scopi .